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Parte Seconda - Capitolo Secondo - l'Arte Medievale e Moderna - Edilizia Civile Stampa E-mail

EDILIZIA CIVILE

PREMESSA E CONSIDERAZIONI
Nonostante le ripetute trasformazioni che spesso hanno cancellato importanti vestigia del passato, Macerata e le sue frazioni evidenziano un’architettura prevalentemente rurale, raramente interrotta da edifici di maggiore importanza.
Fra gli edifici civili di epoche più remote merita certamente di essere ricordata quella che fu l’abitazione del Santo maceratese S.Stefano Menecillo95. Lo storico Jannelli, nel suo già citato volume, dice che S.Stefano era nato nel piccolo villaggio di Macerata nell’anno 935 “dalla gente di que’ medesimi Menicilli estinti poi in Capua con cospicuo grado di nobiltà". Forse i genitori si S. Stefano, Giovanni e Guiselberta, si erano trasferiti nel piccolo villaggio di Macerata per curare i loro interessi economici, in realtà piuttosto modesti, legati al lavoro della terra.
Certamente dunque la casa nella quale abitava il piccolo Stefano era una tipica abitazione contadina in cui, si racconta, il fanciullo fu educato per mano degli onesti genitori negli esercizi della cristiana pietà.
Gli anziani del paese sono depositari di una tradizione orale legata alla vita del Santo e raccontano in particolare un episodio rimasto famoso.
Sembra che la mamma del piccolo Stefano un giorno avesse lasciato il figlio solo in casa dopo aver provveduto a cuocere parecchie focacce di pane nel forno a legna annesso all’abitazione. Ebbene, il ragazzino, in assenza della madre, distribuì tutte le pagnotte ai poveri venuti a bussare alla sua porta e poi richiuse accuratamente il forno. Quando la mamma rientrò e fu informata dell’accaduto, non nascose una certa disapprovazione, ma con sua grande meraviglia, riaprendo il forno, notò che il pane era ancora lì, anzi in quantità maggiore. È uno dei miracoli di S.Stefano che i Maceratesi amano raccontare ai piccoli per indicare loro nel santo un modello di virtù cristiane.
Oggi non rimangono tracce della vecchia casa, perché l’edificio è stato più volte ristrutturato e niente si è conservato dell’epoca. Unica testimonianza è la lapide commemorativa collocata dal Comune, in occasione della celebrazione millenaria della nascita di S. Stefano, accanto al portone di ingresso di quella che doveva essere la sua casa, lungo la via, appunto, “S.Stefano” in Macerata.
Per i secoli successivi (le prime testimonianze più sicure risalgono al Cinque – Seicento) non è possibile parlare degli edifici civili se non collegandoli strettamente alla composizione sociale degli abitanti del paese. Allora la popolazione di Macerata comprendeva la numerosa categoria degli artigiani, nella quale rientravano i barbieri, i sarti, i calzolai, i falegnami, i “mannesi,”96 i muratori ed i vari rappresentati di tutte quelle attività necessarie al fabbisogno quotidiano della comunità; altri due ceti erano quelli dei “Cafoni” e dei “Massari”.
Il ceto dei cosiddetti “Cafoni” (il termine non ha mai avuto significato dispregiativo) accoglieva una moltitudine di persone dedite alla lavorazione della terra, spesso contadini affittuari di appezzamenti di terreno. Ai braccianti della campagna erano riservati i lavori più duri dell’aratura, della mietitura del grano e del fieno. Uomini e donne, poi, per molti mesi dell’anno erano impiegati nel faticoso procedimento che richiedeva la coltivazione e la lavorazione della canapa, bene e prodotto principale dei tanti paesi dell’antica provincia di Terra di Lavoro. La canapa ha visto intere generazioni vivere parallelamente (ed in simbiosi) alla sua evoluzione nel corso delle annate. Un brano di storia tutto da ricordare è quello riguardante le donne impiegate alla “macennola”97 . Le nostre “maciulatrici”, giovani e robuste ragazze, riempivano le calde giornate estive dei loro canti impegnandosi ad assestare forti colpi sulle “mattole”98 di canapa per liberare la fibra dal residuo legnoso, mannelle in precedenza passate attraverso la macerazione nell’acqua dei “lagni” e l’essiccazione al sole cocente. La vita dei lavoratori della terra era stentata, ma mai misera del tutto.
Il cruccio maggiore che assillava il piccolo affittuario era il rispetto dei patti, sempre vantaggiosi per il padrone. Al padrone andavano parte dei raccolti, un corrispettivo in denaro e in natura. Nel costume e nella tradizione del paese restano famosi e indimenticabili i “canestri” consegnati ai “signori” nelle ricorrenze del Natale, della Pasqua e nel mese di agosto. Vino, uova, noci, capponi e ogni ben di Dio erano offerti al padrone con animo più incline alla rabbia che alla gioia di donare.
Nel ceto dei “massari”, invece, le cose andavano diversamente. La categoria, molto ristretta, poteva contare su un discreto patrimonio terriero e su di un palazzo, completo di tutte le pertinenze quali pozzo, lavatoio, forno, stalle e rimesse per carrozza, carri e animali, capienti “suppenne” per riporvi fieno, paglia, cannapuli, legna e canapa.
