La Zeza

INTRODUZIONE E CENNI STORICI
Sopravvissuta all’azione impietosa delle mani del tempo ed all’opera inquinante dell’uomo, la “Canzone della Zeza”, di origine genericamente campana, è stata in qualche modo trattata e rivista nella trama e nei costumi da alcuni gruppi di Maceratesi e di alcune associazioni culturali di Macerata Campania. Questi cultori della tradizione popolare e del folclore hanno operato una sorta di assimilazione degli originali motivi ispiratori della tradizionale rappresentazione della “Zeza” per raggiungere l’obbiettivo di inserirla nel vissuto culturale maceratese e nel preesistente contesto tradizonal/folclorico maceratese. La “Zeza” a Macerata è sostanzialmente un pezzo di teatro popolare accettato e apprezzato. Ma ha comunque conservato il carattere di un “rito di passaggio”, inteso in chiave antropologica. L’azione (il soggetto, la trama) è totalmente cantata ed accompagnata da una banda musicale. Nell’edizione maceratese i 5 personaggi tradizionali: Pulcinella, sua moglie Zeza (diminutivo di Lucrezia), la loro figlia Porziella (o Vincenzella), don Zinobia, o don Nicola (dottore o abate), innamorato di Porziella (o Vincenzella), il Marinaio (o pescatore) diventano sei.

“... 27 Se oggi la danza si va riducendo ad una banale forma di trattenimento di società, essa invece ha avuto ed ha tuttora, una grande importanza come fatto ritualistico ed estetico nella storia della civiltà umana. La danza in passato è stata sempre un elemento essenziale nei riti religiosi e nelle tre arti (poesia, musica e teatro). Il ballo ha avuto sempre una notevole parte, come momento integrativo o come spettacolo a se stante in ogni attività artistico – scenica.” 28

L’antico significato ed il valore intrinseco, utili ai fini di uno studio, almeno descrittivo, nelle nostre contrade, delle varie forme di danze tradizionali che ancora sopravvivono, le si può intensamente sentire se le si suddividono nella classica scansione di danze “in tondo”, danze “armate”, danze di “corteggiamento”, danze di “società”. La “Zeza” delle contrade maceratesi va certamente inclusa tra le “Danze di corteggiamento”, mentre il “Laccio d’amore”, può essere inserito tra le danze “ in tondo”. Una storia della Zeza, molto utile per una buona comprensione delle connotazioni folcloristiche a partire dalla struttura scenica (schema della trama), artistica (testo e musica ), costumistica, tradizionale e storico sociale ce l’ha fornita Alberto Della Gatta, del Gruppo Folk Casalba”, al quale va il nostro plauso solidale per il suo impegno non solo fisico e mentale, finora profuso per suscitare interesse intorno a questo tipo di attività culturale. Di seguito riportiamo integralmente il testo ricevuto dal signor A. Della Gatta.

[27] Da P.Toschi “Il Folclore- Canti, danze e forme drammatiche
[28] P. Toschi – Il folclore -

