Parte Seconda - Capitolo Primo - Il culto Mariano a Macerata Campania

A) Religiosità

PREMESSA
La “religiosità, è un sentimento connaturato all’uomo. A prescindere dal suo livello di intelligenza e di cultura la “religiosità” rappresenta uno degli aspetti della personalità  e della vita, non solo spirituale, di ognuno di noi. Essa permea ogni aspetto del nostro vivere, poiché è complementare alla nostra natura spirituale. L’intima connessione tra la natura spirituale dell’uomo e l’idealizzazione del soprannaturale (deizzato perché incomprensibile ed inspiegabile) porta l’uomo a “configurarsi” un ideale religioso, al quale partecipare la propria devozione scrupolosa, sia nel sentimento che nell’atteggiamento . Di questa “partecipazione” spontanea e scrupolosa al sentimento della “deità” da parte dell’uomo si ha da sempre memoria; sin dalla più remota fase aurorale della storia. Questa religiosità, certamente rivolta verso una presunta natura divina delle varie forme della natura fisica, si realizzò in una forma di culto religioso, fatto di deferenza, gratitudine, paura, esaltazione, erotismo, felicità, superstizioni, speranza, amore, invidia, odio. Questi vari momenti del “sentire” umano, che costituiscono alcuni degli aspetti della complessa spiritualità dell’uomo, infatti, si estrinsecavano (e si estrinsecano) con atteggiamenti, singoli o collettivi, regolati da norme, a volte non scritte, di gestualità, mimica, sonorità, che sono la parte più appariscente del sentimento di religiosità. Non solo ma l’esteriorità del sentimento religioso, esternare cioè il sentimento del religioso, è stata da sempre una necessità per il credente, che voleva, e vuole, non solo “essere” ma “apparire” tale. In questa necessità dell’ “essere” e “apparire” si estrinseca la nostra volontà di “manifestare” (rendere pubblico) il nostro credo.
Si ha una forma di osmosi tra il sentimento religioso, la religiosità e il culto32, inteso come tributo di amore e di venerazione che si rende alla divinità, specialmente con adorazione, preghiera e riti in luoghi ad esso destinati. In epoca romana, specie nel III secolo d.C., quando questi atti di adorazione e di preghiera, o penitenza, avvenivano in pubblico e per ogni tipo di ceto sociale, si avevano le “processiones solemnes” con particolari tipi di carri. Questi erano parte integrante della religiosità; in ogni manifestazione religiosa li si utilizzavano con diversi addobbi. Come abbiamo visto, ogni tipo di  carro era “preparato” a seconda del valore sociale che aveva il personaggio promotore della “processio”.33

In riferimento alla prima parte di questa nostra monografia, la “religiosità” del popolo maceratese attraverso i secoli noi abbiamo la convinzione che le attuali attività-espressioni esteriori di “religiosità”34 hanno un qualche prodromo nel nostro passato remoto; fin nella “romanità”. Le manifestazioni della religiosità “cristiana” nelle contrade maceratesi sono state sempre un poco permeate di paganità. Ed è stato questo retaggio a dare il carattere distintivo di individualità etnico-geografico-artistica al “Carro della battuglia di Pastellessa”. Anche nella definizione del “periodo dell’anno in cui cade la festività è da vedersi, come riportata nel materiale bibliografico, fornitoci dal dott. De Crescenzo della Biblioteca Comunale di S. Maria C.V., una fonte di paganità. Nei “FASTI” di  Ovidio, in vita “le giovenche alla pingue greppia finché verrà il lavoro nella dolce estate. L’aratore sospenda al chiodo l’aratro dimesso…… la terra è fredda, teme ogni solco……”, ad esprimere il senso delle feste pagane che si svolgevano nei primi due mesi del nostro calendario e che segna il passaggio dal culmine dell’inverno all’equinozio di primavera, quando il sole da inizio al periodo più luminoso dell’anno. Gennaio era perciò il mese dell’attesa e del riposo dei campi, così come lo descrive il grande poeta latino, quando gli uomini si dedicavano alla celebrazione di feste e riti purificatori (col fuoco!) per prepararsi al grande risveglio primaverile. Da queste radici antichissime nascono le tradizioni, tanto sentite nelle nostre zone, e i sentimenti di una viva e forte religiosità. Ma il 17 di gennaio, dedicato al culto di S.Antonio Abate, prescinde da queste radici, perché nel Martirologio Geronimiano non vi è traccia di quanto da noi detto su.

[32] Il culto non è la religiosità. Questa e, infatti, partecipazione e devozione, nel sentimento e nell’atteggiamento, a un ideale religioso in senso proprio e figurato (cioè manifestazione di religiosità). Mentre il culto è l’insieme delle cerimonie che si tengono per esprimere e significare i nostri sentimenti di omaggio, onore, devozione, credo e fede ad una deità.
[33] Vedasi il paragrafo del “manoscritto d 7473”, da pag. 6 della nostra “MACERATA – le origini, il sito, il nome”
[34] In specie per “Santantuono – Pastellessa”

 

