Appendice - Invito al lettore

Per una migliore comprensione storica di quanto finora detto, consigliamo al lettore di leggere con attenzione alcune pagine del testo di Fr. Maria Pratilli «Della Via Appia riconosciuta e descritta» e dal testo di Granata «Storia sacra della Chiesa metropolitana di Capua per meglio comprendere quanto riportato e riferito alle note *vedi dopo.

Fr. Maria PRATILLI
Da: «Della via Appia
riconosciuta
e descritta»

Da: Fr. GRANATA
«Storia Sacra della
Chiesa Metropolitana
di Capua

D E L L A
V I A A P P I A
L I B R O I I I.
C A P O  I

In cui si contiene una Dissertazione sopra la Carta
Topografica dell’antica Città di Capoa.


SEBBENE dell’antico sito della Città di Capoa, quando trovavasi nella sua florida, e primiera grandezza parlato avessee con profonda erudizione il nostro valentissimo Cammillo Pellegrini nel II discorso della Campania Felice; e prima di lui con più fatica che laude, cercato avesse di rinvenirne il circuito, e gli edifizi più celebri, l’Arcivefcovo Cesare Costa (uomo assai chiaro del tempo suo, e lodato da’ Cardinali Baronio, e Bellarmino); nulladimanco non ancora si è toccato il segno; e rimane a noi largo campo di ammendar le cose loro, e di scoprirne ancor delle nuove. Forse il dipintore fu mal guidato nel disegnare l’antica Città sul muro della sala dell’arcivescovile palagio, e non fu il lavoro eseguito sull’idea dell’Arcivescovo; ond’è, che vari errori vi sono stati notati dagli eruditi, come andremo in questa Dissertazione divisando. Ma vie più svisata fu la stampa, che ne diè fuori il P. Giampietro Pasquale della Compagnia di Gesù; imperciocchè oltra gli errori prima dal dipintore commessi, altri ancora, e in gran novero, nel fare intagliare il rame, e’ ve ne aggiunse de’ suoi, per tacer delle vane spiegazioni, che sotto vi aggiunse. Dunque necessaria cosa ho stimato rischiarare esattamente la topografia dell’antica città di Capoa, e degli edifizi più rinomati di essa: facendo dalle opposizioni alla carta del P. Pasquale, e alla dipintura di Monsignor Costa, chiaramente conoscere la verità, o quella maggior verisimiglianza, che gli eruditi antiquari richiedono in simiglianti investigazioni.
E perché possa ognuno da se stesso comprendere quanto andasse errato il Pasquale nella defignazione  del sito dell’antica Capoa, veggasi di grazia il circuito di essa nella sua carta, e troverassi che non occupa maggiore spazio di mille, e cinquecento passi, o poco più: cosa in confeguenza affatto inverisimile, e contraria a ciò, che affermarono gli antichi Storici della magnificenza degli edifizi, del novero de’ cittadini, e dell’ampiezza, di cui andò in que’ tempi fastola; ond’ella ebbe il titolo speciofo di amula Romae, di Roma altera. Or s’egli non seppe far giusta idea del circuito, qual maraviglia che avess’egli errato nella vera designazion delle porte, delle vie, de’ pubblici edifizi, e avanzato si fosse quali per giuoco fino a volere anche indovinare il certo sito delle private abitazioni degl’antichi patrizi, Maggj, Blosj, Giubbellj, ed altri. Quindi avvalendomi io soltanto di quel buono, e di quel vero, che indagò il Costa, e di alcune manoscritte memorie, che dal Pellegrini raccolte furono, e dal fatal fuoco dopo la sua morte scamparono, sforzerommi, per quanto mi sia possibile, di ricercare esattamente l’antico ambito di Capoa, e descriver le porte, e le vie dentro, e di fuori, e quegli edifizj finalmente di lei più celebri, il cui vero sito s’ignora per la negligenza usata da’ nostri maggiori in tramandarcene le notizie.