All’interno del palazzo si accedeva dall’enorme portone ad arco, alto e largo, tale da non creare impedimento alle manovre d’uscita ed entrata dei traini carichi di canapa, paglia e altri ingombranti prodotti della campagna. Dal portone si entrava nell’ampio cortile ove si notavano archi e volte di chiara architettura ispano-moresca.
Il gran cortile, il “luogo” nel dialetto locale, fungeva anche da aia dove si spandeva, a rotazione, il grano, il mais e si lavorava la preziosa canapa.
Al piano terra si trovava la grande cucina con l’enorme focolare, le pareti ricoperte da pentole di rame e le credenze ripiene di profumati pezzi di pane. AL soffitto pendevano lardi, prosciutti, salsicce, capicolli e numerosi altri generi commestibili. In un angolo del cortile si apriva una porta che immetteva alle cantine ove erano stipate varie botti di vino.
L’aspetto urbanistico di Macerata del secolo XVIII risultava racchiuso nel perimetro formato dallo snodarsi della “Via Pubblica”.
Essa, con molta probabilità, era la strada che oggi parte dalla Piazza delle “Chianche”, raggiunge la Piazza Croce e, attraverso via S. Stefano, prosegue, poi, per via Gobetti fino a raggiungere di nuovo la Piazza “Chianche”.
Nel catasto del 1753 le strade non hanno alcuna denominazione, segno che la “Via Pubblica” era la strada principale sulla quale si affacciavano le abitazioni, le botteghe degli artigiani e le botteghe commerciali. Altra indicazione presente nei documenti riguarda le “vinelle comunali”, che dovevano essere certamente stradine strette e secondarie. Gran parte delle case erano stanze a piano terra; quasi tutte avevano un cortile, il pozzo, il lavatoio, il forno ed altre “comodità” in comune. Alcune case erano dotate di “cocine e cocinelle”99. I forni erano dotati di tutti gli attrezzi necessari per infornare il pane che ogni famiglia si procurava di fare. Tra questi indispensabili erano il “frucone”100, la “panara”101 ed il “rataviello.”102 Non mancavano nella parte inferiore dei forni le fornelle per depositarvi la brace e le ceneri combuste che venivano usate come “detersivo” per il bucato. Per le nostre ave il bucato era un’operazione molto faticosa. Si incominciava di buon mattino con l’attingere acqua dal pozzo e riversarla nel lavatoio. Una corda avvolta ad un argano (“vinnolo”) serviva a calare nel pozzo il secchio ad essa legato e quindi a issarlo pieno d’acqua. E questo per numerose volte. Finito il bucato, i grandi lenzuoli di canapa venivano posti ad asciugare al sole negli ampi cortili (“luoghi”) su delle funi legate ad anelli fissati nei muri. Nelle case il focolare era costituto da un breve piano rialzato con un camino di tiraggio per il fumo. Vi si cucinava il frugale pasto e nelle sere d’inverno accanto al fuoco si recitavano le orazioni e si narravano racconti e leggende. Sempre nel catasto del 1753 gli abitanti di Macerata in maggioranza risultavano proprietari di case. Ma qui tale termine sta ad indicare una sola stanza. Non mancavano comunque edifici più o meno consistenti, veri e propri palazzi, abitati soprattutto da massari o da qualche famiglia gentilizia.
 Palazzo d’Addio è tipico esempio d palazzo contadino, fatto costruire all’inizio del XIX secolo dalla famiglia D’Addio. Maestranze locali usarono come materiali da costruzione tufo e arenaria per questa abitazione rurale. Nella struttura del portone colonico può rivelarsi tutta la logica di sobrietà, funzionalità e robustezza del mondo agricolo. L’arco a pieno centro conferisce all’ingresso un’ariosità potente. Il tufo, ben tagliato e compassato nell’arco, rende omogenea la facciata. L’ampia apertura lasciava notevole libertà di manovra al mezzo agricolo (“traini”) e alla bestia da soma. Lo zoccolo degli stipiti, in dura pietra calcarea, difendeva l’ingresso dai colpi e dagli urti dei “traini”.103
Una delle più notevoli abitazioni gentilizie del Casertano è invece Palazzo Nacca, il cui committente, Tommaso Nacca, affidò a maestranze locali, all’inizio del XIX secolo, i lavori di costruzione della residenza signorile. La perizia delle maestranze locali nell’uso del tufo e dello stucco si esprime nella sobrietà dell’impianto e dello sviluppo dell’edificio, ma anche nelle ricercate modanature e nel corredo di particolari decorativi di sicuro rilievo. Due gli ordini architettonici del corpo del palazzo, coincidenti con i due livelli, mentre dal corpo si sviluppa un’imponente torre. A rendere degno di nota il pianterreno, oltre al bugnato con alternanze di liscio e scabro, sono due aperture: il portale di ingresso e la porta della cappella gentilizia. Nel primo si esprime con piena eleganza tutta l’arte e la precisione dei maestri dello stucco locali. Nel timpano del portale trionfa lo stemma araldico con i due gigli e l’uccello, fiancheggiato dalle volute di acanto e da antilopi rampanti. La porta della cappella è ad arco a tutto sesto.

