Parte Seconda - Il sito
Capua antica

«… Scrive il grande Oratore (Cicerone) che l’antica Capua (attuale S. Maria C.V.) era una città troppo nobile e troppo bella; le sue muraglie (la cinta di mura fortificate) erano di larghezza palmi dieci; era circondata da fossi spaziosi, che arrivavano alla larghezza di passi cinquanta e il circuito delle sue mura giungeva a trentadue “stadii”…»(20).
Così scriveva il F. Granata e noi abbiamo voluto sviluppare le misure da lui indicate, in specie per quanto riguardava l’estensione, e abbiamo accertato che la cinta muraria, quasi circolare, aveva un diametro di oltre due chilometri. Di conseguenza, se noi prendiamo come centro approssimativo i “Balnea Populi”, noi vediamo che questo primo nucleo ipotizzato come Aedes Alba (attuale Macerata) effettivamente si trovava dentro la cinta muraria, presso la Porta Atellana e in corrispondenza della Porta Albana. Infatti considerando che la lunghezza di uno “stadio” pari a 190 dei nostri metri e moltiplicando per 32, vediamo che la lunghezza delle mura è di metri 6080. Dividendo, poi, per il 6,28 troviamo la lunghezza del raggio di questo “circuito delle mura” che è di metri 968, che in linea d’aria coprono ampiamente lo spazio intorno alla Cappellina di S. Maria delle Grazie(19b), in zona “Aqualonga” (che noi riteniamo essere il sito su cui insisteva il primo nucleo abitativo di Macerata (Aedes Alba = Casalba?).
A questo nostro calcolo abbiamo trovato il riscontro nello stesso F. Granata che, nello stesso testo, capitolo e libro, così scrive: «… Allora la città di Capua (attuale S. Maria C.V.) pigliava estensione e di circuito circa sei miglia, quant’ora occupano i “casalia” di S. Maria Maggiore (nome avuto sino al 1862 dalla attuale S. Maria C.V.), che si estendeva nella parte sud dell’asse Arco di “Adriano – Via Aquaria”, di S. Pietro in Corpo (la parte del territorio urbano posta a nord e ad est dello stesso asse), delle Curti, di S. Andrea dei Lagni e quanto si comprende intorno ai detti Casali, fino di là dell’Arco Trionfale, di là dell’Anfiteatro e fino al quadrivio di Santo Prisco…»(20a).
 
cartina
 
Altro riscontro valido a testimoniare l’esattezza dei nostri calcoli e considerazioni, ci è venuto dalla lettura del testo “CAPUA” (attuale S. Maria C.V.) di Perconte Licatese Alberto. Questi scrive: «… Il circuito delle mura di Capua(19b) (attuale S. Maria C.V.), in base agli studi più recenti condotti sulla scorta dei ritrovamenti archeologici (questi ritrovamenti saranno  per noi motivo di studio per un altro lavoro avente per fine la certificazione della presenza del nostro Macerata in quei tempi) misurava più di sei chilometri e comprendeva, con un diametro di circa due chilometri, oltre all’area attualmente occupata dalla città di S. Maria C.V., anche buona parte del territorio ove sorgono i comuni di San Prisco, Curti, Macerata…(20b)».
A questo punto si ritiene acclarata l’ubicazione del nostro primo nucleo abitativo. Ma il nostro impegno continua, sempre teso alla ricerca di notizie utili per una obbiettiva cronaca storiografica dei tempi e dei fatti nei quali vi è presenza di Macerata.
Noi pensiamo che la fisionomia politico/amministrativa di Macerata si sia cominciata a delineare dopo le prime invasioni barbariche, la più importante delle quali fu quella dei Vandali del 455 dopo Cristo. Quasi certamente fu questa l’epoca dell’abbattimento e distruzione anche della cinta muraria (descrittaci da Cicerone) oltre che di Capua (S. Maria C.V.) e dei suoi “casalia”, compreso il nostro primo nucleo abitativo. Ovviamente, passata l’ondata di distruzione, terrore e morte, la popolazione si dedicò alla ricostruzione e, impoverita dalla rapacità barbarica, pensò bene di utilizzare le “maceriae” (anche nel dizionario del Devoto il termine “macerata” è riportato come derivato di “maceria – ae”) della cinta muraria, dei templi e di altri edifici distrutti. Ognuno si dedicò alla ricostruzione della sua casa distrutta, cioè “macerata” (vedi note 29a e 29b).
