Parte Seconda - Capitolo Primo - Il culto Mariano a Macerata Campania |
A) Religiosità In riferimento alla prima parte di questa nostra monografia, la “religiosità” del popolo maceratese attraverso i secoli noi abbiamo la convinzione che le attuali attività-espressioni esteriori di “religiosità”34 hanno un qualche prodromo nel nostro passato remoto; fin nella “romanità”. Le manifestazioni della religiosità “cristiana” nelle contrade maceratesi sono state sempre un poco permeate di paganità. Ed è stato questo retaggio a dare il carattere distintivo di individualità etnico-geografico-artistica al “Carro della battuglia di Pastellessa”. Anche nella definizione del “periodo dell’anno in cui cade la festività è da vedersi, come riportata nel materiale bibliografico, fornitoci dal dott. De Crescenzo della Biblioteca Comunale di S. Maria C.V., una fonte di paganità. Nei “FASTI” di Ovidio, in vita “le giovenche alla pingue greppia finché verrà il lavoro nella dolce estate. L’aratore sospenda al chiodo l’aratro dimesso…… la terra è fredda, teme ogni solco……”, ad esprimere il senso delle feste pagane che si svolgevano nei primi due mesi del nostro calendario e che segna il passaggio dal culmine dell’inverno all’equinozio di primavera, quando il sole da inizio al periodo più luminoso dell’anno. Gennaio era perciò il mese dell’attesa e del riposo dei campi, così come lo descrive il grande poeta latino, quando gli uomini si dedicavano alla celebrazione di feste e riti purificatori (col fuoco!) per prepararsi al grande risveglio primaverile. Da queste radici antichissime nascono le tradizioni, tanto sentite nelle nostre zone, e i sentimenti di una viva e forte religiosità. Ma il 17 di gennaio, dedicato al culto di S.Antonio Abate, prescinde da queste radici, perché nel Martirologio Geronimiano non vi è traccia di quanto da noi detto su. [32] Il culto non è la religiosità. Questa e, infatti, partecipazione e devozione, nel sentimento e nell’atteggiamento, a un ideale religioso in senso proprio e figurato (cioè manifestazione di religiosità). Mentre il culto è l’insieme delle cerimonie che si tengono per esprimere e significare i nostri sentimenti di omaggio, onore, devozione, credo e fede ad una deità.
B) RELIGIOSITA’ E SUPERSTIZIONE Le poche e semplici valutazioni sulla religiosità, da noi su riportate, vogliono essere la premessa alla presentazione di una congettura: alcune manifestazioni esteriori di religiosità (processioni, riti, tradizioni) nelle nostre contrade hanno la loro origine nella romanità o in altra civiltà che ebbe signoria nelle nostre contrade. Voglio, cioè, dire che alcune manifestazioni di religiosità nel nostro territorio hanno radici e richiami pagani. Questa ipotesi, che a prima vista appare scarsamente probabile perché si ritiene di essere in presenza di dati per tale valutazione genericamente incompleti o inesatti, può essere secondo noi confermata anche se non in termini di certezza matematica. È nostro convincimento, infatti, che le considerazioni, i riscontri e le deduzioni, fatti durante la lettura di testi antichi e di manoscritti anonimi oltre che di testi agiografici, confermeranno la nostra ipotesi. Ora, però, va fatta qualche considerazione sul rapporto, certamente intimo, tra religiosità e superstizione. La Superstizione ! Era questo insieme di credenze e pratiche rituali, proprie di società ed ambienti culturalmente arretrati e fondati su presupposti magici ed emotivi, una forma esteriore del sentimento di religiosità? Può la religiosità permearsi di superstizione e viceversa? Noi crediamo di non cadere in errore, rispondendo di sì; considerando però la risposta affermativa riferibile e riferita a popolazioni, come la romana, che praticavano atti di culto falsi (secondo il nostro credo !), quali la divinazione, la magia, i riti propiziatori o di maledizione ed esorcismo. Ai tempi dei Romani la magia e la superstizione intervenivano e ricorrevano molto spesso nei canoni della religione ufficiale, tanto da condizionarne e falsarne, talvolta, i tratti identificativi. Anche nel territorio maceratese! Ma la rappresentazione esteriore del sentimento di religiosità, pur se inquinata da momenti di superstizione, è stata, è e sarà sempre caratterizzata dalla necessità di spettacolarizzazione, che si concretizzava (e si concretizza) in una serie di atti e scene, ricorrenti nel tempo oltre che nelle motivazioni e negli oggetti, o soggetti, del culto. Sicchè la religiosità diventò scena, teatro, spettacolo, tramandati nel tempo: le manifestazioni di religiosità assunsero (e hanno tuttora, secondo noi ) il carattere di “TRADIZIONE” e, ancor più, di “FOLCLORE”. Di questo tipo di tradizioni, permeate di religiosità, il popolo è sempre stato il geloso custode e il giudice insindacabile della ortodossia dei principi ispiratori.