 

Palazzo

Palazzo
Palazzo "S.Stefano" – Via S. Stefano

 

Gli affreschi del Seicento - Settecento nelle dimore storiche di Macerata Campania
Alla tradizione maceratese di affrescare le volte ed i soffitti (come vedremo in seguito) con stili pittorici classicheggianti, ma con peculiarità locali a volte evidenti a volte no, si affiancava quella di dipingere od affrescare le pareti interne ai cortili.
La “corte” (cortili), di evidente e marcatura cultura contadina, a volte, per le favorevoli condizioni economiche, si impreziosiva d’arte. Le pareti esterne, specie quelle dei piani sopra terra, venivano affrescate con motivi e ispirazioni di varia natura. Le superfici delle pareti dei piani superiori venivano delimitate, in corrispondenza dei muri divisori interni delle stanze, con lesene (antiche scanalate) sormontate da capitelli a parete di vario genere (dorico, ionico o corinzio) e dimensioni.
Le superfici tra le lesene, interrotte dalle porte di accesso alle stanze, erano affrescate con dipinti spesso ispirati da motivi religiosi: ex-voto od anche di presunti miracoli, episodi biblici od episodi della vita di Gesù Cristo, degli Apostoli o dei Santi. Gli affreschi, riportati nelle pagine seguenti, ripropongono all’osservatore alcuni episodi di origine e motivazioni religiose non precisamente identificabili. Essi coprono a tutta altezza le pareti interne, la nord e la est, di una “loggia” al primo piano del palazzo Mincione in Piazza Croce (Palazzo Mastuzzeppa). Questi affreschi possono essere, con una certa approssimazione, datati al XVII secolo.
Questa nostra affermazione è motivata dalla presenza nello stesso sito di un cippo in granito (ma forse si tratta di una trabeazione) epigrafato con caratteri latini ed in lingua latina dell’epoca. Nel corpo dell’epigrafe abbiamo rinvenuta la data del 1637 ed il riferimento a Pompeo Mincione (proprietario) ed è perciò che abbiamo affermato di poterla datare del XVII secolo (vedi foto del prospetto del palazzo e del cippo o trabeazione).
È ovvio pensare che in quel periodo storico non vi fosse solo il “Palazzo Mincione” ad avere la loggia interna affrescata, ma che ogni altro palazzotto con “corte”, abitazione di un qualche signorotto, ne avesse con affreschi di vario stile, ispirazione e pregio artistico.
La serie fotografica delle pagine seguenti viene da noi proposta al lettore perché ne faccia motivo di considerazioni più “profonde” sulla nostra Macerata Campania.

