NOTA (20) GRANATA F.M.: «… Scrive questo grande Oratore (Cicerone!) che l’antica Capua era una città troppo nobile e troppo bella; le sue muraglie (la cinta di mura fortificate) erano di larghezza palmi dieci; era circondata da fossi spaziosi, che arrivavano alla larghezza di cinquanta passi e il circuito delle sue mura giungeva a trentadue stadii…». Fatti i dovuti calcoli, sapendo che uno “stadio” misura itineraria greca prima e poi romana equivaleva a 190 dei nostri metri, vediamo che la AEDES ALBA prima e la nostra Macerata (come evidenziato dal Perconte Licatese Alberto – vedi nota 19a) erano all’interno della cinta muraria fortificata.
NOTA (20a) GRANATA F.M.: «… Allora la città (Capua romana) pigliava estensione e di circuito circa sei miglia, quant’ora occupano i casalia di S. Maria Maggiore (la parte sud – est di S. Maria C.V.), di S. Pietro in Corpo (la parte nord – est di S. Maria C.V.), delle Curti, di Macerata, di S. Andrea dei Lagni e quanto si comprende intorno ai detti Casali, fino di là dell’Arco Trionfale (di Adriano), di là dell’Anfiteatro, fino al quadrivio del Casale di Santo Prisco…». NOTA (20b) PERCONTE LICATESE A. - «CAPUA»: cartina n. 8. NOTA (20c) PERCONTE LICATESE A. - «CAPUA», Vol. II, pag. 23. NOTA (21) PAPEBROCHIO - «ATTI DELLA INVENZIONE DEL CORPO DI S. RUFINO», pag. VARIE. NOTA (22) IANNELLI GABRIELE - «SACRA GUIDA DELLA CHIESA CATTEDRALE DI CAPUA» EDIZ. 1858, pag. 153 e segg. e NOTE DI FONDO PAGINA – Il nostro Iannelli, descrivendo il IX quadro dedicato a S. Stefano (vescovo di Caiazzo), dice che egli era nato nel piccolo villaggio di macerata l’anno 935 di Gesù Cristo, dalla gente di quei medesimi menecilli, estinti, poi, in capua con cospicuo grado di nobiltà. NOTA (22a) IANNELLI GABRIELE - «SACRA GUIDA DELLA CHIESA CATTEDRALE DI CAPUA» EDIZ. 1858, pag. 155 e segg.
NOTA (23) IANNELLI GABRIELE - «SACRA GUIDA DELLA CHIESA CATTEDRALE DI CAPUA» EDIZ. 1858, pag. 193 e segg.
NOTA (24) IANNELLI GABRIELE - «SACRA GUIDA DELLA CHIESA CATTEDRALE DI CAPUA», pag. 140 (descrizione del 3°/2° quadro dei dipinti della parte a destra della Navata Maggiore in Corno dell’Evangelo riproducente S. Rufo Vescovo e Torture alla pag. 140 e seguenti): «… Non lungo tempo sopravvisse il Santo nell’Episcopato; perocchè alcun anno dopo incrudelendo la persecuzione di Diocleziano, veniva fatto arrestare dal Preside Messalino e dato nelle mani del Centurione Aurelio Censorino si faceva morire sotto mille colpi di vranga il dì 12 agosto dell’anno 83 di G.C.. Un’Allia, pietosa donna, moglie di Flavio Cavo accogliendone il sacro cadavere, davagli tosto seppellimento in un cunicolo dappressone sepolcro del primo Capuano Vescovo S. Prisco: poi di là estratto nel IV secolo, ricollocato veniva quel prezioso deposti in piè della Basilica Costantiniana allora di fresco costruita, dando l’origine del così celebre “Cimitero di S. Rufo”…» e con ciò si indicò in quei tempi anche la zona a Sud dell’attuale Basilica di S. Pietro ad Montes, che, a quanto ci risulta gestiva le anime e le cose del Casale di S. Maria Maggiore e, quindi, anche il territorio di S. Andrea Lanei, Macerata, Curti. NOTA (24a) P. PRATILLI (IL PERIEGETA) - «LA VIA APPIA», vedi nota 13a.