B) RELIGIOSITA’ E SUPERSTIZIONE

Le poche e semplici valutazioni sulla religiosità, da noi su riportate, vogliono essere la premessa alla presentazione di una congettura: alcune manifestazioni esteriori di religiosità (processioni, riti, tradizioni) nelle nostre contrade hanno la loro origine nella romanità o in altra civiltà che ebbe signoria nelle nostre contrade. Voglio, cioè, dire che alcune manifestazioni di religiosità nel nostro territorio hanno radici e richiami pagani. Questa ipotesi, che a prima vista appare scarsamente probabile perché si ritiene di essere in presenza di dati per tale valutazione genericamente incompleti o inesatti, può essere secondo noi confermata anche se non in termini di certezza matematica. È nostro convincimento, infatti, che le considerazioni, i riscontri e le deduzioni, fatti durante la lettura di testi antichi e di manoscritti anonimi  oltre che di testi agiografici, confermeranno la nostra ipotesi. Ora, però, va fatta qualche considerazione sul rapporto, certamente intimo, tra religiosità e superstizione. La Superstizione ! Era questo insieme di credenze e pratiche rituali, proprie di società ed ambienti culturalmente arretrati e fondati su presupposti magici ed emotivi, una forma esteriore del sentimento di religiosità? Può la religiosità permearsi di superstizione e viceversa? Noi crediamo di non cadere in errore, rispondendo di sì; considerando però la risposta affermativa  riferibile e riferita a popolazioni, come la romana, che praticavano atti di culto falsi (secondo il nostro credo !), quali la divinazione, la magia, i riti propiziatori o di maledizione ed esorcismo. Ai tempi dei Romani la magia e la superstizione intervenivano e ricorrevano molto spesso nei canoni della religione ufficiale, tanto da condizionarne e falsarne, talvolta, i tratti identificativi. Anche nel territorio maceratese! Ma la rappresentazione esteriore del sentimento di religiosità, pur se inquinata da momenti di superstizione, è stata, è e sarà sempre caratterizzata dalla necessità di spettacolarizzazione, che si concretizzava (e si concretizza) in una serie di atti e scene, ricorrenti nel tempo oltre che nelle motivazioni e negli oggetti, o soggetti, del culto. Sicchè la religiosità diventò scena, teatro, spettacolo, tramandati nel tempo: le manifestazioni di religiosità assunsero (e hanno tuttora, secondo noi ) il carattere di “TRADIZIONE” e, ancor più, di “FOLCLORE”. Di questo tipo di tradizioni, permeate di religiosità, il popolo è sempre stato il geloso custode e il giudice insindacabile della ortodossia dei principi ispiratori.

 

C) INTENZIONI E PRECISAZIONI DELL’AUTORE

Per quanto il lettore possa trovare, nelle pagine che seguiranno, abbastanza materiale per sfogare la sua passione di lettura è indispensabile che qui, per lo meno di sfuggita si spieghino le intenzioni con le quali il tema di questo nostro lavoro viene affrontato e, nel tempo stesso, si facciano le dovute precisazioni, onde non dare al lettore impressione falsa che chi scrive  si presuma in grado di poter trattare di “Mariologia”. Il nostro, perciò, è un semplice tentativo di giustificazioni del culto della Madonna tra il popolo maceratese, attraverso le manifestazioni di religiosità di massa. I pellegrinaggi e le altre manifestazioni di religiosità in onore della Madonna, sono ancora oggi seguiti con grande senso di partecipazione da parte di tutti i cittadini. Ognuno di noi, credente, negatore, solo devoto, denigratore o cinico35, porta e porterà impressa nelle più gelose fibrille del suo cuore il concetto di una Madre capace di salvarlo, anche senza prodigio o segni soprannaturali, dal buio (dell’anima e dello spirito). A lui hanno fatto ricorso, in questi duemila anni i popoli di tutto il mondo alla ricerca delle sue grazie (non solo per lo spirito) e gli hanno tributato devozione e adorazione. Oggi il culto mariano è molto vivo e sentito e nella nostra Macerata si concretizza in varie manifestazioni di fede e di religiosità (Gli “Altari”, Le “Processioni”, I “Pellegrinaggi”, ecc…). Nelle pagine seguenti sono accennati e panoramizzati con materiale fotografico (raccolto tra pie persone) e bibliografico Boschini – Santelli: “LA MADONNA E L’ITALIA, EDIZIONE 1953”, “LE ORIGINI DEL CULTO DELLA MADONNA DELL’ARCO, TESTO ANONIMO”, “IL PELLEGRINAGGIO DI MACERATA CAMPANIA AL SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’ARCO.” Mentre, dunque, per quello che riguarda la raccolta del materiale relativo alla Madonna dell’Arco si ringraziano sentitamente il sig. Carmine D’Amico e la giovane Munno Giovanna e tutti gli altri che ci hanno fornito foto e notizie  si chiede scusa al lettore per quelle inesattezze o lacune nelle quali si sarà incappati in questa stesura. Un' ultima parola su questo aspetto, lasciato qui di proposito, alla fine. Quest’opera alla quale per ciò che narra, non s’intende dare naturalmente altra interpretazione che quella di una raccolta di dati bibliografici e fotografici, documentati e documentabili, nasce con lo scopo di venir considerata una semplice testimonianza scritta.

“PERCHÈ RESTI MEMORIA”

[35] Penso a Nestorio, Lutero, ecc… 

 

1) IL CULTO MARIANO36

Come si è manifestato il culto dell’uomo per Maria? Primi artefici ne sono stati gli Apostoli, ovviamente. Dopo il culto mariano andò estendendosi in profondità. Ogni secolo è segnato da un progresso, in estensione territoriale e di intensità: sorgono le basiliche  le feste in onore di Maria, si moltiplicano e diventano più solenni. Si celebra Maria, presente col corpo e con l’anima in cielo, e cominciano ad affacciarsi all’orizzonte i dogmi dell’Immacolata e dell’Assunzione. Le abbazie e le processioni in suo onore si moltiplicano, gli ordini religiosi prendono uno sviluppo prodigioso: tra il 665 e il 750 quarantacinque monasteri benedettini sono dedicati a Maria e  tutti gli ordini religiosi, monastici e non, intensificano il culto mariano e le corporazioni non cessano mai di crescere di numero: dal XI al XVI secolo, 160 conventi sono consacrati a Maria.
Nell’anno 935 (?) venne fondato da San Guglielmo il monastero di Montevergine e nel 1594 venne fondato il convento della Madonna dell’Arco da San Giovanni Leonardi .Ma è dopo la prima guerra mondiale che cominciò uno straordinario slancio teologico: Congressi Mariani (1910-12-32) e il Congresso Internazionale del 1921, dopo il quale le pubblicazioni mariane puramente teologiche si moltiplicarono. Nel 1954, l’8 dicembre, si tenne il Congresso Mondiale delle Congregazioni Mariane: mille congressisti in rappresentanza di 63 nazioni e 1200 diocesi.

