Notizie storiche sulle Battuglie di Pastellessa ovvero sui Carri di Sant'Antuono

Il carattere popolano e popolare della rievocazione storica della Sfilata delle Battuglie di Pastellessa, ovvero dei Carri di Sant’Antuono, è una delle peculiarità di questa manifestazione e rappresenta un significativo momento della religiosità esteriore e spettacolarizzata che scaturisce dall’intimo culto che i Maceratesi professano per Sant’Antonio Abate, nato intorno al 250 a Coma (oggi Quemar) in Egitto, sulla costa occidentale del Nilo.
Qualsiasi rappresentazione esteriore del sentimento di religiosità, per risultare efficace, si è sempre dovuta concretizzare in un insieme di atti e scene, ricorrenti nel tempo, oltre che nelle motivazioni, oggetti e soggetti del culto. Sicché la religiosità dei Maceratesi, legata al culto per Sant’Antonio Abate, diventò scena, spettacolo, divertimento, piacere, festa e nel corso dei secoli assunse il carattere di tradizione e, ancor più, di folclore.
A farla diventare un evento eccezionale di demologia ha, in grandissima parte, contribuito la particolare sonorità degli strumenti utilizzati per produrre i ritmi delle tre sonate-base: alla pastellessa, a tarantella e a morto. Il suono, prodotto con strumenti (botti, tini e falci) di molto evidente cultura rurale ed artigianale locale, ben stratificate nel suo tessuto culturale, fanno di Macerata Campania un raro esempio di MUSICA ETNICA, degna di studio.
Le origini dei ritmi, scanditi dai Bottari durante la sfilata dei Carri di Sant’Antuono, si perdono nella notte dei tempi  e sono, senza dubbio alcuno, riconducibili a quelli dell’antica notazione greca. Infatti, quando, durante le esecuzioni delle sonate, il Capitano impartisce ai Bottari precisi canoni ritmici attraverso l’intensità della gestualità delle mani-braccio-viso-corpo, egli non fa altro che tradurre gli accenti ritmo/fonetici dell’antico linguaggio greco in un linguaggio mimico, quanto mai espressivo ed efficace ai fini di una musicale armonia di suoni, tratti da strumenti ancestrali, rozzi, disarmonici e percossi con attrezzi altrettanto poco adatti a creare vera musica.
Il capitano del Carro, direttore dei suoni, con la sua gestualità dà indicazioni per l’esecuzione dei toni e dell’intensità della musica da eseguire e, inconsapevolmente, non fa altro che applicare le regole dei tre accenti: grave, acuto, circonflesso, che presso i Greci venivano utilizzati per indicare graficamente le inflessioni ritmo-fonetiche dell’antico sistema musicale greco e, quindi, l’altezza del tono (alto, medio, basso) e della sonorità (ascendente, discendente, statica), come riportato dai Proff. Raffaele Tuosto e Giuseppe Bruno. Mentre dalla lezione del Dott. De Crescenzo si rileva che queste Battuglie di Pastellessa, ovvero Carri di Sant’Antuono sembrano trarre origine dai Fescennini versus, che rappresentano la forma più antica del teatro latino di provenienza etrusca. Anche i Fescennini consistevano in rappresentazioni semplici che venivano eseguite in occasione di feste campagnole durante le quali si dava libero sfogo allo spirito salace italico. Narrava Virgilio nelle sue Georgiche (II,385e segg.): i coloni ausoni si divertono con versi rozzi e riso sfrenato... !.
Anche Orazio ricordava, nella Epistola Seconda:  gli attori (nelle sagre propiziatorie) erano contadini che nei panni di festa, per ristorare il corpo e l’animo insieme con i compagni di lavoro, con i figli e le consorti, si propiziavano la Madre Terra e il Genio Ammonitore della brevità della Vita con un porco e con il vino. (da I CARRI DI SANT’ANTUONO ovvero Le battuglie di Pastellessa , Ed.2006  e S. ANTONIO ABATE E I CARRI DI SANT’ANTUONO, Ed. 2008  di Pasquale Capuano – Edizioni Esaurite e da Proff. R. Tuosto, G. Bruno, S. De Crescenzo).

Pasquale Capuano