C) INTENZIONI E PRECISAZIONI DELL’AUTORE Per quanto il lettore possa trovare, nelle pagine che seguiranno, abbastanza materiale per sfogare la sua passione di lettura è indispensabile che qui, per lo meno di sfuggita si spieghino le intenzioni con le quali il tema di questo nostro lavoro viene affrontato e, nel tempo stesso, si facciano le dovute precisazioni, onde non dare al lettore impressione falsa che chi scrive si presuma in grado di poter trattare di “Mariologia”. Il nostro, perciò, è un semplice tentativo di giustificazioni del culto della Madonna tra il popolo maceratese, attraverso le manifestazioni di religiosità di massa. I pellegrinaggi e le altre manifestazioni di religiosità in onore della Madonna, sono ancora oggi seguiti con grande senso di partecipazione da parte di tutti i cittadini. Ognuno di noi, credente, negatore, solo devoto, denigratore o cinico35, porta e porterà impressa nelle più gelose fibrille del suo cuore il concetto di una Madre capace di salvarlo, anche senza prodigio o segni soprannaturali, dal buio (dell’anima e dello spirito). A lui hanno fatto ricorso, in questi duemila anni i popoli di tutto il mondo alla ricerca delle sue grazie (non solo per lo spirito) e gli hanno tributato devozione e adorazione. Oggi il culto mariano è molto vivo e sentito e nella nostra Macerata si concretizza in varie manifestazioni di fede e di religiosità (Gli “Altari”, Le “Processioni”, I “Pellegrinaggi”, ecc…). Nelle pagine seguenti sono accennati e panoramizzati con materiale fotografico (raccolto tra pie persone) e bibliografico Boschini – Santelli: “LA MADONNA E L’ITALIA, EDIZIONE 1953”, “LE ORIGINI DEL CULTO DELLA MADONNA DELL’ARCO, TESTO ANONIMO”, “IL PELLEGRINAGGIO DI MACERATA CAMPANIA AL SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’ARCO.” Mentre, dunque, per quello che riguarda la raccolta del materiale relativo alla Madonna dell’Arco si ringraziano sentitamente il sig. Carmine D’Amico e la giovane Munno Giovanna e tutti gli altri che ci hanno fornito foto e notizie si chiede scusa al lettore per quelle inesattezze o lacune nelle quali si sarà incappati in questa stesura. Un' ultima parola su questo aspetto, lasciato qui di proposito, alla fine. Quest’opera alla quale per ciò che narra, non s’intende dare naturalmente altra interpretazione che quella di una raccolta di dati bibliografici e fotografici, documentati e documentabili, nasce con lo scopo di venir considerata una semplice testimonianza scritta. “PERCHÈ RESTI MEMORIA” [35] Penso a Nestorio, Lutero, ecc…
1) IL CULTO MARIANO36 Come si è manifestato il culto dell’uomo per Maria? Primi artefici ne sono stati gli Apostoli, ovviamente. Dopo il culto mariano andò estendendosi in profondità. Ogni secolo è segnato da un progresso, in estensione territoriale e di intensità: sorgono le basiliche le feste in onore di Maria, si moltiplicano e diventano più solenni. Si celebra Maria, presente col corpo e con l’anima in cielo, e cominciano ad affacciarsi all’orizzonte i dogmi dell’Immacolata e dell’Assunzione. Le abbazie e le processioni in suo onore si moltiplicano, gli ordini religiosi prendono uno sviluppo prodigioso: tra il 665 e il 750 quarantacinque monasteri benedettini sono dedicati a Maria e tutti gli ordini religiosi, monastici e non, intensificano il culto mariano e le corporazioni non cessano mai di crescere di numero: dal XI al XVI secolo, 160 conventi sono consacrati a Maria. [36] Dal testo “Mariologia (?)” presso la Biblioteca Comunale di Santa Maria C.V.