[36] Dal testo “Mariologia (?)” presso la Biblioteca Comunale di Santa Maria C.V.

 

2) PELLEGRINAGGI AI SANTUARI DI MARIA

Per la diffusione del culto mariano, sia in estensione che in profondità, il primo bisogno dell’uomo credente si è manifestato con l’erezione di oratori e di cappelle. Poi hanno costruito delle vere chiese, grandi o piccole, ed infine, nel periodo in cui la fede era “intensa”, hanno edificato delle meravigliose cattedrali, che continuano a sorgere su tutta la terra. Senza trascurare di menzionare le cappelle rustiche (Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie in via Elena di Macerata, antichissima ma, purtroppo, non catalogata, dalla Sovrintendenza di Caserta) e gli oratori il cui numero aumenta continuamente. Le bellezze e la santità di alcuni santuari dedicati a Maria attirano i fedeli che a cadenze solitamente annuali ed in occasione delle ricorrenze che prevede la liturgia si recano a far visita a quei luoghi santi per confermare la loro fede alla Madonna. I pellegrinaggi pullulano assumendo, cioè sin dai tempi remoti, uno specialissimo calore locale e il folclore diventa religiosità, innestandosi spesso su un tessuto folclorico fatto di paganità (Sant’Antuono-Pastellesse). Le processioni, poi e proprio per questo, sono pittoresche: luminarie, fiori, fanfare, canti, fuochi d’artificio; non manca nulla perché la manifestazione di religiosità assuma i caratteri ed il tono del folclore.

 

3) IL CULTO MARIANO IN CAMPANIA
A)    Madonna dell’Arco
B)    Madonna di Montevergine

Tratto dalla pag. 66 di “Campania – Storia – Arte, Folclore” di F. E. Pezone: altra festa di ispirazione cristiana ma di origine pagana è quella della Madonna dell’Arco, venerata presso Sant’ Anastasia (NA)”. Per tutto l’anno i fedeli, scalzi e di corsa (per ciò detti i “fujenti”), vestiti di bianco, raccolgono le offerte, che il lunedì in Albis, spendono in onore della Madonna e per i poveri. Altre feste di inspirazione cristiano – pagane sono quelle che si svolgono a Nola (Festa dei Gigli) a Torre del Greco (Festa dei quattro Altari), ad Atella (Festa della Candelora) e quella di S. Caneone a Mercogliano (Festa della Mamma Schiavona – Madonna di Montevergine).

A) Madonna dell’Arco

per meglio chiarire le origini del culto per la Madonna dell’Arco, crediamo di fare cosa utile riportando nelle pagine seguenti il testo integrale di un anonimo devoto. Ed è al lettore devoto della Madonna dell’Arco che con somma reverenza e devozione ci accingiamo a presentare ai fedeli maceratesi, devoti della Madonna dell’Arco,  quest’opuscolo. Datato 1833, in esso sono riportati alcuni miracoli avvenuti per intercessione della Madonna. La descrizione, in lingua italiana dell’epoca, dei miracoli è semplice e lineare; è libera da ogni permeazione di fanatismo religioso e si presenta come un’ obbiettiva cronaca storica. Le notizie in esso riportate, e che tendono a dimostrare le origini del culto per Santa Maria dell’Arco hanno la “fisionomia letteraria” classica della cronaca storica e noi come tale la recepiamo e la sottoponiamo all’attenzione del lettore devoto e non. L’autore è anonimo (ne spiega i motivi nella sua presentazione) ed è stato stampato in Napoli dalla Tipografia della Società Filomatica nell’anno 1833. Il testo è stato da noi reperito negli archivi della Biblioteca del Museo Campano di Capua.

AL DIVOTO LETTORE

Un povero figlio offre alla Madre de’ peccatori questo tenue omaggio, il cui oggetto è di promuovere il culto, che le si presta sotto il titolo di S. Maria dell’Arco. Le operette, che su tale argomento si sono in varie vole pubblicate, sono divenute così rare e difficili a ritrovarsi, che da più tempo se ne risente la pietà de’ divoti del Santuario di questo glorioso nome: e perciò questo figlio si è determinato a darne questo piccolo ristretto. Non è necessario, che si sappia il dì lui nome. Ma sarà per avventura di qualche stimolo al pio Lettore di non ignorare la condizione, a cui glielo offre. Essa si è, che si riceva, quando Iddio lo vorrà, nel seno delle sue misericordie le di lui agonie, e la morte che le seguirà. E’ il cuore gli dice, che tal condizione non andrà rigettata dalla buona Madre.

