La commemorazione dei defunti - Una riflessione personale Stampa E-mail

In questi giorni di febbrili preparativi, fatti da parte di ogni famiglia che abbia un minimo di rispetto per i propri morti, a volte tragicamente, per onorarne la memoria, la mente si perde facilmente nell’immensità di un’inesprimibile commozione.

Nell’annuale ricorrenza della Commemorazione dei Defunti, stabilita nella giornata successiva a quella di Ognissanti (fissata al 1° novembre in età carolingia), nessuno si esime dal recarsi al Cimitero. Portare fiori per abbellire i loculi ove giacciono i propri defunti, preparare le <<croci di lampadine votive>>, da lasciare accese durante il giorno e la notte dei dì dei santi e dei Morti, pulire e lucidare marmi ed ottoni, lustrare le immagini, a volte tristi o sorridenti o serie, dei propri cari è un rito al quale nessuno si sottrae, in forza di un predisposizione mentale – psicologica e di condizionamento di fede e di credo religioso.

Questi atteggiamenti di pensiero, questi momenti di gestualità collettiva, espressioni di fede atavica, che si concludono con una solenne messa, celebrata in suffragio di tutti i defunti nel giorno dei morti, rappresentano l’aspetto più importante di una delle più significative tra le molte facce del poliedro della civiltà dei popoli: IL CULTO DEI MORTI.

Un grande poeta, tra i tanti pure grandi, una grande personalità artistica capace di esprimere nelle sue opere tutte le contraddizioni dell’età  napoleonica (che molto ha fatto per i morti, istituzionalizzandone il culto con la legge sui cimiteri del 1806/08), da lui vissuta in contrasto tra illuminismo e romanticismo, ha espresso il suo pensiero sul concetto di questo indissolubile dualismo: culto dei morti/civiltà. Ugo Foscolo ha, infatti, scritto che IL GRADO DI CIVILTA’ DI UN POPOLO SI DESUME DALL’INTENSITA’ DEL SUO CULTO PER I MORTI.

Questa citazione che il Foscolo fa nelle <<Ultime lettere di Jacopo Ortis>>, mi ritorna spesso in mente, sempre in presenza di dimostrazioni di inciviltà, e mi spinge a fare diverse considerazioni ma la più importante è: venerare i morti, averne rispetto, ritualizzare la memoria <<è>> solo portare fiori o luci alle tombe? E’ solo gestualità, come avveniva nel nostro passato remoto?

Quanti sanno che questo tipo di <<latria>> ha origini pre-cristiane? Quanti sanno, come afferma il Foscolo,che il senso cosmico della morte e l’immagine del sepolcro onorato e pianto dai vivi, non sono solo un retaggio culturale della civiltà cristiana? E quanti sanno che questa <<latria>> ha avuto origine contestualmente alla nascita dell’usanza del seppellimento dei corpi dei morti,di certo successiva alla civiltà della <<cremazione>> ma pur sempre antichissima? ... Già al tempo di Mosè gli Israeliti ”seppellivano i loro morti e mantenevano nel luogo della loro adunanza (cimitero?) il fuoco come uno dei simboli più “coriespressivo”(?) di quell’essere che venivano a venerare.

Mosè, che aveva comprato una grotta per seppellirvi la consorte Sara, ordino che si conservasse questo rito del fuoco, che a tutt'oggi ancora persiste nei nostri templi..... (Documento b/473).

Pasquale Capuano

 
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