2) PELLEGRINAGGI AI SANTUARI DI MARIA Per la diffusione del culto mariano, sia in estensione che in profondità, il primo bisogno dell’uomo credente si è manifestato con l’erezione di oratori e di cappelle. Poi hanno costruito delle vere chiese, grandi o piccole, ed infine, nel periodo in cui la fede era “intensa”, hanno edificato delle meravigliose cattedrali, che continuano a sorgere su tutta la terra. Senza trascurare di menzionare le cappelle rustiche (Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie in via Elena di Macerata, antichissima ma, purtroppo, non catalogata, dalla Sovrintendenza di Caserta) e gli oratori il cui numero aumenta continuamente. Le bellezze e la santità di alcuni santuari dedicati a Maria attirano i fedeli che a cadenze solitamente annuali ed in occasione delle ricorrenze che prevede la liturgia si recano a far visita a quei luoghi santi per confermare la loro fede alla Madonna. I pellegrinaggi pullulano assumendo, cioè sin dai tempi remoti, uno specialissimo calore locale e il folclore diventa religiosità, innestandosi spesso su un tessuto folclorico fatto di paganità (Sant’Antuono-Pastellesse). Le processioni, poi e proprio per questo, sono pittoresche: luminarie, fiori, fanfare, canti, fuochi d’artificio; non manca nulla perché la manifestazione di religiosità assuma i caratteri ed il tono del folclore.
3) IL CULTO MARIANO IN CAMPANIA Tratto dalla pag. 66 di “Campania – Storia – Arte, Folclore” di F. E. Pezone: altra festa di ispirazione cristiana ma di origine pagana è quella della Madonna dell’Arco, venerata presso Sant’ Anastasia (NA)”. Per tutto l’anno i fedeli, scalzi e di corsa (per ciò detti i “fujenti”), vestiti di bianco, raccolgono le offerte, che il lunedì in Albis, spendono in onore della Madonna e per i poveri. Altre feste di inspirazione cristiano – pagane sono quelle che si svolgono a Nola (Festa dei Gigli) a Torre del Greco (Festa dei quattro Altari), ad Atella (Festa della Candelora) e quella di S. Caneone a Mercogliano (Festa della Mamma Schiavona – Madonna di Montevergine). A) Madonna dell’Arco per meglio chiarire le origini del culto per la Madonna dell’Arco, crediamo di fare cosa utile riportando nelle pagine seguenti il testo integrale di un anonimo devoto. Ed è al lettore devoto della Madonna dell’Arco che con somma reverenza e devozione ci accingiamo a presentare ai fedeli maceratesi, devoti della Madonna dell’Arco, quest’opuscolo. Datato 1833, in esso sono riportati alcuni miracoli avvenuti per intercessione della Madonna. La descrizione, in lingua italiana dell’epoca, dei miracoli è semplice e lineare; è libera da ogni permeazione di fanatismo religioso e si presenta come un’ obbiettiva cronaca storica. Le notizie in esso riportate, e che tendono a dimostrare le origini del culto per Santa Maria dell’Arco hanno la “fisionomia letteraria” classica della cronaca storica e noi come tale la recepiamo e la sottoponiamo all’attenzione del lettore devoto e non. L’autore è anonimo (ne spiega i motivi nella sua presentazione) ed è stato stampato in Napoli dalla Tipografia della Società Filomatica nell’anno 1833. Il testo è stato da noi reperito negli archivi della Biblioteca del Museo Campano di Capua. AL DIVOTO LETTORE Un povero figlio offre alla Madre de’ peccatori questo tenue omaggio, il cui oggetto è di promuovere il culto, che le si presta sotto il titolo di S. Maria dell’Arco. Le operette, che su tale argomento si sono in varie vole pubblicate, sono divenute così rare e difficili a ritrovarsi, che da più tempo se ne risente la pietà de’ divoti del