CAP. I
Prime origini del Santuario di S. Maria dell’Arco

Lungo la sinistra della Regia strada, che da Napoli mena al popoloso Comune si S. Anastasia, un miglio a un di presso di qua del medesimo, ben prima del 1500 riscuotevasi divoto culto dalla povera gente un Intonaco, ov’era dipinta la Santissima Vergine. La circostanza di un Arco da porta che stavagli di rincontro, gli fé ben tosto dare il nome di S. Maria dell’Arco, che è poi divenuto sì celebre ne’ Fasti de’ Santuarii più rinomatati. E questa si è la origine primiera di tal denominazione, nella quale non accade andar cercando misteri, perché non ve n’ha bisogno. La Religion cristiana è bella, perché vera; e perché vera, ama la semplicità, con cui vuole esser trattato tutto quello che le si appartiene. Leggendosi i Libri Santi, ed in ispezie i sagrosanti Vangeli, e’ sarà ben da compiangere chi non resterà affetto ed incantato dalle attrattive di tal verità in leggendoli. Nel secondo giorno di Pasqua di Risurrezione dell’anno indicato celebrandosi la Festa di questa divota, ma poco fin allora conosciuta Immagine avvenne cosa, che ne ingrandì mirabilmente la fama, e ne accrebbe il religioso culto. Un Giuocatore da maglio falla un colpo, e perde così la partita da giuoco. Indispettito per tal caso, raccoglie la palla e scagliala sul viso della Santa Immagine, donde è costante tradizione, che scaturisse sul momento vivo sangue. La contusione al certo lasciatavi è ognor visibile. Il fatto fu pubblico: ma non mancheranno perciò de’ pretesti allo spirito della miscredenza, per dubitarne. Qual maraviglia? Il divin Redentore aveva sugli occhi d’ immensa turba cacciato con un suo comando il Demonio da un povero ossesso, a cui rendé  ad un tempo e vista, e udito, e favella; e vi ha chi no ‘l crede, pretendendo altro segno dal Cielo, come se ancor su questo non avesse potuto egli malignare. Fosse stato l’orrore del delitto, fosse stato il timore della pena, il giuocatore rimansi sul fatto col braccio in aria immobile ed assiderato. In punto passa di colà il Conte di Sarno, destinato contra i malfattori di Campagna dal Viceré  di Napoli: e verificato il delitto, condanna l’Autore ad esser appiccato col suo maglio in dosso a quell’albero medesimo, in cui per isbaglio dato aveva colla sua palla. L’avvenimento del giuocatore intanto nel 1716 si volle dal celebre nostro Papasso eternare co versi seguenti:

Longius intendens, tiliam quatit irritus ictu
Lusor et inde globo Virginis ora ferit.
Illa cruore madet, saxi riget impius instar,
Et ludi metam comperit esse crucem.

Nè credasi questa la volta sola, in cui lo Dio di misericordia si è convertito in Dio della vendette, per rifar l’onore della sua santa Madre oltraggiata da taluno in questa veneranda Immagine. A’ 7 ottobre 1683, per tacere di altri fatti simili, uno scongigliato ascoso nel Santuario ardì involarne un oggetto prezioso. Nell’uscirne lo assale improviso tremore abbagliasi di vista, gli vengon meno le gambe, e brancolando carpone, senza sapersi dove, è colto così in fallo. I buoni Religiosi, non contenti di averlo compatito, lo regalarono caritatevolmente, e lo mandarono via libero e salvo. Ma il fatto non potè nascondersi. Il caso funesto pertanto del poco fa accennato giuocatore di maglio trasse gran numero di Fedeli nel Santuario colle pie largizioni de’ quali si poté dietro l’antica Cappella costruirne un’altra con due picciole stanze ad uso di un Romito, che vegliar dovesse alla custodia del Santo Luogo. Ma il fervore de’ divoti rattiepidissi ben presto, e le nuove costruzioni se ne risentirono per modo, che di già minacciavano rovina. Accorse a ripararle una buona Donna del prossimo Comune di S. Anastasia, ed a gloria del debol sesso, sostenne col suo esempio così l’onorevol titolo di divoto accordatogli fin da’ primi tempi della Chiesa fiorente. E questo bello esempio fu di sprone a Scipione de’ Rubeis Capece – Scondito, onde a sue spese ne facesse riquadrare il muro, ed innalzare altra Cappella assai più comoda, e munita di porte di ferro. La Santa Immagine così restò chiusa dalla parte inferiore in cancelli di legno dorato, e dal mezzo busto in su ricoperta da una lastra di vetro ben grande. Un altro avvenimento men tragico del descritto in persona del giuocatore, ma più di esso clamoroso, risvegliò il languore, in cui erano di nuovo caduti i Fedeli riguardo al culto della Sagra Immagine. E pare che il Dio della dolcezza di quando in quando e per poco mostrasse tribunale di giustizia in sostegno di essa, per quindi aprire un tesoro permanente di misericordie in prò di quelli, che così paternamente avvertiti avessero saputo meglio riconoscere e valutare un tanto tesoro. Tanto è vera la massima di S. Agostino, che Iddio, sommo Bene, non permetterebbe giammai il menomo de’ mali, ove da esso col suo potere infinito riacavar non sapesse beni assai maggiori. Nel Lunedì adunque di Pasqua del 1590 ritornavasene dal Santuario una tal Aurelia del Prete, ancor essa di S. Anastasia, dopo avervi depositato un voto da lei fatto. Menavasi indietro un picciol porco, il quale spaventato da’ clamori della folla, gli scappò dalle mani. Mentre va per inseguirlo, cade, e bestemmia il santo Luogo, e chi ve lo costruì. Il buon marito, che l’era a’ fianchi, la riprende, e quasi profetando le dice, che in pena di tale bestemmia la Vergine dell’Arco le avrebbe fatto cadere le gambe. Nelle ricorrenza appunto della Festività della sagra Immagine dell’anno seguente, la Donna ne’ due dì Festivi che succedono alla Pasqua di Risurrezione si vede a piè del letto caduti i piedi, l’uno dopo l’altro. Il fatto fece strepito, e non si potè celare, e agli II Maggio dell’anno stesso se ne prese giuridica informazione per Monsignore D. Fabrizio Gallo, allora Vescovo di Nola. La Donna riconobbe il suo fallo, confessolo pubblicamente con segni non equivoci di cristiana pentimento. E i di lei piedi chiusi in gabbia di ferro si veggono in memoria del fatto sospesi ancora ad un pilastro del Tempio. Questo male assai strano e raro in Medicina, che dicesi cancrena secca, corrisponde a greco............., ed al francese ergot, potrebbe parer destinato particolarmente dalla divina giustizia a punire gli oltraggiatori delle cose sante; perchè conosca anch’io un tale, che ancor sopravvive, il quale dopo aver osato ne’ stravizzi carnevaleschi di contraffare in una cappella rurale, pure della Vergine, le funzioni de’ santi misteri, perde successivamente per lo stesso male e piedi e gambe, e mani e braccia. Questo fatto ancora si volle dal celebre Nicola Capasso raccomandare alla posterità con questo elegante epigramma:

dum cadit inscetans fugientem femina porcum,
Virginis adieculam dente scelesta pedit.
Post annum, miseracque fuit Vir verus aruspex,
Quos male direxit, perdit aegra pedes.