S.I.
Dell’antico Circuito, e delle Porte di Capoa.
PER incominciar dunque dal circuito, e dalle porte; egli è da presupporre, che Capoa, come tutte altre Città del mondo, non ad un tratto, e sul bel principio della fua fondazione, ma a poco a poco giunse a quella grandezza, e magnificenza, in cui trovavasi in tempo della seconda guerra cartaginese, allora quando confederatasi con Annibale, fu da’ Romani dopo lungo penosissimo assedio, vinta e manomessa, e spogliata delle sue ricchezze. Cadde ella dalla sua grandezza nel più deplorabile, miserevole, e vile stato, quali si fu quello di prefettura (il periodo della istituziona della Prefettura a Capua risale al secondo ampliamento; ma il primo ampliamento risale al periodo della sua « confederazione» con Roma nell’epoca repubblicana): rimase ella senza mura, ordini, né civili, né militari, e senza veruna forma di città: sicchè il volere ora rintracciare le vestigia di quell’antichità, sarebbe opera del tutto vana, ed infruttuosa. Sol ci è lecito considerar Capoa rifatta, e ristorata circa la decadenza della Repubblica Romana, e sotto l’imperio di Augusto. Imperocché allora, sendovi stata dedotta una numerosissima Colonia, riebbe ella i suoi ordini, e rifece le sue mura, ed innalzò superbe nobili fabbriche, così pubbliche, che private. Ma non è facile il determinare se a questo, o ad altro più antico tempo appartenga l’erezione de’ templi di Giove presso il campidoglio, e dell’altro dello stesso iddio estramurano, detto Tifatino (de’ quali a suo luogo farem parola) di quelli di Marte, di Nettunno, di Castore, e Polluce, di Venere, di Mercurio, di Diana, e di altri. Ma siccome egli è certo, che da’ coloni innalzato fusse quell’ampio magnifico anfiteatro, le cui reliquie sopravvivono appena dopo le frequenti incursioni, che ne han sovente fatto, e ne fanno tuttavia quegli stessi, a’ quali delle nobili memorie della patria dovrebbe soprammodo calere, così dee credersi da’ medesimi coloni edificati, o ristorati fussero altresì il teatro, il circo, il campidoglio, la curia, il crittoportico, i fori, l’arco trionfale presso la porta Casilinese, il catabolo per le bestie dell’anfiteatro, la scuola de’ gladiatori, il famoso acquidotto, di cui ancor le vestigie si ammirano, i fonti, le terme, ed ogn’altro, che alla magnificenza della Città potè contribuire. Per conseguente, considerata Capoa in tempo di dovizia, e di prosperità, assai più ampio riscontro all’affermazione della presenza di Macerata nella cinta muraria, e spazioso dovete essere il suo circuito, di quel, che con le loro immaginazioni disegnarono l’Arcivefcovo Costa, e’l Pasquale, uguale, o maggiore cotal circuito di quello, che era allora, che fu la sua repubblica prima confederata co’ Romani, e dopo lor prefettura. Egli è però affai verisimile che non solamente occupasse quello spazio, in cui trovansi al presente i due villaggi di S. Maria maggiore , e di S. Pietro in corpo; ma quello altresì, che intorno intorno gli circonda fino di là dal suddetto dritto sentiero, che di presso al suddetto arco conduce al campo volgarmente di S. Leucio chiamato, ove sono le vestigia dell’antico tempio di Canstore e Polluce; e dipoi per lo luogo detto la cupa,inverso la villa de’ signori Morconi, e così dirittamente sino al villaggio di S. Andrea de’ lagni verso mezzogiorno, e dal villaggio suddetto girando verso la cappella della B. Vergine delle grazie, detta di Macerata (RISCONTRO ALL’AFFERMAZIONE DELLA PRESENZA DI MACERATA NELLA CINTA MURARIA DI CAPUA ANTICA), fin dentro le mura del villaggio delle Curti (più oltra del convento di S. Bonaventura, volgarmente appellato di S. Marco de’ frati minori scalzi di S. Pietro di Alcantara) fino al quadrivio di S. Prisco, ove termina l’antico famoso acquidotto verso oriente, tirando per lo campo della diruta chiesa di S. Martino verso la villa chiamata il tirone, presso la quale l’antico fossato chiaramente si riconosce, e l’uscita altresì della via rivolta a settentrione, che al famoso tempio di Diana Tifatina menava. Né altro di questo può credersi il più ampio sito della nostra antica Capoa dopo il suo risorgimento nella decadenza della Repubblica Romana: concorrendo a comprovare cotal mia idea la giusta simmetria, e l’ordine, e la capacità adattata a tanti abitatori, ch’ella chiudeva, e che la conformò a quella grandezza, che