Santuario di questo glorioso nome: e perciò questo figlio si è determinato a darne questo piccolo ristretto. Non è necessario, che si sappia il dì lui nome. Ma sarà per avventura di qualche stimolo al pio Lettore di non ignorare la condizione, a cui glielo offre. Essa si è, che si riceva, quando Iddio lo vorrà, nel seno delle sue misericordie le di lui agonie, e la morte che le seguirà. E’ il cuore gli dice, che tal condizione non andrà rigettata dalla buona Madre. CAP. I Lungo la sinistra della Regia strada, che da Napoli mena al popoloso Comune si S. Anastasia, un miglio a un di presso di qua del medesimo, ben prima del 1500 riscuotevasi divoto culto dalla povera gente un Intonaco, ov’era dipinta la Santissima Vergine. La circostanza di un Arco da porta che stavagli di rincontro, gli fé ben tosto dare il nome di S. Maria dell’Arco, che è poi divenuto sì celebre ne’ Fasti de’ Santuarii più rinomatati. E questa si è la origine primiera di tal denominazione, nella quale non accade andar cercando misteri, perché non ve n’ha bisogno. La Religion cristiana è bella, perché vera; e perché vera, ama la semplicità, con cui vuole esser trattato tutto quello che le si appartiene. Leggendosi i Libri Santi, ed in ispezie i sagrosanti Vangeli, e’ sarà ben da compiangere chi non resterà affetto ed incantato dalle attrattive di tal verità in leggendoli. Nel secondo giorno di Pasqua di Risurrezione dell’anno indicato celebrandosi la Festa di questa divota, ma poco fin allora conosciuta Immagine avvenne cosa, che ne ingrandì mirabilmente la fama, e ne accrebbe il religioso culto. Un Giuocatore da maglio falla un colpo, e perde così la partita da giuoco. Indispettito per tal caso, raccoglie la palla e scagliala sul viso della Santa Immagine, donde è costante tradizione, che scaturisse sul momento vivo sangue. La contusione al certo lasciatavi è ognor visibile. Il fatto fu pubblico: ma non mancheranno perciò de’ pretesti allo spirito della miscredenza, per dubitarne. Qual maraviglia? Il divin Redentore aveva sugli occhi d’ immensa turba cacciato con un suo comando il Demonio da un povero ossesso, a cui rendé ad un tempo e vista, e udito, e favella; e vi ha chi no ‘l crede, pretendendo altro segno dal Cielo, come se ancor su questo non avesse potuto egli malignare. Fosse stato l’orrore del delitto, fosse stato il timore della pena, il giuocatore rimansi sul fatto col braccio in aria immobile ed assiderato. In punto passa di colà il Conte di Sarno, destinato contra i malfattori di Campagna dal Viceré di Napoli: e verificato il delitto, condanna l’Autore ad esser appiccato col suo maglio in dosso a quell’albero medesimo, in cui per isbaglio dato aveva colla sua palla. L’avvenimento del giuocatore intanto nel 1716 si volle dal celebre nostro Papasso eternare co versi seguenti: Longius intendens, tiliam quatit irritus ictu Nè credasi questa la volta sola, in cui lo Dio di misericordia si è convertito in Dio della vendette, per rifar l’onore della sua santa Madre oltraggiata da taluno in questa veneranda Immagine. A’ 7 ottobre 1683, per tacere di altri fatti simili, uno scongigliato ascoso nel Santuario ardì involarne un oggetto prezioso. Nell’uscirne lo assale improviso tremore abbagliasi di vista, gli vengon meno le gambe, e brancolando carpone, senza sapersi dove, è colto così in fallo. I buoni Religiosi, non contenti di averlo compatito, lo regalarono caritatevolmente, e lo mandarono via libero e salvo. Ma il fatto non potè nascondersi. Il caso funesto pertanto del poco fa accennato giuocatore di maglio trasse gran numero di Fedeli