Parte Prima - Capitolo Primo - Religiosità e superstizione

In riferimento a questa prima parte della presente  monografia ( il folclore e la religiosità del popolo maceratese attraverso i secoli) noi abbiamo la convinzione che le attuali attività–espressioni esteriori di religiosità (specie per “S.Antuono – Pastellessa”) hanno un qualche prodromo nel nostro passato remoto, fin nella “romanità”. A ben vedere , infatti , le manifestazioni della religiosità “cristiana” nelle contrade maceratesi sono state sempre un poco permeate di paganità. Ed è stato questo retaggio a dare il carattere distintivo di individualità etnico – geografico – artistica al “Carro della battuglia di Pastellessa”. Anche nella definizione del periodo dell’anno in cui cade la festività è da vedersi, come riportato nel materiale bibliografico fornitoci dal dott. De Crescenzo della Biblioteca Comunale di S.Maria Capua Vetere, una fonte di paganità. Nei “fasti” “Ovidio invita le giovenche alla pingue greppia finché verrà il lavoro nella dolce estate. L’aratore sospenda al chiodo l’aratro dimesso... la terra è fredda, teme ogni solco... “. Ciò ad esprimere il senso delle feste pagane che si svolgevano nei primi due mesi del nostro calendario e che segnano il passaggio dal culmine dell’inverno all’equinozio di primavera, quando il sole dà inizio al periodo più luminoso dell’anno. Gennaio era perciò il mese dell’attesa e del riposo dei campi, così come lo descrive il grande poeta latino, quando gli uomini si dedicavano alla celebrazione di feste e riti purificatori (col fuoco!) per prepararsi al grande risveglio primaverile. Da queste radici antichissime nascono le tradizioni, tanto sentite nelle nostre zone, e i sentimenti di una viva e forte religiosità. Ma il 17 di gennaio, dedicato al culto di S.Antonio Abate, prescinde da queste radici, perché nel Martirologio Geronimiano non vi è traccia di quanto da noi detto sulle origini pagane di certi riti correlati al culto si S. Antonio Abate.

 

RELIGIOSITÀ E SUPERSTIZIONE
Le poche e semplici valutazioni sulla religiosità, da noi su riportate, vogliono essere la premessa alla presentazione di una congettura: alcune manifestazioni esteriori di religiosità (processioni, riti, tradizioni) nelle nostre contrade hanno la loro origine nella romanità o in altra civiltà che ebbe signoria nelle nostre contrade. Voglio, cioè, dire che alcune manifestazioni di religiosità nel nostro territorio hanno radici e richiami pagani. Questa ipotesi, che a prima vista appare scarsamente probabile perché si ritiene di essere in presenza di dati per tale valutazione genericamente incompleti o inesatti, può essere secondo noi confermata anche se non in termini di certezza matematica. È nostro convincimento, infatti, che le considerazioni, i riscontri e le deduzioni, fatti durante la lettura di testi antichi e di manoscritti anonimi  oltre che di testi agiografici, confermeranno la nostra ipotesi. Ora, però, va fatta qualche considerazione sul rapporto, certamente intimo, tra religiosità e superstizione. La Superstizione ! Era questo insieme di credenze e pratiche rituali, proprie di società ed ambienti culturalmente arretrati e fondati su presupposti magici ed emotivi, una forma esteriore del sentimento di religiosità? Può la religiosità permearsi di superstizione e viceversa? Noi crediamo di non cadere in errore, rispondendo di sì; considerando però la risposta affermativa riferibile e riferita a popolazioni, come la romana, che praticavano atti di culto falsi (secondo il nostro credo!), quali la divinazione, la magia, i riti propiziatori o di maledizione ed esorcismo. Ai tempi dei Romani la magia e la superstizione intervenivano e ricorrevano molto spesso nei canoni della religione ufficiale, tanto da condizionarne e falsarne, talvolta, i tratti identificativi. Tanto avveniva , ovviamente ,  anche nel territorio maceratese, “in illo tempore” !  Ma la rappresentazione esteriore del sentimento di religiosità, pur se inquinata da momenti di superstizione, è stata, è e sarà sempre caratterizzata dalla necessità di spettacolarizzazione, che si concretizzava (e si concretizza) in una serie di atti e scene, ricorrenti nel tempo oltre che nelle motivazioni e negli oggetti, o soggetti, del culto. Sicchè la religiosità diventò scena, teatro, spettacolo, tramandati nel tempo: le manifestazioni di religiosità assunsero (e hanno tuttora, secondo noi ) il carattere di “TRADIZIONE” e, ancor più, di “FOLCLORE”. Di questo tipo di tradizioni, permeate di religiosità, il popolo è sempre stato il geloso custode e il giudice insindacabile della ortodossia dei principi ispiratori.