gli autori ne registrarono. Altrimenti il foro del popolo, ch’esser dovette in quel luogo medesimo, ove al presente truovasi il mercato di S. Maria maggiore, come verisimilmente asseriva il Costa, e’l Pellegrini, ed apparisce dal disegno viene giustamente a situarsi presso che nel mezzo, per tutte e quattro le parti quasi egualmente lontano dalle antiche mura. Nacque forse l’abbaglio dell’Arcivescovo da un lungo, e diritto muro, di larghezza circa palmi sei, il quale truovasi in quella via, che da mezzo giorno non lontano dalla croce, che chiamano di S. Erafmo, conduce all’anfiteatro; qual muro egli forse credette, essere stato del circuito della città. Ma (salva la stima di un sì degno prelato) io non saprei scusare un error tanto grave; imperocché quella esser non potea muraglia della città, così perché tutta composta di minute pietre quadrate con alcune fasce di mattoni, opera che gli antichi chiamavano tessellata; come anche perché dato ciò per vero, l’anfiteatro sarebbe stato situato dentro il fossato esteriore della Città, e’l crittoportico, e’l de’ nobili, luoghi per altro cotanto ragguardevoli e speciofi, quali presso al suddetto muro, e più prossimi gli sarebbono stati il teatro, e’l campidoglio: e fuori delle mura l’arco trionfale, il tempio di Castore e Polluce, ed altri illustri edificj, le cui rovine alla giornata si scuoprono dalla piena dell’acque, presso la detta cupa di S. Erafmo, e sue vicinanze. Di più se le rose campane erano il principal componente di tali unguenti, egli è certo, che di queste rose abbondava il destro lato di quella via, che da Capoa a Pozzuoli, e a Cuma menava. Questo però è un argomento assai fievole, né si dei negare, che anche altrove ha potuto essere la Seplasia; e in quella parte copiosa anch’ella di rose, onde usciva la porta marittima, o sia liternina, e che anche al dì di oggi comunemente il mazzon delle rose (dalla parola magione) corrottamente si chiama.
Il nostro fu Primicerio Gianfrancefco d’Isa nelle sue brevi memorie mm.ss. ebbe opinione, che il foro seplasio fusse solamente in quella parte, che dal foro del popolo stendeasi verso occidente, e che dal mercato menava verso il luogo detto la cupa; quivi dicendo egli essere stati a suoi tempi, cioè nel principio del passato secolo, trovati alcuni fornelli sotterra, e vasi di vetro ad uso di stillare; benché poi quasi da se stesso discorde, par che inclini a credere, che nel suddetto luogo della cupa, stata fusse la piazza degli orafi, e de’ giojellieri per li molti crogiuoli, pezzi di oro, e di argento, anella, maniglie, orecchini, corniole piane, e intagliate, e cose simili, che ne’ passati tempi, ed anche a’ dì nostri si sono colà trovate; e facilmente que’ fornelli, ch’è dice, servir poterono al medesimo mestiere degli orafi, e non già degli unguentarj. Del rimanente siccome l’antica Capoa era oltrammodo industriosa, e perciò da Marrone, da Plinio, da Nonio Marcello, e da altri antichi autori, son mentovati, e lodati i vasi di creta, e di bronzo campani; le fecule o sien falci; le opere di Sparto; i peritomi, o sien tapezzerie (di cui parla Plauto(a) ugualmente stimati, che le famose di Alessandria; le pelli profumate, e porporine, delle quali calzavano gl’Imperadori, ed altre simili cose; così creder dobbiamo, che ciascuna di queste arti la sua proprio strada avesse. Ma il voler giudicare del vero lor sito da alcune fallaci, e tenui conghietture, è opera affatto vana.
Celebre anche al pari della seplasia, fu la via, o sia foro Albano, di cui parlò ancora lo stesso Cicerone(b) Jam vero qui metus erat tunicatorum illorum (parla qui con disprezzo de’ Capoani)       in Alban?, Seplafi?, quae concurfatio percunctantium, quid praetor edixiffet? Ubi coenaret? Quid enuntiaffet? (Già allora chi aveva timore dei loro «tunicati» (il basso popolo) e in Albana (via) e in Seplasia (via), quali intrallazzi (bagattelle) da raccontare, cosa avesse (pubblicamente) bandito il Pretore? Dove avesse cenato? Cosa avesse enunciato?)
Conghietturarono l’Isa, e il Secchioni, che questo foro Albano prendesse nome dalla vicinanza alla porta albana, e che quivi radunata si fusse quella gran fiera, o sia mercato, che in Capoa ogni anno si celebrava con immenso concorso nel tempo estivo; di che parmi parlato avesse quel frammento di antico calendario riportato dal Grutero(c).