nel Santuario colle pie largizioni de’ quali si poté dietro l’antica Cappella costruirne un’altra con due picciole stanze ad uso di un Romito, che vegliar dovesse alla custodia del Santo Luogo. Ma il fervore de’ divoti rattiepidissi ben presto, e le nuove costruzioni se ne risentirono per modo, che di già minacciavano rovina. Accorse a ripararle una buona Donna del prossimo Comune di S. Anastasia, ed a gloria del debol sesso, sostenne col suo esempio così l’onorevol titolo di divoto accordatogli fin da’ primi tempi della Chiesa fiorente. E questo bello esempio fu di sprone a Scipione de’ Rubeis Capece – Scondito, onde a sue spese ne facesse riquadrare il muro, ed innalzare altra Cappella assai più comoda, e munita di porte di ferro. La Santa Immagine così restò chiusa dalla parte inferiore in cancelli di legno dorato, e dal mezzo busto in su ricoperta da una lastra di vetro ben grande. Un altro avvenimento men tragico del descritto in persona del giuocatore, ma più di esso clamoroso, risvegliò il languore, in cui erano di nuovo caduti i Fedeli riguardo al culto della Sagra Immagine. E pare che il Dio della dolcezza di quando in quando e per poco mostrasse tribunale di giustizia in sostegno di essa, per quindi aprire un tesoro permanente di misericordie in prò di quelli, che così paternamente avvertiti avessero saputo meglio riconoscere e valutare un tanto tesoro. Tanto è vera la massima di S. Agostino, che Iddio, sommo Bene, non permetterebbe giammai il menomo de’ mali, ove da esso col suo potere infinito riacavar non sapesse beni assai maggiori. Nel Lunedì adunque di Pasqua del 1590 ritornavasene dal Santuario una tal Aurelia del Prete, ancor essa di S. Anastasia, dopo avervi depositato un voto da lei fatto. Menavasi indietro un picciol porco, il quale spaventato da’ clamori della folla, gli scappò dalle mani. Mentre va per inseguirlo, cade, e bestemmia il santo Luogo, e chi ve lo costruì. Il buon marito, che l’era a’ fianchi, la riprende, e quasi profetando le dice, che in pena di tale bestemmia la Vergine dell’Arco le avrebbe fatto cadere le gambe. Nelle ricorrenza appunto della Festività della sagra Immagine dell’anno seguente, la Donna ne’ due dì Festivi che succedono alla Pasqua di Risurrezione si vede a piè del letto caduti i piedi, l’uno dopo l’altro. Il fatto fece strepito, e non si potè celare, e agli II Maggio dell’anno stesso se ne prese giuridica informazione per Monsignore D. Fabrizio Gallo, allora Vescovo di Nola. La Donna riconobbe il suo fallo, confessolo pubblicamente con segni non equivoci di cristiana pentimento. E i di lei piedi chiusi in gabbia di ferro si veggono in memoria del fatto sospesi ancora ad un pilastro del Tempio. Questo male assai strano e raro in Medicina, che dicesi cancrena secca, corrisponde a greco............., ed al francese ergot, potrebbe parer destinato particolarmente dalla divina giustizia a punire gli oltraggiatori delle cose sante; perchè conosca anch’io un tale, che ancor sopravvive, il quale dopo aver osato ne’ stravizzi carnevaleschi di contraffare in una cappella rurale, pure della Vergine, le funzioni de’ santi misteri, perde successivamente per lo stesso male e piedi e gambe, e mani e braccia. Questo fatto ancora si volle dal celebre Nicola Capasso raccomandare alla posterità con questo elegante epigramma: dum cadit inscetans fugientem femina porcum, Col benefizio intanto delle copiose oblazioni raccolte in seguito dell’accaduto alla donna di S. Anastasia, nel 1593 si potè dar principio alla costruzione del bel Tempio, quale attualmente si vede e questa