 

IL “CARRUS”: SUA PRESENZA NELLE MANIFESTAZIONI DI RELIGIOSITÀ
La teatralità delle manifestazioni esteriori della religiosità dei popoli antichi, ma anche dei nostri tempi ed in presenza di livelli di civilizzazione medi e alti, ebbe momenti di grandiosità che rasentavano il “delirio collettivo”. Le masse ingenti di partecipanti e la eccezionalità del dispendio di risorse economiche, necessarie per pagare sacerdoti per la celebrazione dei riti, architetti, lavoranti, innumerevoli artigiani per la costruzione delle scene coreografiche adeguate al momento celebrativo e persino per la costruzione dei carri necessari per trasportarli, erano epocali!  Tra i vari tipi di carri1 ([1] descritti nel manoscritto b / 473 , con riferimenti a Macerata Campania), utilizzati per queste manifestazioni di religiosità,ne elenchiamo gran parte, dandone nel contempo la descrizione e le occasioni di utilizzo nelle varie ricorrenze tradizionali.

I carri, definibili sacri per il loro utilizzo nelle manifestazioni religiose, si dividevano in: carri sacri (gratulatori , trionfali e cerimoniali), da trasporto e da viaggio.

I carri sacri erano :

  1. CARPENTUM - Carro sacro, utilizzato esclusivamente per il trasporto alle “pompe circensi” delle consorti che avevano ottenuto il titolo di “DIVA” per volontà degli imperatori romani e con decreto del senato romano. Dietro il carro sfilavano in processione tutte le alte personalità della vita pubblica romana, l’imperatore e il popolo, insieme osannanti alle divinità.
  2. PILENTUM - Era una specie di carrozza a quattro ruote, anch’essa usata in origine solo dalle matrone romane mogli di autorità più in vista, nei giorni di festa, riferiti in specie alle feste religiose; in seguito si cominciò ad usarla anche in occasione di matrimoni di lusso e per il trasporto di cose attinenti al matrimonio e di personalità parentali. (Il mio pensiero va ora a quei “carri della sposa” di qualche decennio addietro quando il “corredo” veniva portato a casa degli sposi con un  “traìno” addobbato a festa ).
  3. TENSA - Era un carro sacro di gran lusso, costruito con materiale pregiato ed ornato d’argento e d’ avorio, sul quale erano trasportati, fino al luogo della manifestazione religiosa, statue ed immagini degli dei maggiori e arredi sacri di loro attribuzione; questo in origine, quando cioè il “tensa” aveva un tiro a quattro cavalli. In seguito, però, esso fu utilizzato, con tiro a due cavalli, per il trasporto di deità minori, sacerdoti, imperatori durante le “processioni” con il popolo orante e festoso, specie nelle manifestazioni di religiosità a carattere gratulatorio.
  4. FERCULUM - “Carretta” da cerimonia utilizzata, nei trionfi celebrativi delle vittorie militari, per il trasporto delle spoglie dei nemici. Veniva utilizzata anche per il trasporto delle statue degli dei nelle processioni e per questo veniva chiamata “ferculum pomparum”.Questo tipo di carro veniva seguito dal popolo festante fino al circo dove si celebravano i trionfi.
  5. CURRUS - Cocchio, carro con tiro ad un cavallo (biga) o con tiro multiplo (carro trionfale), anche per le gare ed i combattimenti del circo.
  6. BIGA - Carro utilizzato dalle vestali per i loro trasferimenti nella città (coperto da una tenda ad arco ); era un tiro a due cavalli e a due ruote che veniva adoperato dai “cives” romani per recarsi al tempio.
  7. RAEDA - Carrozza da viaggio a quattro ruote, che serviva a viaggiare con la famiglia e con i bagagli. Era un carro a tiro multiplo.
  8. CARRUCA- Veicolo di lusso a quattro ruote, particolarmente comodo per le matrone romane perché vi si poteva anche dormire.
  9. CISIUM  Carro molto leggero di origine gallica, a due ruote con raggi, che poteva trasportare due persone e un bagaglio poco voluminoso. Trainato da un cavallo, per le sue piccole dimensioni e la sua conseguente leggerezza, era molto utilizzato per le normali necessità di una famiglia. (E’ identificabile, forse, con il nostro calesse o biroccio o “sciaraball” ! ).
  10. PLAUSTRUM - Carro, in origine a ruote piene, utilizzato per il trasporto di cose o prodotti dell’agricoltura, armi, masserizie ecc.
  11. CARRUS - E’ un carro da carico per trasporto di attrezzi e prodotti agricoli, a cassa scoperta e con ruote a raggi. La presenza di ruote a raggi rendeva il carrus più leggero di altri, perciò più adatto alle strade di campagna, dal fondo battuto e in gran parte sconnesso. Venivano utilizzati per trasporti speciali(vino, acqua potabile) su lunghi percorsi… anche per uso militare.

