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Le zeppolelle di Natale Stampa E-mail

Sia subito chiaro che non s’intende, qui, parlare della cosiddette "zeppole di S. Giuseppe". Quelle, cioè, a forma di ciambelle, più o meno grandi, fatte con uova, latte, farina, lievito e burro, guarnite con crema pasticciera e la ciliegina sciroppata!

Si vuole, invece, parlare delle "zeppolelle di Natale", che sono ben altra cosa, sia dal punto di vista gastronomico sia sotto l'aspetto demologico.

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"'A ddore" (in vernacolo è di genere femminile), il profumo cioè, delle "zeppolelle", lo si cominciava a "sentire con la mente" già da molti giorni prima dell'antivigilia di Natale (questo era, infatti, il giorno per la friggitura delle zeppolelle).

In chiesa si cominciavano a vedere il Natale nei preparativi per la costruzione del presepe in fondo alla navata destra della chiesa abaziale: nelle case, in quel periodo di dicembre, era tutto un chiedere con insistenza da parte dei bambini:<<Mammà, hai preparato "'u  murtal" (il mortaio) e "'u pesatur" (il pestello)? Quanti "pesatur" hai preparato?>>

L’ultima domanda era tendenziosa perchè faceva capire "a priori" quanti ragazzi avrebbero avuto il privilegio della "pestatura" delle patate o della farina dopo la cottura..

Già nel pomeriggio dell'antivigilia, mentre si cominciava a preparare gli ingredienti per l'impasto e la legna da ardere, il pentolone e i cucchiaioni, le anziane di casa spiegavano ai bambini cosa avrebbero dovuto fare, e come farlo, per una buona pestatura. Per la preparazione delle "zeppolelle" gli ingredienti erano diversi a seconda delle disponibilità economiche delle famiglie:

  • PRIMO CASO - farina di grano, acqua, sale, olio d'oliva, aromi (cannella, in genere) e anice oppure rum per i più abbienti;
  • SECONDO CASO - patate, acqua, sale, olio di colza o di vinacciolo per i poveri.

La lavorazione di questi ingredienti era pressocche identica.

Per il primo caso:
In una capace pentola di rame si portava ad ebollizione una quantità d'acqua (in Kg) uguale a quella della farina che si intendeva utilizzare. Nell'acqua bollente, preventivamente salata e aromatizzata, veniva calata la farina tutta in una volta. Per non farla attaccare alla pentola e per non far formare grumi, veniva rigirata energicamente con un grosso cucchiaio di legno per un breve periodo (circa cinque minuti); poi la pentola veniva tolta dal fuoco e l'impasto veniva riversato su una superficie di legno piana e liscia (quasi sempre il "tavolo delle pettole") per continuarne la lavorazione. Questa continuava con i cucchiaioni, intinti nell'olio, finchè l'impasto non diventava tiepido quel tanto che consentiva di lavorarlo a mani nude ma unte. La lavorazione terminava quando l'impasto appariva senza grumi e non elastico: solo allora veniva lasciato "riposare"!
Dopo un pò iniziava la produzione vera e propria delle "zeppolelle di Natale": si staccava un pezzetto dall'impasto, lo si riduceva come un grissino e le estremità venivano sovrapposte una sull'altra, piegando al centro la listerella tonda di pasta, fino a darle la forma di una "e" minuscola del carattere di scrittura corsiva. Dopodichè veniva adagiata nell'olio bollente per la "friggitura".

Per il secondo caso:
La variante delle zeppolelle con le patate si otteneva, partendo dalla loro lessatura. Una volta lessate, queste venivano sbucciate, salate e pestate con i "pisatur" di legno in grandi mortai ('i  murtal) di granito oppure di legno duro, fino a ridurre il tutto in un bolo ben consistente. Poi, una volta raffreddato, anche questo veniva lavorato a mano, unte con olio di semi fino ad amalgamarlo completamente. Le operazioni successive erano le stesse di quelle del primo caso.

Pasquale Capuano

 
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