Col benefizio intanto delle copiose oblazioni raccolte in seguito dell’accaduto alla donna di S. Anastasia, nel 1593 si potè dar principio alla costruzione del bel Tempio, quale attualmente si vede e questa avvenne il dì primo Maggio, giorno di Sabato. Ne gettò la prima pietra il Vescovo di Nola, e la volle opistografa, cioè scritta davanti, e di dietro. Nel davanti v’è scolpito, come segue:

An Domini 1593. Kal. Maii. Clem VIII. P. M.
Ep. Nolan. Primus. lapis. positus est

E di dietro era scritto così:

Divae. Mariae. ab. Arcu. ob. Aureliam
Blasphemam pedib. Multatani. 1593
Die. 20. Aprilis

Queste iscrizioni nel loro genere sono di buono stile, e da esse l’accorto Lettore comprende, che il Vescovo Nolano di que’ tempi non era un uomo così alla buona, sulla cui parola e fede non si possa riposare tranquillamente in tali materie. Ad onore della Fedelissima, non men che pia Città di Napoli, non è da tacere, che essa fin dal 1591 preso aveva cura di procurare al Santo Luogo uno stabilimento regolare e sicuro, onde soddisfar pienamente alla pietà de’ Fedeli che vi si affollavano, giacché fino a quel punto tutto era corso precariamente, e di una maniera poco confacevole a sì nobil fine. Porse dunque supplica in detto anno alla Santità di Gregorio XIV; affinché, atteso il concorso, e la divozione sempre crescente verso la santa Casa dell’Arco, si compiacesse di prenderla sotto la sua paterna considerazione con assegnarla come in tutela a qualche Ordine Religioso di più conosciuta esemplarità . Nè fu , perciò , assegnata la cura ai padri Domenicani .

......................... Omissis .........................

Il documento continua ma noi ne abbiamo interrotta la trascrizione per economia di spazio.

 

4) IL CULTO MARIANO A MACERATA CAMPANIA

a)    Maria SS. Dell’Arco
Per quanto concerne le origini del culto della Madonna dell’Arco a Macerata Campania, riportiamo integralmente nelle pagine seguenti una riflessione scritta e gentilmente rimessaci dal responsabile del pellegrinaggio al santuario della Madonna dell’Arco, Carmine D’Amico. Ovviamente la letteratura Religiosa sulla Madonna dell’Arco è molto più ampia e ricca di contenuti. Il nostro vuole essere solo un tentativo, crediamo ragionevole, di presentazione del fenomeno delle origini del culto della Madonna dell’Arco a Macerata Campania.

Oltre che della Liturgia, la vita cristiana si nutre di varie forme di pietà popolare radicate nelle diverse culture: visite ai santuari, processioni, danze religiose, venerazioni alle reliquie, ecc. Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della Chiesa, ma non la sostituiscono. La religiosità popolare è un insieme di valori che risponde ai grandi interrogativi dell’esistenza. Essa unisce il divino e l’umano, come Cristo e Maria lo spirito e il corpo, la persona e la comunità. Questa unione afferma la dignità di ogni essere in quanto figlio di Dio, insegna a porsi in armonia con la natura e offre delle motivazioni per vivere nella gioia e nella serenità (Cfr.catechismo della Chiesa cattolica, Città del  Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1922,428). La pietà popolare non è rivolta solo a Cristo, ma anche a Sua Madre, Maria, che viene dalla Chiesa onorata con culto speciale. Come conferma la Costituzione dogmatica “Lumen Gentium” al cap. VII: il culto a maria è sempre esistito nella Chiesa: la Beata vergine è venerata col titolo di Madre di Dio e i fedeli si rifugiano sotto la sua protezione implorandola in tutti i loro pericoli e le loro necessità. Anche se questo culto è del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione reso al Verbo incarnato, così come Padre e allo Spirito Santo ed è eminentemente adatto a promuoverlo. Infatti, mentre è onorata la Madre, il Figlio è debitamente conosciuto, amato, glorificato e vengono osservati i suoi comandamenti (Cfr.Lumen Gentium, cap. VIII in I Documenti del Concilio Vaticano II, Costituzioni – decreti – Dichiarazioni, Mappano, Paoline, 1898, 143 – 144.). Maria quindi può essere definita <<il santuario>> e il <<riposo>> della Santissima Trinità, dove Dio si trova in modo più sublime e divino che in qualsiasi altro luogo dell’universo; in Lei si compie in maniera esemplare l'opera delle Tre Persone divine, quella stessa opera che dovrà compiersi nella Chiesa fino al ritorno di Cristo. È così che la devozione a Maria rappresenta il pieno riconoscimento della Trinità di Lei, quale segno e anticipo dl compimento promesso nella gloria di Dio tutto in tutti (Cfr.Forte B., Maria la donna icona del Mistero. Saggio di mariologia, simbolico- narrativa, Torio, Paoline, 1989, 139-140.).
Una forma di pietà popolare radicata nella tradizione religiosa di Macerata Campania è il pellegrinaggio al Santuario della Madonna dell’Arco. Questo Santuario è stato costruito a Sant’Anastasia (NA), in contrada detta dell’Arco, per la presenza di archi superstiti di un antico acquedotto romano, perché luogo di molti miracoli. Il primo dei quali è avvenuto il Lunedì di Pasqua del 1450, quando, lungo la strada un ragazzo giocando a palla con un altro, perde la partita bestemmia e lancia la palla contro un’immagine della Madonna dipinta su di un muricciolo e subito essa comincia ad emettere sangue vivo. Per il suo gesto, il giovane fu impiccato e l’immagine della Vergine fu protetta, inserendola in una cappella (Cfr. Novena e preghiera a Madonna SS dell’Arco. Sicignano, 1953, 1).