Pasquale Capuano 

 

Palazzo Mincione – Via Elena
Palazzo Mincione "Mastuzzeppa" – Via Elena
Di seguito sono riportati gli affreschi alle pareti esterne del primo piano a tutta altezza.


Palazzo Mincione – Via Elena

Palazzo Mincione – Via Elena
Cippo/trabeazione posto nell’androne a destra di chi entra.
Dalla struttura in esso incisa si evince la data del 1636.


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena

Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena -


Palazzo Mincione – Via Elena

Palazzo Mincione – Via Elena

Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena – Particolari sopra i vani porta al 1º piano

 
Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena


Palazzo Mincione – Via Elena
Macerata C. – Palazzo Mincione – Via Elena

 

 

Gli affreschi dell'Ottocento nelle dimore storiche di Macerata Campania

A Macerata Campania le stanze ( salotto, pranzo, letto e cucina)
affrescate per la casa del "Borghese"
104

I soffitti decorati nell’800 compongono un divertente racconto per immagini, ove tranquille divinità pagane raccontano i loro miti. Qui la fantasia si nutre di miracoli terrestri, creature celesti e stemmi araldici. Le stanze affrescate sono, in realtà, “stati ambientali” di un modo di vivere e anche se l’opera pittorica appare anche qui specialistica, essa è, invece, favolistica e racconta, attraverso la magia delle cose, i tempi di una civiltà, di un’educazione, di una classe.
Questi concetti etici di grafica pittorica gli esecutori dei soffitti espressero, utilizzando con abilità ornamenti e tarsie per creare dei “tromp l’oeil” ricchi di inganni prospettici e con contrasti e coloriture particolarmente vivaci.
Sontuoso soggetto, prescelto nello studio anticamera del salotto.
Il padiglione dipinto venne addobbato con tessuti rigati, al centro si innestarono panoplie e trofei , con fregi in stile. Nelle decorazioni dei saloni, verso la fine del secolo XIX, molte fastose pitture sono di carattere “Umbertino”. (Questo stile pittorico riproponeva, infatti, arricchendole a suo modo, le antiche forme rinascimentali della grande tradizione italiana spesso mescolate ad altri elementi derivanti, per esempio, dalle architetture della tarda Romanità).
L’estrosa pittura di decorazione viene strumentalizzata per il gusto celebrativo e nelle sale di ricevimento è chiaro il ricorso a mezzi facili pur di ornare e rendere attraenti le superfici delle volte con fregi, luminescenze ed invenzioni ammalianti.
L’artista esecutore incosciamente priva le linee, le forme e le coloriture delle composizioni, di ogni espressione di linguaggio edonistico ed effimero.
Nelle pagine seguenti riportiamo una serie di immagini fotografiche, riproducenti gli affreschi, oggetto di studio di Nicola TARTAGLIONE, delle volte di alcuni palazzi storici di Macerata Campania riprese dal settimanale indipendente “Il Caffè”, con riferimenti al testo di ACCOLTI GILL << Gli affreschi dell’800 nelle dimore storiche della Provincia di Caserta>> Edizione De Luca-Roma. (Vedi foto seguenti)
All’Accolti Gill noi lasciamo la paternità delle affermazioni, data la nostra perplessità sui proprietari delle case descritte.

 

DA I SOFFITTI DELLA FANTASIA
DI ACCOLTI GILL BIAGIO


Soffitti
Casa Stellato, salotto musicale. La panoplia musicale al centro sala è composta allegramente con mandolino, tamburo, tromba, fiori e foglie. Non poteva mancare lo spartito musicale dell’Aida di G.Verdi.


Soffitti
Casa Vertaldi, camera da pranzo (dettaglio). Un fauno antico si riposa in plastica posizione ed un piatto dipinto all’angolo della...


Soffitti
Foto 6 – Casa Piccirillo, il salotto. Un incontro d’amore infantile è raffigurato al centro della scala: amore e psiche sono pronti a scambiarsi le prime effusioni.


Soffitti
Foto 3 – Casa Piccirillo, camera da letto. Cinque angeli volanti intrecciano danze attorno ad una “Divinità Farfalla”. Negli angoli della stanza i colombi rappresentano le quattro fasi del corteggiamento.