Da quanto prima riportato sulle diverse manifestazioni di religiosità a carattere ricorrente in epoche antiche, la presenza del “carrus” era pressoché costante nelle manifestazioni di religiosità tradizionali. Il carro divenne parte integrante, qualificante e distintiva insieme di ogni manifestazione di folclore religioso. Era presente in tutte le manifestazioni collettive a partecipazione popolare. La sua presenza era regolata da ferree norme religiose, quasi a carattere dogmatico, che ne decidevano forme ed usi diversi a seconda che si trattasse di manifestazioni propiziatorie, glorificatorie, trionfali, panegiristiche oppure pompatiche o gratulatorie2.

[2] Questo è forse riferibile al “carro di pastellessa”, utilizzato nel rito folkloristico di “S. Antuono” del 17 gennaio (?)

Oltre ai singoli momenti cerimoniali, ai riti, alle preghiere, ai momenti ludici e alle rappresentazioni teatrali, che si realizzavano con l’osservanza scrupolosa di uno specifico cerimoniale, il carro è stato il fulcro centrale intorno al quale si sviluppava la funzione religiosa. Serviva, infatti, specialmente per il trasporto delle immagini degli dei, di “divi”, di deità rappresentative dei fenomeni naturali, dei vari aspetti della natura, dei più forti sentimenti ed attività umane.

Il carro apriva e guidava le processioni verso il luogo in cui doveva esserci la manifestazione (il Circo o le grandi piazze). I canti, le cerimonie, i riti, le ovazioni, le formule propiziatorie, imprecatorie o esorcistiche officiate in ricorrenze calendarizzate e catalogate negli atteggiamenti e nella rituale teatralità assunsero l’aspetto delle “tradizioni” e del “folclore”; sebbene non intesi nel senso moderno delle parole. Erano una semplice ripetizione di atti di sacralità, iterati nel tempo; come avveniva, per esempio, per la celebrazione   annuale   del  rito  propiziatorio  e   di   quello gratulatorio della vendemmia, pigiatura e vinificazione dell’uva, che avvenivano con un carro particolare dedicato a Bacco.

Appare molto ovvia, ora, la considerazione che in un “pagus” come “Aedes Alba”, da noi considerato esistente in epoca antica presso Capua romana, le manifestazioni di religiosità, come quelle descritte finora, fossero presenti. Lo erano tuttavia in tono ridotto per sfarzo e numero, data la povertà dell’economia a carattere artigianale e agricolo. Gli artigiani maceratesi di epoca romana erano degli esperti mannesi  (o maestri d’ascia), bravi a produrre contenitori in legno (botti, sili, tini, ecc ) e mezzi di trasporto (carri, carrozze, carrozzini ). I carri,  che gli “agricolae” maceratesi utilizzavano per le manifestazioni di religiosità per il dio Silvano (protettore dei campi coltivati ), la dea Cerere (protettrice delle messi) o di Bacco (dio del vino) non dovevano essere molto dissimili da quelli descritti prima. Certamente i contadini maceratesi dovettero far uso del plaustrum o del “postellum” per il trasporto dei prodotti del raccolto e degli attrezzi per la lavorazione della terra e, forse, utilizzarono il “ferculum pomparum” per le manifestazioni di religiosità con processioni di popolo. Con una buona aderenza alla realtà possiamo ipotizzare per quasi certo l’uso del carrus per il trasporto degli oli, dell’acqua potabile e del vino, date le sue misure non rilevanti, fino a quando non si cominciò a produrre recipienti di legno (botti, tinelli ecc) per uso di contenitori da trasporto. Infatti le misure del carrus (sono le misure di un carro ritrovato integro nel 1981 a Stabia) erano:

a)    lunghezza senza il timone cm 130;
b)    larghezza dell’intavolato utile cm 103;
c)    altezza da terra cm 80;
d)    raggio delle ruote cm 90.

Queste misure sono molto esigue per un carro da trasporto e i carrus venivano utilizzati per piccoli carichi veloci. Per i grandi  carichi con recipienti molto voluminosi si fece certamente uso del plaustrum o del carrus  a  quattro ruote, con cassa coperta / scoperta e con tiro plurimo.

Con lo scorrere dei secoli e per l’avvento del Cristianesimo, i carri pagani da cerimonia andarono via via scomparendo per il loro carattere di sacralità pagana e rimasero, però, i “carrus” (forse l’attuale “traìno” maceratese ), i “plaustrum”, i  “postellum” perché utilizzati nella quotidianità per il lavoro, oltre che per i trasporti di cose. Nei “pagi” a cultura post – romanica, quale è stata la nostra Macerata Campania, si dovette far uso dei carri da lavoro, messi a festa, per le manifestazioni di religiosità cristiana.

Anche per i pellegrinaggi presso luoghi di culto (santuari, ecc) o per le festività locali si dovette fare uso dei normali carri di cui i contadini si servivano per i loro lavori nei campi. Addobbati con teli bianchi e azzurri o purpurei, essi seguivano o precedevano i fedeli oranti che si recavano in pellegrinaggio presso i vari santuari della Campania (Montevergine, Madonna dell’Arco, Pompei, ecc), carichi di vettovaglie, acqua, vino e quant’altro occorreva per il pellegrinaggio che a volte durava tre o quattro giorni. E anche le immagini sacre erano trasportate sugli stessi carri. Anche in epoca moderna, quindi, il carro testimonia la sua centralità con la presenza in moltissime manifestazioni di religiosità cristiana.

Ovviamente l’uso dei carri per il trasporto di cose e persone divenne, ed è, una necessità avente carattere di normalità; l’uso dei carri, invece, in e per manifestazioni religiose o di religiosità, in epoche ricorrenti e con precisi caratteri distintivi (forma, colore, addobbi), divenne una tradizione con i caratteri del folclore popolare, pervenuta a noi attraverso i secoli. A questo tipo di percorso culturale noi facciamo riferimento quando affermiamo che l’uso del “carro tradizionale maceratese” (con botti, tinelle, falcioni), legato alla manifestazione di religiosità popolare in onore di S.Antonio Abate (Santantuono 17 gennaio), è un’eredità del tempo.

E’ un regalo della “paganità” su cui si è innestata la devozione per il Santo taumaturgo ed esorcista già forse nel secolo XII.3

[3] Tale testimonianza epocale può far riferimento alla presenza negli affreschi del portico dell’Abbazia di S.Angelo in Formis (CE) di una serie di sei scene delle "Tentazioni" datate sec. XII

 

DI SEGUITO SOTTOPONIAMO ALL’ATTENZIONE DEL LETTORE ALCUNI ESEMPI DI CARRI ANTICHI RIPRESI DA: HOTTENROTH - I COSTUMI DI TUTTI I POPOLI ANTICHI E MODERNI ED. MODES E MENDEL - ROMA. 

 

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PILENTUM

 

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FERCULUM

 

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TENSA

 

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CISIUM - 1

 

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CISIUM -2

 

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CISIUM -3

 

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POSTELLUM - 1

 

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POSTELLUM - 2


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PLAUSTRUM

 

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CARRUS - 1

 

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CARRUS - 2