(a) In Pfaud.
(b) Orat. 2 in Rullum
(c) Fol. 136

 

AESTAS EX XI. K. MAI IN X. K. AVG. DIES LXXXXIIII.
NVNDINAE AQVINI. IN VICO INTERAMN. MINTVRN
ROMAE. CAPVAE. CASINI. FABRATER.

 (L’ESTATE. DALL’11° DELLE CALENDE DI MAGGIO AL 10° DELLE CALENDE DI AGOSTO. GIORNO 93 ° . DI MERCATO IN AQUINO, NEL BORGO INTERAMNA, MINTURNO, ROMA, CAPUA, CASINO E FABRATERIA – S. GIOVANNI DI FALVATERRA)


Il Pellegrini nel riferire questo frammento parla assai dottamente di cotal fiera, e della via, o sia foro albano; ma nulla affatto ei dice del suo sito, il quale al parere de’ suddetti scrittori stato sarebbe presso il convento di S. Marco. L’Arcivescovo Costa, e’l P. Pasquale quel tratto di strada dentro l’antica Capoa gli assegnano, che dalla porta casilinese ala porta albana drittamente menava. Ambedue son probabili; imperocché se la porta albana dava il soprannome al foro albano, potè darlo così all’intera via, che a diritto conduceva verso la porta casilinese, come altresì a quella parte di essa, che più da presso gli stava. E in fatti in uno strumento dell’antico monistero de’ monaci guglielmiti in Capoa dell’anno 1213, riferito dal Vecchioni(a) parlandosi di quel campo presso le carceri vecchie (poco discosto dal qual luogo esser dovette la porta albana) dicesi, In campo albano, qui dicitur vulgo ad carceres, in pertinenciis dicti cafalis Sancti Prifci. Se bene io tacer qui non debbo quella difficultà, che a se stesso fece il soprallodato Vecchioni, cioè che trovandosi poco lontano dalla via atellana, come a suo luogo diremo, un nostro villaggio antico sì, ma ridotto a poche case appellato Casalba, par, che la porta albana più tosto avefse riguardato un tal casale, che non Galazia, Caudio, e Benevento: nel qua caso, dic’egli, uscita sarebbe la via Appia per la porta che menando a Galazia, e poscia a Benevento, Galatina, e Beneventana dovette dirsi, o pure Acquaria, e Fontinale per gli acquidotti, che poco lontano sinistra avea. Ma se cotal modo non potè egli sciorre, crederò poterlo facilmente sviluppare io con un chiaro, monumento, ch’abbiamo negli atti del nostro primo vescovo S. Prisco, il quale dall’Oriente a Capoa venendo per la via Appia coll’Apostolo S. Pietro, presso la porta albana, che a Benevento menava, fermossi a predicare la Santa Fede, e quivi ancora dapresso dopo qualche tempo patì il martirio, e fu da’ fedeli sepellito, com’è costantissima tradizione, ov’ora è il villaggio, che da lui prese il nome. Quindi parmi doversi dire fenz’altra esitazione, che per la porta albana uscisse la via Appia; e che da effa porta poco lontano fusse anche la via acquaria, o sia di Giove, sulla quale truovasi il detto villaggio di S. Prisco, e che il villaggio di Casalba fusse così detto, non già perché riguardasse la porta, o foro albano, ma perché eravi qualche villa di fuori imbiancata, o per altra a noi occulta cagione.
RIMANDIAMO IL LETTORE ALLA PARTE PRIMA E ALLE SEGUENTI!
Non debbo però qui defraudare la curiosità de’ reggitori, rapportando un nobil marmo scavato in queste vicinanze del foro albano, cioè poco lontano dal villaggio delle Curti, nell’anno 1661, al rapporto dell’Ajoffa nipote di Michel Monaco ne’ fuoi mm.ss. nel quale si fa memoria di un fittajuolo del granajo del foro albano in Capoa, in cui il frumento forse serbavasi per l’annona della Città. Egli dice così

AVR. ASCLEPIODO
RVS L. AVR. CAES. LIB
TABLAR. IN HORR
ALBANO CAPVAE
H.S.E.

 
(AL FITTAVOLO AURELIO ASCLEPIODO IL CASSIERE DEL LIBERTO  DI CESARE LUCIO AURELIO NEL GRANAIO ALBANO DI CAPUA PER DUE SESTERZI E MEZZO LASCIO’ – FITTO’)

(a) Tom. 13