 

 

SECOLO XIX

Le tecniche pittoriche in uso nella esecuzione
delle decorazioni murali nel XIX secolo.105

Nel XIX secolo l’affresco fu usato raramente , perchè  il dipinto si realizzava su intonaco fresco, sistema questo che richiedeva rapidità di esecuzione; si adoperavano invece metodi più semplici e meno impegnativi anche in ragione delle grandi superfici da decorare. Comunemente adottata fu la pittura a tempera che consentiva di lavorare su intonaco gia <<riposato>> ovvero completamente asciutto. A differenza dell’impasto usato nella base per l’affresco, la granulosità dell’intonaco ottimale per la tecnica era carente di polvere di marmo onde ottenere una superficie meno levigata a più assorbente.
Quando le volte risultavano intonacate in modo non soddisfacente venivano <<incartate>> oppure <<intelate>> prima di dare corso alla decorazione. Nel caso dei soffitti piani molto spesso tutta la superficie da dipingere era realizzata con una tela fissata su di un telaio in legno. Questo sistema era necessario per coprire i solai costruiti con travi di legno e più tardi con putrelle in ferro raccordate da voltine in mattoni.
L’artista raramente eseguiva l’opera su bozzetto predisposto, lo studio della decorazione veniva impostato sulle pareti dello stesso ambiente da decorare ed era discusso con il committente ascoltandone le idee e le preferenze sul tema e sullo stile della composizione. Il posizionamento delle figure derivava dall’orientamento delle finestre ricercando gli effetti pittorici migliori per sfruttare l’illuminazione naturale.
Definito il bozzetto, le parti meno importanti dell'insieme, cornici ed elementi architettonici venivano affidate ad allievi esecutori mentre l’artista preparava gli <<spolveri>> schizzi a carboncino su carta leggera in grandezza definitiva, componenti le parti principali dell’opera.
Seguendo i contorni e le linee fondamentali del disegno, lo <<spolvero>> veniva fittamente bucherellato ed appoggiato sulla superficie da decorare con un tampone di garza lo si cospargeva di terra d’ombra che passando sull’intonaco attraverso i fori individuava il disegno.
Tale sistema consentiva un controllo dimensionale dell’assieme, eventuali varianti erano facilmente apportabili in caso di imperfezioni prospettiche o di composizione.
Eseguito il controllo ed eseguendo la falsa riga ottenuta l’artista riprendeva la traccia e sviluppava il dipinto guidato nella scelta e delle tinte e delle rifiniture dall’estro e dalla ispirazione del momento.
Tra le tecniche impiegate dagli artisti nella esecuzione di decorazioni, interessante è quella della <<rullatura>> che consentiva di imitare alla perfezione i disegni delle tappezzerie di damasco. Tale tecnica consisteva nell’uso di un rullo cilindrico attorno al quale si fissava uno stampo di piombo o di altro materiale flessibile. Nel cilindro era versata la tinta a tempera che avrebbe imbevuto lo stampo e quindi trasferito l’imprimitura del disegno sull’intonaco.
Con un sapiente uso dei colori ed una dosata scelta delle sfumature era possibile imitare le cangianti stoffe di seta fino ad ingannare il più attento osservatore . Tale tecnica fu usata per committenti che non avendo la possibilità economica di tappezzare le proprie stanze di vera seta, non vollero rinunciare all’effetto di raffinata sontuosità che tale stoffa garantiva. Col tempo l’uso della carta si sostituì alle stoffe ed anche le tecniche artigianali di imitazione andarono scomparendo fino ad essere dimenticate.
I tempi di esecuzione delle opere descritte erano in relazione alla ricchezza delle composizioni, alla dimensione in superficie ed alla portata economica del committente.

 

 