 
È dopo quest’epoca che noi riteniamo la nostra Macerata esser diventata un casale – villaggio, non più dipendente da Capua (attuale S. Maria C.V.). Infatti il Perconte Licatese: «… In questo periodo acquistano fisionomia semigiuridica i casali. Già “molto” prima dell’avvento dei Normanni, la Campania appariva popolata di piccoli raggruppamenti chiamati casali o “ville”. Il Gallo, racconta ad esempio, che Sergio IV donò a Rainulfo anche molti casali e gran parte di Terra di Lavoro. In sostanza, il “casale” è il progenitore del comune moderno, ma le sue condizioni di svolgimento civile furono diverse…»(20c). Il “Casalis Maceratae” sarà, da ora, l’entità socio – giuridica  alla quale faremo riferimento per individuare la collocazione geografica specie nel periodo più buio della storia della nostra regione (a partire dall’invasione dei Vandali).
Visiteremo l’Archivio Arcivescovile di Capua moderna e ciò perché nel testo «Sacra Guida della Chiesa Cattedrale di Capua» di Gabriele Iannelli abbiamo rilevato un riferimento alla nostra Macerata, datato VII secolo dopo Cristo. Ciò vuol dire che abbiamo notizia, storicamente certa, della nostra Macerata a circa due secoli dopo l’invasione/distruzione dei Vandali, guidati da Genserico. In una nota riferita alla scoperta del Corpo di S. Rufino(21), accenna alla nostra Macerata(22): «… Dell’antichità di questo villaggio ne rendon pruova gli Atti della Invenzione del Corpo di S. Rufino, secondo la lezione che il Papebronchio trasse dal membranaceo Codice strozziano, i quali atti ritengonsi scritti nell’anno istesso della detta Invenzione, cioè nel 688 dopo Cristo. In essi è menzione del “locus qui Macerata nuncupatur”, appo il quale si rattrovava a quei giorni il Sepolcro del Diacono S. Rufo…» ANNO 688 di GESÙ CRISTO!
Il «cimitero di S. Rufo» (vedi nota 24), termine con il quale fu menzionata Macerata, per indicare che il Sepolcro del Santo era ubicato nei pressi della nostra Macerata. Infatti, nel capitolo sulla descrizione dei dipinti della Parete a sinistra della Nave Maggiore in Corno della Epistola(22a) così scrive Iannelli: «… Altrettanti e nella stessa guisa dei dipinti sul muro a destra, veggonsi quelli situati sulla parete a sinistra; cotalchè i due in affresco sopra i due grandi archi estremi appartengono al sopra lodato Maldarelli, e i rimanenti dieci ad olio, son pregiatissimo lavoro di quel Vincenzo Morani, così sublime Artista Napoletano, il cui valore nell’arte potrà essere da altri contrastato, non già superato…» e oltre, nello stesso testo,… «10° Quadro S. Rufo Diacono e Martire»(23)
…«… Sarà questo l’ultimo dei dipinti da essere eseguiti dal sempre grande e magistrale pennello del Morani, e di questo quadro ci promettiamo benanco sorprendente l’effetto. In esso si vedrò additato il Santo, giovine di circa ventisette anni, quanti allora ne contava, assai leggiadro della persona, qual egli era, sul momento di ricevere il martirio per mano di due carnefici, i quali a destra ed a sua manca collocati, son sempre da capo a scagliargli addosso furenti colpi di piombate fino a rimanerlo esangue sul suolo: intanto che egli il giovane Eroe genuflesso a terra, con gli occhi e le mani sollevate al cielo, presenta sparso su tutto il volto un sorriso di celeste allegrezza, con cui animoso e forte stesse incontro alla dura carneficina».