Questo luogo da sempre ha attirato numerosi fedeli organizzati individualmente e in pellegrinaggi. Anche a Macerata Campania si organizza questo pellegrinaggio, non ci sono però fonti per ricercarne le motivazioni, ma dalle notizie e da alcuni certificati in possesso dell’attuale organizzatore del pellegrinaggio, si evince che le origini di esso risalgono al 1901 al signor D’Addio Domenico, che poi ha tramandato questa tradizione al figlio e questi al genero, l’attuale organizzatore il Signor D’Amico Carmine. Quest’Associazione, fino a qualche anno fa, veniva gestita in modo del tutto autonomo, invece, come si attesta dal Certificato di Nomina al Presidente del 25/01/98 rilasciata al Signor D’Amico, dalla Segreteria delle Associazioni del Santuario, essa viene riconosciuta come tale. Puntualmente il pellegrinaggio si rinnova ogni anno nel giorno di Pentecoste. Anticamente, questa processione iniziava verso le ore 17,00 del giorno prima di Pentecoste e consisteva nell’andare a piedi fino al Santuario, camminando per tutta la notte, in modo che si arrivasse a Sant’Anastasia (circa 40 Km di distanza) la mattina successiva. Una volta arrivati, si riceveva la benedizione dei Frati Domenicani, che da sempre custodiscono questo Santuario, e subito si iniziava il cammino di ritorno. Da alcuni anni, invece, questo pellegrinaggio inizia verso le ore 8,00 sempre del giorno precedente a quello di Pentecoste, da una Cappellina in onore di questa Madonna, fatta costruire nel 1960 grazie al terreno offerto da un noto legale di Marcianise ed alle offerte dei devoti. La processione si apre con un ragazzo che porta il Crocefisso, affiancato a destra e a sinistra da altri ragazzi che portano tavolette con le stelle, che ricordano il prodigio del 25 marzo 1675, quando l’immagine della Madonna fu vista per circa un mese circondata di stelle fulgidissime (Cfr. 400 anni di fede popolare. Pregare a Madonna dell’Arco, 1933,6).  Dietro ai ragazzi, dei gruppi, costituiti per lo più da giovani, indossano delle divise (cambiate nel tempo) e portano stendardini, pali addobbi, barche e toselli, ognuno dei quali contiene immagini della Madonna.
In coda alla processione si ritrova un gruppo di fedeli (senza divise) che cantano e pregano per tutto il percorso. Dopo essere partita dalla Cappellina, la processione passa per il paese fermandosi fuori dalla Chiesa, dove riceve la benedizione dal Parroco Locale. Inizia, così, il pellegrinaggio a piedi fino ad arrivare al Santuario verso le 17,00 – 18,00 del pomeriggio. Una volta arrivati, prima di entrare all’interno del santuario, tutti si inginocchiano e procedono così fino al tempietto centrale che contiene l’immagine della Madonna, dove i frati accolgono il gruppo impartendo una speciale benedizione. Subito dopo, i pellegrini, passano nella parte posteriore del tempietto, dove c’è una lastra di marmo nero con incise lettere d’oro, strofinano su queste lettere un fazzoletto per poi passarselo sulla fronte, per invocare l’aiuto della Madonna. Questa lastra ricorda la protezione della Vergine a più di 8000 persone che lì si rifugiarono durante l’eruzione del Vesuvio, dal 15 Dicembre 1631 al 20 gennaio 1632 (Cfr.Ibidem,5 - 6).  I fedeli trascorrono la notte nella Sala del pellegrinaggio attigua al Santuario. La Domenica di Pentecoste si alzano presto per ricevere il Sacramento della Penitenza e poi partecipano alla Celebrazione Eucaristica. Subito dopo iniziano il percorso inverso. Arrivano a Macerata verso le 18-19 del pomeriggio, vengono accolti da tutti i cittadini ed insieme si entra in Chiesa per ricevere una nuova benedizione. Si ritorna quindi alla Cappellina, dove tutto finisce con uno spettacolo  di fuochi pirotecnici. Ancora oggi, come cento anni fa, partecipano a questo pellegrinaggio circa cinquecento persone, disposte a percorrere tanti chilometri a piedi, a stare male durante il percorso e nei giorni successivi, persone che soffrono di un qualche male e vanno per chiedere la grazia e altre ancora che già ne hanno ricevuta una, si recano al Santuario per ringraziare la Vergine per il particolare intervento in un momento difficile della propria vita. Tutto questo perché Maria viene percepita come una presenza materna che sa ascoltare i suoi figli e può intercedere presso Suo Figlio, che è l’unica Speranza per tutti.

Munno Giovanna

Riportiamo di seguito una serie fotografica dei pellegrinaggi dei Maceratesi al santuario della Madonna dell’Arco.

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco 

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

Madonna dell’Arco

 

B) Madonna di Montevergine

Il culto della Madonna di Montevergine si concretizzava con i pellegrinaggi a piedi e nelle pagine successive riportiamo alcune testimonianze fotografiche di quei pellegrinaggi. I devoti maceratesi della “Madonna Nera” (altrimenti detta “Mamma Schiavona”) facevano fin dentro l’abazia sul “Mons Virginis” un pellegrinaggio al quale partecipavano fedeli di ogni età. Nelle pagine successive riportiamo una serie fotografica del tempo e alcuni riferimenti bibliografici da noi repertati nella biblioteca del Museo Campano di Capua.