SECOLO XIX

Il contesto storico

Neri primi decenni del secolo diciannovesimo, con il consolidamento della monarchia borbonica, si andò formando nella provincia campana una ricca borghesia che traeva le sue risorse economiche dall’agricoltura, dal commercio e dall’artigianato imprenditoriale.
I grossi centri106 urbani della Provincia di Caserta si andavano arricchendo di nuove <<fabbriche>>: abitazioni e ville che nella struttura riproponevano più modestamente le grandi case dell’aristocrazia del capoluogo campano.
La nuova società borghese cominciò ad imitare il costume di origine feudale e, pur restaurando in dimensioni più limitate, cercò di emulare decoro  e pomposità, usando nelle case e nelle ville schemi decorativi talvolta superati, ma interpretati con ingenua e gustosa freschezza.
Nelle popolose cittadine della pianura della Provincia di Caserta, Capua, Caserta, Marcianise, Maddaloni, Aversa, S.Maria C.V., ecc., si costruivano residenze squadrate e serene intorno ai vecchi borghi, le corti (i cortili) erano vaste ed il modello infinitamente ripetuto fu quello della case murattiane.107 La casa, quasi sempre costruita per una sola famiglia, presentava un disegno in pianta e in elevazione che rimase d’uso pressoché invariato per tutto il secolo.
La facciata principale, generalmente allungata e scandita da paraste108 e lesene in stucco, si imposta generalmente su di un asse centrale corrispondente all’alto portale di accesso.
La decorazione delle lesene e delle paraste109 come degli architravi e trabeazioni e degli ornati delle finestre risulta modesto.
Generalmente al piano terreno erano situati locali destinati al magazzinaggio dei prodotti agricoli provenienti dai campi coltivati, le scuderie e gli alloggi di servizio; a questo livello gli ambienti riservati all’uso famigliare si riducevano ad una saletta studio ove il capo famiglia amministrava l’andamento dei beni e talvolta ad una saletta da pranzo o di ritrovo (a servizio del giardino). Le rimesse e i depositi si aprivano sulla corte che da un lato confinava con il giardino interno: questa soluzione era una sorta di compromesso tra l’orto, l’agrumeto e un parco all’italiana.
Sempre a piano terra i cortili erano in molti casi delimitati da grandi ambienti destinati alla lavorazione dei prodotti della terra (olive, uva ecc.), granai, fienili e anche stalle.
In tale composizione di pianta terranea al livello delle abitazioni (Piano elevato) corrispondevano ampie terrazze con le balconate decorate con vasi e piante.
Questo tipo edilizio, con quasi nessuna variante e anzi a volte arricchito dal gusto e dalla sensibilità estetica dei proprietari, lo ritroviamo in più di un esempio a Macerata Campania: palazzo De Michele, palazzo Piccirillo, palazzo Vetrella, palazzo Raimondo (in Corso Umberto I); palazzo Nacca T. (prop.Rauccio(?)), palazzo Nacca geom. Tommaso, palazzo Rauchi Enrico (Caturano), palazzo Nacca Enrico Eredi (Casalba – via Rovereto).
Negli esempi minori, espressioni di una classe sociale meno esigente e volta ad interessi amministrativi e professionali, sono aboliti i cortili e al piano della strada (terreno) rimangono i magazzini destinati a rimesse e più tardi trasformati in botteghe artigianali; mentre le volte a vela in tufo e malta vennero sostituite110 da solai in ferro e voltine in mattoni o “spaccatele”.
Pertanto, architettonicamente e funzionalmente realizzata nelle sue linee rigorose, con gli ambienti interni ben rifiniti e ben dimensionati, la casa padronale o “di signore”si offre come sfondo ideale per la <<decorazione>> e le volte delle stanze più raramente le pareti111, con felice intuizione tutta locale diventano soavi dive , la fantasia dell’autore esprime immagini, sia figurative sia architettoniche di un certo spessore artistico (Vedi la serie fotografica nelle pagine seguenti).
Di seguito abbiamo riportato una documentazione fotografica, da noi raccolta e che rappresenta solo una parte delle decorazioni ed affreschi presenti nelle case padronali di Macerata Campania.
Non abbiamo cercato di procedere ad una classificazione datata delle opere e degli stili in quanto entrambi gia ampiamente e validamente descritti da altri autori competenti: ma inseriamo nell’arco di tempo che va dalla prima metà del diciassettesimo secolo112 al terzo decennio del secolo ventesimo i palazzi padronali citati prima.
I concetti e i dati riportati nel presente paragrafo sono stati liberamente desunti da ACCOLTI GILL BIAGIO <<I soffitti della fantasia>>.