«Egli era nato da assai nobil prosapia nella stessa Capua (attuale S. Maria C.V.) e fioriva in tempo che maggiormente incrudeliva la persecuzione di Diocleziano…» e inoltre «… I corpi dei SS. Rufo e Carponio, quantunque per ordine del proconsole vennero fatte severamente custodire da guardie per non farli rapire da’ cristiani, pena l’arresto contro chi ardisse in contrario; pur tuttavolta, nel più fitto della notte, quando già le sentinelle erano immerse nel sonno, non paventò l’animo a certuni tra i più famosi de’ cristiani di portar via quei sacri depositi, i quali aspergendo di preziosi aromi, li deposero nelle più occulte viscere di sconosciute caverne. Dopo qualche secolo dovettero que’ Corpi esser trasportati altrove, per trovarsi negli anni 688 il sepolcro di S. Rufo in vicinanza di Macerata (!!)(24), siccome vedesi indicato negli atti della Invenzione di S. Rufino da noi sopra citati nella nota 1a appiè della pagina 153…». E noi, seguendo le sue indicazioni, continuiamo la lettura della «Sacra Guida». Egli nel descriverci il 7° Quadro della serie (vedi nota 22a), avente poi immagine S. Rufino Vescovo e Martire, ci dà notizia che… «… Ora però, a forza di operose ricerche e di più mature considerazioni, con mia fortuna posso per la prima fiata annunziare il novello ritrovato delle cose spettanti a tale insigne Capuano Pastore. Io ritengo, egli essere il nostro S. Rufino, Siro di nazione, non mica diverso dal presbitero di Palestina, quello stesso che trasferitosi in Roma sotto Papa S. Anastasio 1°, avea negato da principio la “traduzione” del peccato originale. Lodato per arguzia di mente dal Mercatore, diè pur mostra Rufino d’aver serbato animo sommesso inverso l’apostolica Sede; coltachè, per non incorrere nel malcontento del pontefice sommo, trasse il vagabondo Pelagio a farsi in suo cambio il banditore di quelle dottrine, che di nascosto avea insegnato a Roma…» e, proseguendo, «… Nel tempo stesso, che era cessato di vivere S. Rufino, ne venue rinchiuso il corpo in apposito monumento, e collocato nel “cimitero detto di S. Rufino” dappresso alla famosa Basilica Costantiniana, dove occulto si stette fino all’anno 688, che venne scoverto da’ Longobardi (?) bramosi di ritrovarlo. È indescrivibile la pompa che fu allora spiegata nel trasferire quel sacro deposito alla Basilica Germaniana…». Sin qui i riferimenti documentali.
A conclusione di questo ciclo di letture, fatte e tese alla ricerca di indizi e di riscontri obiettivi tali da darci la convinzione personale di fare affermazioni in totale buona fede e sempre con animo disposto a prudente riserva, possiamo dire che l’ubicazione di questo nucleo abitativo è quello attuale, intendendo con ciò, che si estendeva quasi come l’attuale territorio di pertinenza del Comune di Macerata Campania. Sarà, comunque, nostra cura approfondire gli studi su questo argomento della estensione, visto che abbiamo persino indicazione su un “Feudo di Macerata” (detto anche “CERASOLA”)(32 – 5 – a), riportato come vedremo da Giuseppe Tescione nella sua «Caserta medioevale e i suoi Signori» e fatta intendere come datata nell’anno 1306. Talchè risulta da noi riportato nella successiva parte di questo lavoro e che riguarderà la tanto “vexata quaestio” del termine MACERATA. Noi ne parleremo, o cercheremo di farlo, “etimologicamente”, secondo il significato che G. Devoto e G.C. Oli danno al significato di questo termine. In opposizione, cioè, al significato e valore “correnti” che si dà alla parola.
Ma se quanto da noi finora affermato su origini e localizzazioni dovesse ancora avere parvenza di dubbio, per fugarlo riportiamo una recensione dalla «RASSEGNA DI ARCHEOLOGIA: ORIZZONTI – VOL. II – 2001» della dott. Daniela Cammarota(32 – 8 – a), che così la titola: “Un contributo per la lettura storica della topografia dell’area sud – orientale di Capua”. In questo lavoro della dott. Daniela Cammarota Capua è l’attuale Santa Maria C.V. e l’area sud – orientale è quella che comprende anche Macerata Campania. Ma leggiamo insieme.
«… Nella desolante scarsità di dati relativi agli scavi effettuati nell’antica Capua (attuale S. Maria C.V.) nel corso del Settecento e dell’Ottocento, assume importanza un documento riguardante un ritrovamento avvenuto nell’area sud – orientale della Città, di cui fa menzione un documento anonimo, finora inedito, conservato nell’archivio del Museo Campano (“Manoscritti”, b 473 – riportato nelle nostre note). Nel 1754, nel corso di uno scavo di cui non è rivelata l’identità dell’autore, ma che, con ogni verosimiglianza, fu praticato dal Can. D. Francesco Maria Avellino a cui era stata affidata, in quegli anni, l’intendenza degli scavi dal re delle due Sicilie, fu rinvenuta una tomba a “cubo di tufo” della ben nota tipologia. La tomba, costituita da un contenitore titico di forma quadrata, composto da due elementi di cui uno atto a contenere il cinerario in bronzo e il corredo ceramico e un altro con funzione di coperchio, fu rinvenuta in una località definita «ALLI CHINCARI», presso “Madonna delle Grazie di Macerata”(32 – 8 b) (Nella pianta di Pratili P. è leggibile, nei pressi della Porta Atellana e della via omonima, il toponimo “Macerata”, riferentesi al paese di Macerata Campania attuale). Nell’Ottocento, il toponimo “alli Chincari” non risulta mai attestato, né nella documentazione edita, né in quella inedita; dunque esso dovette assumere una diversa denominazione che ne complica l’attuale identificazione (della zona “alli Chincari”). In tale località posta, a detta dell’autore, tra le porte albana e atellana, - dunque nel settore sud orientale della città (attuale S. Maria C.V.) -, scavi erano già stati precedentemente intrapresi e poi sospesi ed erano stati rinvenuti “innumerevoli «sepolchri» più o meno nobili” (Noi abbiamo fatto delle ricerche più approfondite di cui daremo notizia nel capitolo «Archeologia Maceratese» in Appendice).