IL SANTUARIO DI MONTEVERGINE
A 200 metri circa dalla vetta del Monte Partenio (alto 1270 m), in una zona densa di castagni e di faggi, dove sorgeva un tempio a Cibele famoso fra gli Osci si eleva il santuario di Montevergine, e l’annessa abbazia. Secondo la tradizione a Guglielmo da Vercelli, che nell’eremo sul monte si era dato a vita di penitenza sull’esempio di altri santi, che lo avevano preceduto, apparve Gesù (nel luogo dove è la “Cappella del Torrione” o della Scala Santa) e gli ordinò di edificare un tempio dedicato alla Vergine. Il tempio fu subito costruito e consacrato nel 1124. Guglielmo da Vercelli fondò l’Ordine Monastico dei “Verginiani”, i quali custodivano ed officiavano il Santuario, onde accanto a questo si sviluppò la vasta ed imponente abbazia e quindi la foresteria, che si snoda davanti al Santuario. Dopo un periodo, non breve, l’abbazia fu trasformata in “Commenda” (1349). L’ultimo Abate Commendatore, il Cardinale Ludovico d’Aragona, la vendette alla Casa dell’Annunziata di Napoli, ma nel 1588 Sisto V la restituì ai verginiani e, quando la congregazione si estinse, l’abbazia passò ai “Benedettini”, che l’hanno tenuta e la tengono con grande amore. L’attuale Santuario (Basilica a tre navate) è in rifacimento, su studio dell’architetto Conforto, risalente al XVII secolo stessa epoca del rifacimento della maceratese Chiesa dedicata a San martino e voluta dall’abate F. D’Isa. Su fondo della basilica (dove era forse il tempio di Cibale, del quale sarebbero avanzate due colonnine di marmo) si erge l’altare maggiore, a destra del quale è la Cappella del Sacramento, gotica con un baldacchino marmoreo con mosaici (seconda metà del Duecento) dono di Carlo Martello (1308) ed a sinistra la Cappella della Deposizione o di Manfredi, il quale, si dice avrebbe destinato come tomba sua il sarcofago romano strigliato, che vi si trova ancora. Dietro l’altare maggiore dominato dal grande organo, vi è un busto di San Gennaro, le cui reliquie furono qui custodite prima di essere trasferite nella cappella del Duomo di Napoli.  Il Tempio è pieno di ricordi di epoche diverse e noi ci limitiamo qui  a ricordare la bella sedia abbaziale (4º pilastro con tessuti saraceni), la cinquecentesca statua di San Michele nella prima cappella a sinistra cui segue quella che custodisce il corpo di San Guglielmo e le reliquie di altri 19 Santi. L’anima del Santuario è la prima cappella a destra che dedicata a “Mamma Schiavona”, cioè la Madonna in trono con il Bambino. In questa cappella si venerava, sin dal 1310, una piccola “tavola” della seconda metà del duecento, che rappresenta la Vergine che allatta il Bambino ed ha in piedi San Guglielmo orante: la “tavola” è detta anche la Madonna di San Guglielmo o delle Grazie, oggi allogata nel coretto di notte. Nel 1310 fu trasportata, con grande solennità, la grande tavola attuale da Caterina II di Volois (imperatrice di Costantinopoli e moglie di Federico d’Angiò) che volle essere sepolta nella cappella dove è infatti il sarcofago suo e dei suoi due figliuoli. Secondo la tradizione la testa della Madonna inserita nella “Tavola” era parte di un immagine Vergine Ordigitoria (vita del cammino) dovuta a San Luca e trasferita da Antiochia Costantinopoli da certa Eudossia. Conviene chiarire, prima di procedere altrove, che <<Madonna Schiavona>> (nel testo è riportato con iniziali minuscole)  non indica un’origine slava (Schiavona – Slavonia) ma il colore bruno del volto della Vergine, ed esprime quella dolce ed abbandonata espressione della popolazione meridionale verso la Madonna, come per alcuni Santi (da “Santuari d’Italia” Edz. 1952 c/o Biblioteca Comunale di S.Maria C.V.). Il complesso del santuario con l’annessa abbazia è una gloria di Benedettini ed è uno dei loro maggiori centri. Ma sopra tutto il Santuario vibra per il fervore del culto di “Mamma schiamone” che richiama devoti ininterrottamente e spesso in masse imponenti. È tuttora uno dei maggiori santuari mariani del mezzogiorno. Altri cenni descrittivi del santuario di Montevergine e del culto per la Madonna, marcatamente elegiaci e poetici alquanto, ma giustificati in tale aspetto, visto l’autore, sono stati da noi reperiti nella rivista “Poliorama Pittoresco”. Giuseppe Zicarelli, autore dell’articolo riportato dalla rivista letteraria nella riflessione su Montevergine descrive una gita fatta sul Partenio, insieme ad uno dei suoi migliori amici.
Ecco il testo integrale dell’articolo:

“L’alba del 29 maggio 1837 sorgeva apportatrice del più bel giorno di primavera, allorché io e uno dei miei migliori amici impazienti di salire al santuario, che costruito presso la vetta dell’eccelso monte (Partenio) sembra esporre all’adorazione dei popoli del Principato Ulteriore (Avellinese) la Diva Madrea. Le cavalle che debbono trasportarci su per i tristi sentieri, non ancora appariscono .Non il calpestio, non la voce dei  loro padroni che sogliono essere i compagni del viaggio.La nostra inquietudine aumenta, ma eccoli infine.Le cavalle ricalcano le vie già tante volte da esse battute e noi seguiamo gli avvolgimenti tornanti9 del monte in mezzo a dei freschi boschetti di castagni. A poco a poco la pianura si fa più bassa ed un vasto orizzonte comincia a spiegarsi ai nostri sguardi. Nuove pendici, nuovi colli successivamente si discoprono, il sole vi apparisce in un abisso di luce e vibra i prossimi raggi sulle pendici del monte. Qual’aria purissima! Quali aurette fresche, quale armonia di uccelli in quelli opachi recessi. Comparisce il Santuario alla fine. Esso consiste in un ampio cortile con a destra l’arteria, a sinistra il gratuito albergo dei divoti, di fronte le stanze dei padri del Tempio.
Entrammo riverenti là dove San Guglielmo da Vercelli, abbandonati gli agri della casa paterna visse in penitenza i suoi giorni solitari. La fama della santità avendogli tratti dei seguaci, stabilì nel 1119 una monastica adunanza sotto la regola di San Benedetto che durante sua vita rapidamente propagassi in ambe le Sicilie. Vi eresse in onore della Madre di Dio una chiesa che agli 11 novembre 1182, venne consegnata con immenso concorso colla più splendida pompa e con l’intervento di due arcivescovi, quindi vescovi e cinque abati. Dopo aver ammirato la famosa cappella di Filippo d’Angiò principe di Taranto e quartogenito di Carlo, re di Napoli, dove per opera dell’imperatrice Caterina di Volois sua consorte, adorasi l’antichissima e rinomata immagine di Maria SS.che una pia tradizione vuole dipinta da San Luca e con particolare culto venerata prima in Antiochia e poi in Costantinopoli, osservammo il sarcofago di essa imperatrice di finissimo marmo, che le spoglie anche rinserra dei suoi figli Mario e Luigi di Taranto, secondo marito di Giovanna I; le belle colonne i Portasanta, che adornano l’ingresso del coro a fianco al maggiore altare e che appartengono già al tempio di Cibale, il ciborio ch’è nell’altare del Sacramento colle sue colonne e mosaico dono di Carlo Martello re d’Ungheria; il quadro della deposizione della croce di Rubens posto nell’altra cappella da Manfredi destinata, a sua sepoltura e che Carlo I d’Angiò congedè al suo generale Giovanni della Leonessa; i diversi sepolcri di grandi personaggi.
Ruggiero dichiarò questa chiesa di regia fondazione, privilegio confermato dai suoi successori. I romani pontefici la esentarono da ogni episcopale giurisdizione in guisa che l’abate generale di Montevergine estende il suo potere sopra sette paesi e la diocesi non a niuno metropolitano progetto. Indi dissi all’amico che questo santuario vide il Papa Callisto II (col seguito di 28 Cardinali mossi da Benevento); lo visitarono poscia nel 1170 Alessandro II nel 1183 Lucio III, San Celestino V, Sisto V, Gregorio XV, Benedetto XIII, prima di ascendere alla cattedra di San Pietro. La medesima pietà manifestarono i nostri sovrani. Lo stesso Ruggiero li visitò, nonché i suoi successori Guglielmo I e II; lasciandone quast’ultimi a perpetua memoria, il primo un gran tesoro di reliquie; l’altro la donazione del feudo di san Lorenzo di Pietra- Pulcina (Pietralcina?) Emanuele imperatore d’Oriente venuto a porta guerra a Guglielmo, essendo accampato in Benevento nel 1156 vi lasciò il diploma della chiesa e casale di Santa Croce. Gli imperatori Enrico VI, Federigo II, Manfredi, Corrado. Carlo I, II, II d’Angiò, Carlo Martello re d’Ungheria, Filippo e la moglie Caterina, Carlo di Volois, Giovanni principe della Marca, Stanislao e Renato, Alfonso e Ferdinando I d’Aragona, tutti si recarono in pellegrinaggio a tal santuario…. Questo monte, io diceva all’amico mio caro, fermandoci ad ora ad ora per calmare la lena affannosa del salire, questo monte che come gigante si eleva su tutti gli altri ed è soventa coronato di nubi, ha di altezza sul livello del mare 693 tese; e mirasi per primi mesi dell’anno coverto di neve. Ebbe megli antichi tempi il nome di Cibale da un faditico tempo che vi era a quella dea consacrato. Fu anche chiamato Virgiliano del soggiorno che ivi dicesi aver fatto il tenero cautore di Licoride e di Didone. Divenuto prima asilo dei fedeli contro le persecuzioni e pascia ricovero dei penitenti, il Tempio di Maria SS. Cambiò gli antichi nomi nell’altro più glorioso della vergine, a cui da S. Vitaliano – vescovo di Capua -, qui ritrovatosi nei tempi di Romualdo II era già stata consacrata una chiesa.  Il nome di Montevergine era fin dai tempi dei Longobardi comunemente riconosciuto. Così discorrendo alla cima del monte. Quale spettacolo!” L’autore dell’articolo descrive, spaziando con la vista sulle pianure circostanti, i diversi siti, tutti ricchissimi di memoria storica e conclude “ Dopo aver vagheggiati tutti quei luoghi, ricchi di rimembranze or gloriose, or funeste, cominciammo a discendere di mille cose ragionando. Il vasto edifizio badiale di Loreto, dimora dell’abate ordinario e generale ci accolse; e la bontà del venerando Prelato ci fu larga di ospitale trattamento; ivi osservammo l’archivio ch’è uno dei principali del Regno e che per disposizione sovrana fa parte del grande archivio di Napoli”. Contenti di aver passato un giorno sì lieto tornavamo in su la sera ad Avellino, volgendosi spesso a quel monte e le svariate piacevoli impressioni ricevute dalle opere del tempo, delle arti e della natura facevano in noi sorgere il desiderio di rivederlo.

Giuseppe Zicarelli

Di seguito riportiamo una serie fotografica dei pellegrinaggi a Montevergine.

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

pellegrinaggi a Montevergine

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pellegrinaggi a Montevergine

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