Trama de la “Zeza”
La Zeza, scenetta carnevalesca cantata al suono del trombone, vide probabilmente la luce nel Seicento, al tempo, cioè, in cui Pulcinella nei disegni di Callot era associato a Lucrezia di cui la Zeza è diminutivo; da Napoli si diffuse nelle campagne adiacenti e con caratteri sempre più diversificati nelle altre regioni del Reame di Napoli. Almeno fino alla metà dell’Ottocento la Zeza si rappresentava nei cortili dei palazzi, nelle strade, nelle osterie, nelle piazze, senza palco, alla luce di torce a vento, ad opera di popolani, attori occasionali o compagnie di quartiere, che si facevano annunciare a suon di tamburo e di fischietto: tale la Zeza è rimasta nelle province meridionali, mentre a  Napoli già nel secondo Ottocento assunse i caratteri di uno spettacolo teatrale gestito da compagnie d’infimo ordine in baracconi improvvisati e fu accolta, esclusivamente nel periodo di Carnevale,  nei teatri frequentati soprattutto dalla plebe, quali il Sebeto, la Stella Cerere, e la bottega di Donna Peppa, dove il pubblico notoriamente interloquiva con gli attori nel corso della rappresentazione “con sfrenatezze di gergo e di gesti”. Questo divertimento cessò agli inizi del nostro secolo: fino ad allora però il testo della Zeza era imparato a memoria da tutti i ceti sociali di Napoli. La sua sparizione dalle strade e dalle piazze era stata determinata anche dai divieti ufficiali: intorno alla metà dell’Ottocento infatti essa era stata proibita dalla polizia “per le mordaci allusioni e per i detti troppo licenziosi ed osceni”. Il testo della Zeza napoletana ci è noto attraverso parecchie trascrizioni ottocentesche, le quali nella regolarità metrica e nella castigatezza verbale tradiscono i più o meno pesanti interventi dei raccoglitori colti. Lo stesso adattamento al gusto del tempo e dei ceti civili mostra la trascrizione  musicale fatta agli inizi del secolo passato dal Cottrau. La Zeza, come la befanata e il bruscello, di cui costituisce il corrispettivo napoletano e di cui ripete nelle linee fondamentali la struttura, può aver avuto qualche connessione con l’annuncio del fidanzamento e dei riti nuziali propiziatori in occasione del Carnevale; d’altra parte rappresentazioni come queste hanno altresì un legame, al limite, analogico, con i matrimoni fiuti di Carnevale, avendo, come quelli, la funzione di erotizzare l’ambiente grazie alla libertà espressiva (verbale e gestuale) eccezionalmente tollerata e in questi casi, quasi obbligatori. La Zeza rappresenta la storia delle nozze di Don Nicola , studente calabrese, e di Tolla (o Vincenzella), contrastate dal padre della donna, Pulcinella, che teme di essere disonorato ed è inconsapevolmente geloso e sostenute da sua moglie Zeza, che è di ben altro avviso e vuole far divertire la figlia “co mmilorde, signure o co l’abbate”; Pulcinella sorprende gli innamorati e reagisce violentemente, ma è punito e piegato da Don Nicola e alla fine si rassegna: “Gnorsì, songo contiento; I Maie cchiù  na parola I Non diciarraggio a lo sì Don Nicola. I Non parìo pe cient’anne, I Songo cecato e muto, I Starraggio ‘n casa comm’a no paputo” (Malato 1960). La Zeza  dunque riproponeva a livello popolare il conflitto vecchi – giovani onnipresente nel teatro colto e semipopolare, con l’esplicita ribellione all’autorità paterna e maritale nei suoi aspetti oppressivi e asociali (rappresentata da pulcinella, che i tratti spropositati e balordi già altre volte, nella tradizione teatrale, avevano reso adatto al ruolo del marito grottescamente geloso); con la vittoria finale dei giovani e la risoluzione del conflitto col matrimonio  si ha la ricomposizione dell’equilibrio familiare a un livello più avanzato. Ma la Zeza  era capace di suscitare emozioni, nello spirito del Carnevale, soprattutto in quanto  rappresentazione in chiave grottesca di scene di vita familiare caratterizzate da una notevole conflittualità  e violenza, non molto dissimile, in questo, dalle scenette pure carnevalesche del Matrimonio di Pulcinella, presenti in molte aree italiane, che riprendono in forma più semplificata queste tematiche: il teatro del carnevale in tal modo metteva a nudo, in una sorta di confessione pubblica, le vergogne della vita coniugale, aggiungendovi il gusto dell’aggressione sadica e dell’esibizione oscena, e, mentre le esorcizzava con l’immancabile lieto fine, invitava a prenderne realisticamente atto e integrare nel sistema culturale  il disordine e l’irrazionale.

 

IMMAGINI DE LA “Zeza” 

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Nella foto: PULCINELLA (Alberto Della Gatta), DOTTORE (Antonio Trotta), ZEZA (Angelo Trotta), VINCENZELLA (Domenico Galante), DON NICOLA (Arcangelo Russo)