Il sito di rinvenimento doveva trovarsi nei pressi della via atellana che, nella pianta di Pratili, è posta a est del villaggio di S. Andrea dei Lagni e partendo dal centro della città (Capua = S. Maria C.V.), usciva dalla parte meridionale di S. Maria, dove incrociava, nel suburbio, la via che portava a Puteoli; e incontrava la via, detta nell’Ottocento, Acqualunga, oggi con certezza identificabile col prolungamento di via Cesare Battisti di S. Maria C. V.. In sostanza, il luogo del rinvenimento sarebbe ipotizzabile in un’area al limite sud orientale della città, nei pressi di via Acqualunga, ubicata a sud della linea ferroviaria, costruita nell’Ottocento e che segnava il confine tra Curti a Nord e Macerata Campania a sud, e che confluiva nell’attuale via Madonna delle Grazie, toponimo esistente “accertato” già nel XVIII secolo(32 – 8 – c).
Il sito assume un’importanza particolare, considerando che simile tipologia di tombe risulta pressoché esclusivamente attestata nelle aree occidentali e settentrionali della città (S. Maria C.V.), specie in località Cappella dei Lupi, Cappella dei Bracci, Quattordici Ponti e Quattro Santi. Nell’Ottocento, pur non risultando una delle aree maggiormente indagate, nella zona di Acqualunga, a sud di S. Pasquale, un certo Bernardo Califano aveva cominciato degli scavi tra il 1865 e il 1866, nel “podere dei Canonici di Capua, detto anche fondo del Capitolo di S. Maria” e, tra gli altri reperti, aveva trovato un’urna di bronzo ridotta in frammenti … omissis … nella parte finale del manoscritto, dove fornisce interessanti notizie circa l’area (la nostra!) della necropoli in questione, affermando che accanto a “tumuli di mattoni”, in genere senza corredo e con vasi di poco pregio definiti “rustici” ve ne erano di piperno “bislunghi con ossa e qualche vaso più nobile… omissis… Tale notizia confermerebbe, anche per il sito in questione (la nostra zona!) una caratteristica delle aree di necropoli di S. Maria, in cui le tombe più tarde insistono sullo stesso sito di quelle più antiche…».
Fin qui la dott.ssa Cammarota,  ci conferma la nostra tesi sull’antichità e origini romane della nostra Macerata. Nella nota n. 5 al detto “un contributo per la lettura storica della topografia dell’area sud – orientale di Capua (attuale S. Maria C.V.: un rinvenimento settecentesco inedito”, noi troviamo: «… ciò stando alle affermazioni dell’autore (anonimo!) del manoscritto che dice anche che il “sito” doveva essere un tempo fuori della città (attuale S. Maria C.V.), ma poi, ampliandosi la stessa, fu compreso in essa e ciò sarebbe interpretabile come testimonianza dell’antichità del sepolcro…» e alla nota 7 dello stesso «Un contributo… ecc della Cammarota»: «Nel corso degli scavi erano venute alla luce tombe per lo più già violate e dalla tipologia di “tufo” e di “tegoloni”, con corredi ceramici a figure rosse e a vernice nera che delineano un orizzonte di IV secolo avanti Cristo, oltre a “soliti vasellini di creta rustica ed insignificanti” che aveva fatto desistere il Califano dal proseguire, in quel sito, le sue ricerche…».
Allora, diciamo noi, se nel sito individuato come zona intorno alla chiesetta della Madonna delle Grazie, in località Acqualunga, vi sono stati scavi archeologici con reperti datati IV secolo avanti Cristo, i riferimenti da noi proposti circa la presenza di una (ora più probabile che mai!) AEDES ALBA – MACERATA possono essere considerati giusti.