 

 

GLI AFFRESCHI DEL NOVECENTO NELLE DIMORE STORICHE DI MACERATA CAMPANIA

SERIE FOTOGRAFICA DI DIMORE PADRONALI

 

 

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Stemma del comune di Macerata Campania

 
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Macerata Campania – Casa Comunale


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Macerata Campania - Palazzo De Michele – Facciata


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Macerata Campania - Palzzo Porto - Tuosto – Via Gobetti -


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Palazzo Francesco Saverio Capuano – Frontespizio ristrutturato - Via S.Stefano
Di notevole effetto la parte posteriore esterna al primo piano con stella a sei punte a basamenti ordinate su linee oblique. Al piano terra spiccano, per il notevole pregio esecutivo, il bugnato continuo, il portone in legno massiccio (modanato) ma soprattutto gli stucchi decorativi del portale ad arco ribassato circolari, i cordoni, la mostra a timpano rettangolare le modanature del piano d’imposta. La facciata intera fu seguita dai germani Capuano, muratori e stuccatori provetti.


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Macerata Campania - Palazzo Vetrella – Raimondo – Facciata e Portale

 
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Macerata Campania - Palazzo Stellato – Via S.Stefano
Originariamente ricco di affreschi, stucchi e motivi architettonici di un certo pregio artistico, appare oggi completamente devastato da incuria e danneggiamenti di tipo vandalico e a scopo di lucro. Sono stati asportati da parte di ladri pavimenti, tele e quant' altro avesse valore artistico e venale. Nelle pagine seguenti riportiamo una tela a tempera particolare che da una idea abbastanza realistica del valore dell’artista che l' ha eseguita, malgrado l’azione del tempo dell’incuria e dei vandali soprattutto.
La fotografia, che segue quella della tela, riproduce l’orditura piccola in lamelle lignee (legno di castagno) ad intreccio fitto (soffittatura) su cui venivano incollati gli strati di tela e di carta utili alla predisposizione del piano di disegno da noi descritto in laltra parte del presente testo.


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Macerata Campania - Palazzo Stellato – Studio – Soggiorno 1º Piano

 
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Macerata Campania – Palazzo Nacca – De Felice – Via Mazzini

 
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Macerata Campania – Casa Nacca-De Felice – Via Mazzini – Camera da letto –Soffitto – (1920?)

 
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Macerata Campania – Casa Nacca-De Felice – Via Mazzini

 
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Macerata Campania – Casa Nacca-De Felice – Via Mazzini - Particolare d’angolo e di parete della sala da pranzo.

 
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Macerata Campania – Casa Nacca-De Felice – Via Mazzini - Particolare d'angolo e di parete.


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Macerata Campania – Casa T.Nacca – Via Gobetti
Dimora padronale non più abitata ma saltuariamente adibita a luogo di ritrovo per amici e come sede dei tornei di bridge, di cui il proprietario è un accanito, appassionato e competente giocatore. E’ pertanto, molto ben tenuta e curata nelle strutture e negli arredi; gli affreschi dei soffitti e pareti sono ben conservati.


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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Sala da pranzo – Affresco centrale del soffitto.

 
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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Sala da pranzo – Particolare d’angelo.

 
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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Salotto– Affresco centrale del soffitto.

 
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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Salotto --Particolari d’angolo e del soffitto.


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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Camera da letto – Affresco centrale del soffitto.

 
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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Camera da letto – Particolare d’angolo

 
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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Studio – Particolare del soffitto

 

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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) – Via Mazzini – Tempera – Madonna che allatta Gesù Bambino – Maternità (In basso a sinistra si intravede un precedente lavoro)


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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) Via Gobetti – Prospetto interno casa “signorile".

 
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Macerata Campania – Casa Nacca T. (fu Francesco) Via Gobetti – Prospetto interno piano terra.

 

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Macerata Campania – Casa De Matteis – Disabitata da moltissimi anni la casa si presenta quindi, in completo degrado. La sala da pranzo, a piano terra, si conserva discretamente e il soffitto (certamente eseguito in travi in ferro e volticene a spaccatele con malta) è affrescato con gusto e maestria (come si rileva nelle pochissime altre opere di Mastro Mimì e suo figlio Arduino.


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Macerata Campania – Casa De Matteis – Sala da pranzo – Soffitto dettaglio d’angolo.


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Macerata Campania – Casa De Matteis – Sala da pranzo – Particolare laterale: casa in riva al mare.


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Macerata Campania – Palazzo Gaetano Nacca – in Via Gobetti


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Macerata Campania – Casa Gaetano Nacca – Via Gobetti Studio soggiorno (P.I.) Soffitto con affresco e particolari d’angelo.

 
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Macerata Campania – Casa Gaetano Nacca – Via Gobetti Camera da letto – Affresco centrale del soffitto.