avvenne il dì primo Maggio, giorno di Sabato. Ne gettò la prima pietra il Vescovo di Nola, e la volle opistografa, cioè scritta davanti, e di dietro. Nel davanti v’è scolpito, come segue: An Domini 1593. Kal. Maii. Clem VIII. P. M. E di dietro era scritto così: Divae. Mariae. ab. Arcu. ob. Aureliam Queste iscrizioni nel loro genere sono di buono stile, e da esse l’accorto Lettore comprende, che il Vescovo Nolano di que’ tempi non era un uomo così alla buona, sulla cui parola e fede non si possa riposare tranquillamente in tali materie. Ad onore della Fedelissima, non men che pia Città di Napoli, non è da tacere, che essa fin dal 1591 preso aveva cura di procurare al Santo Luogo uno stabilimento regolare e sicuro, onde soddisfar pienamente alla pietà de’ Fedeli che vi si affollavano, giacché fino a quel punto tutto era corso precariamente, e di una maniera poco confacevole a sì nobil fine. Porse dunque supplica in detto anno alla Santità di Gregorio XIV; affinché, atteso il concorso, e la divozione sempre crescente verso la santa Casa dell’Arco, si compiacesse di prenderla sotto la sua paterna considerazione con assegnarla come in tutela a qualche Ordine Religioso di più conosciuta esemplarità . Nè fu , perciò , assegnata la cura ai padri Domenicani . ......................... Omissis ......................... Il documento continua ma noi ne abbiamo interrotta la trascrizione per economia di spazio.
4) IL CULTO MARIANO A MACERATA CAMPANIA a) Maria SS. Dell’Arco Munno Giovanna Riportiamo di seguito una serie fotografica dei pellegrinaggi dei Maceratesi al santuario della Madonna dell’Arco.
B) Madonna di Montevergine Il culto della Madonna di Montevergine si concretizzava con i pellegrinaggi a piedi e nelle pagine successive riportiamo alcune testimonianze fotografiche di quei pellegrinaggi. I devoti maceratesi della “Madonna Nera” (altrimenti detta “Mamma Schiavona”) facevano fin dentro l’abazia sul “Mons Virginis” un pellegrinaggio al quale partecipavano fedeli di ogni età. Nelle pagine successive riportiamo una serie fotografica del tempo e alcuni riferimenti bibliografici da noi repertati nella biblioteca del Museo Campano di Capua. IL SANTUARIO DI MONTEVERGINE “L’alba del 29 maggio 1837 sorgeva apportatrice del più bel giorno di primavera, allorché io e uno dei miei migliori amici impazienti di salire al santuario, che costruito presso la vetta dell’eccelso monte (Partenio) sembra esporre all’adorazione dei popoli del Principato Ulteriore (Avellinese) la Diva Madrea. Le cavalle che debbono trasportarci su per i tristi sentieri, non ancora appariscono .Non il calpestio, non la voce dei loro padroni che sogliono essere i compagni del viaggio.La nostra inquietudine aumenta, ma eccoli infine.Le cavalle ricalcano le vie già tante volte da esse battute e noi seguiamo gli avvolgimenti tornanti9 del monte in mezzo a dei freschi boschetti di castagni. A poco a poco la pianura si fa più bassa ed un vasto orizzonte comincia a spiegarsi ai nostri sguardi. Nuove pendici, nuovi colli successivamente si discoprono, il sole vi apparisce in un abisso di luce e vibra i prossimi raggi sulle pendici del monte. Qual’aria purissima! Quali aurette fresche, quale armonia di uccelli in quelli opachi recessi. Comparisce il Santuario alla fine. Esso consiste in un ampio cortile con a destra l’arteria, a sinistra il gratuito albergo dei divoti, di fronte le stanze dei padri del Tempio. Giuseppe Zicarelli Di seguito riportiamo una serie fotografica dei pellegrinaggi a Montevergine.
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