 
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Macerata Campania – Casa Gaetano Nacca – Via Gobetti Camera da letto – Particolari.

 
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Caturano – Casa Enrico Raucci – Stucchi, affreschi, modanature, tinteggiature e tappezzerie sono opera dell’artista Luigi SCHIAVONE da Curti(??). Architettura e struttura in muratura di tufo con volte a vela (certamente eseguita con malta e “spaccatele”) Le pareti gli ambienti della sala da pranzo e della camera da letto sono tappezzate con damascato.


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Caturano – Casa Enrico Raucci Sala da pranzo – Affresco centrale della volta a "vela"


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Caturano – Casa Enrico Raucci -Particolare d’angolo della volta.

 
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Caturano – Casa Enrico Raucci – Camera da letto – Affresco centrale della volta a "vela"


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Caturano – Casa Enrico Raucci Sala da pranzo – Dettaglio laterale


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Caturano – Casa Enrico Raucci – Dettaglio della volta a "vela"

 
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Caturano – Casa Enrico Raucci – Dettaglio della tappezzeria di parete in tessuto damascato

 

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95 Secondo la più accreditata agiografia, S.Stefano Menecillo nacque a Macerata nell’anno 935 da Giovanni e Guiselberta. I suoi genitori “umili e timorati da Dio” erano proprietari di un forno dal quale, secondo una tradizione popolare, ravvivata nei secoli fino ai nostri giorni, diversi pezzi di pane sparivano per finire nelle bisacce dei poveri, sin da quando Stefano era piccolo. Nella badia di san Salvatore Maggiore di Capua, nel 942, si avviò all’ordine sacerdotale. Nel 965 circa fu nominato abate della stessa chiesa di San Salvatore. Nel 979, a seguito della morte del Vescovo Orso, rimase vacante la sede vescovile di Caiazzo. Il popolo e il clero di questa diocesi acclamò per il suo pastore il sacerdote di Macerata. Consacrato dall’Arcivescovo di Capua per circa mezzo secolo guidò quella diocesi fino al 29 ottobre 1023, data della sua morte. Nel 1195 era già stato destinato agli onori degli altari col titolo di Santo, come informa Antonio De Simone – A. De Simone – Vita di S.Stefano – Caserta 1979.
96 Carpentieri del legno fabbricanti di carri e “traini” e di altri pesanti attrezzi agricoli.
97 Attrezzo agricolo necessario alla frantumazione della canapa.
98 Mannelle
99 Piccole stanze per accendervi il fuoco.
100 Spiedo lungo.
101 Pala per infornare i pezzi di pane.
102 Piccolo attrezzo di legno per tirare e rimuovere i pezzi di pane all’interno del forno.
103 (carretti a due ruote trainati da buoi o cavalli muniti di due lunghe stanghe tra le quali venivano aggiogati gli animali per il traino/trasporto. I “traini” hanno lasciato il segno del loro continuo passaggio nei profondi solchi scavati dai mozzi dei carri, ancora evidenti in molti muri di tufo delle case. L’elevato numero di carri che servivano per lo svolgimento delle varie fasi di coltivazione e di lavorazione della canapa fece aumentare il numero di artigiani chiamati “mannesi”, addetti alla loro costruzione. Richiesti anche nei paesi vicini, i carri costruiti a Macerata furono talvolta utilizzati per il trasporto dei pesanti bagagli della famiglia reale dei Borbone e della numerosa corte nei vari spostamenti da Napoli, o da Portici, per Caserta.)
104 Da una recensione del 6/10/2001 di Nicola Tartaglione – Architetto marcianisano
105 Da Accolti Gill <<Gli affreschi dell’8oo nelle dimore storiche della Provincia di Caserta>>
106 Nei piccoli centri come Macerata, invece, cominciarono a sorgere le costruzioni dette << i case ‘e signore >> e   << i case ‘e massare >>
107 Questo stile architettonico si innestò con molta facilità su quello spagnoleggiante delle “case a corte” ma a piano singolo.
108 Pilastri parzialmente sporgenti dalla linea del muro entro il quale sono inseriti. Hanno solo funzioni architettoniche.
109 Solo raramente culminarono con capitelli
110 Nella seconda metà del secolo XIX.
111 Eccetto il caso di palazzo Mincione in via Umberto I
112 Palazzo Mingione (Mastuzzeppa) – Via umberto I

 
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