NOTA (25) Vedi nota 28a.
NOTA (25a) Forse trattasi del fabbricato (di proprietà della famiglia Natale) adiacente (ad est) alla casa Natale di S. Stefano Menecillo, vescovo di Caiazzo. L’ipotesi della presenza di un convento nel detto sito, posto in via S. Stefano del nostro comune, si è concretizzata nella mia mente soprattutto in riferimento alle mie reminescenze infantili dell’architettura e della struttura di quel grande caseggiato, con un amplissimo cortile nel quale abbiamo, io ed altri ragazzi, giocato i giochi semplici di quel tempo (castello, cavallina, mazza a pivezo, calcio con palle di “pezza”, spaccastrunnolo ecc.). Ricordo molto bene un altissimo androne rettangolare con un solaio in travi di legno e panconcelle che portava al vasto cortile. Alla sinistra dell’entrata, con arco a tutto sesto e protetta da un portone in legno (di castagno?) massiccio, c’era una scalinata con grandi scalini in roccia calcarea, lavorati a scalpello e, quindi, non lisci e, tantomeno levigati. La scalinata serviva per l’accesso ai locali (i “buoni”) del primo piano in prosieguo, sul lato sinistro e dopo la scala, ricordo una serie di locali (4 o 5 per ricoveri di attrezzi o di merci e prodotti della terra) in pietra di tufo nuda e con delimitazione frontale a pilastri e ad arco (questi locali vennero, poi, bonificati e chiusi per avere stanze da dare in fitto). Nella parte nord del cortile vi era, sempre sul lato sinistro una seconda scalinata, per l’accesso al primo piano, che “montava” su una loggia con parapetto in muratura e su cui insistevano delle colonne circolari in muratura, intonacati e con accenno di rozzi capitelli con modanature. Queste colonne insistevano su pilastri in muratura collegati tra loro con archi in pietra di tufo nuda. Forse quei pilastri erano stati la base di appoggio di una trabeazione in legno che sosteneva la copertura della loggia! NOTA (25b) GIACOMO RUCCA - «CAPUA ANTICA», pag. 72.
NOTA (26/27) Noi crediamo di essere nel giusto quando pensiamo di ricollegare alla produzione del profumo di rose la presenza della “gens Menecilla” a Macerata. Molti riferimenti ci hanno spinto a fare questa ipotesi. A quale altro motivo potremmo, infatti, risalire, se non a quello economico, per giustificare la presenza in Macerata di questa nobile Casata discendente dal RAMO CADETTO della “gens Julia”? Questa Casata, estintasi in Capua longobarda nel XVIII sec., è tuttora presente, nel cognome, in Macerata Campania. Noi riteniamo che Giovanni e Giuselberta, genitori del Vescovo caiatino S. Stefano, si siano trasferiti da Capua romana nel nostro villaggio per curare di persona i loro interessi. Interessi che noi riteniamo legati a proprietà terriere e ricollegati in un certo senso alla industria dei profumi, di cui Capua longobarda divenne il centro di raccolta e di smaltimento. Questa “gens Menecilla” può essersi, quindi, portata in Capua romana quando Giulio Cesare emanò la legge sulle “colonie”, come riportato dal F.M. GRANATA nella sua «STORIA CIVILE DI CAPUA»: «…IL TENORE DELLA LEGGE DI CESARE, INTORNO ALLA “COLONIA CAPUANA”, SI ERA CHE FOSSERO MENATI AD ABITARE IN CAPUA VENTIMILA CITTADINI BISOGNOSI… E CHE AVESSERO ALMENO TRE FIGLIUOLI CIASCUNO… AI QUALI SI DIVIDESSE IL CONTADO CAPUANO…». NOTA (28) 1) PERCONTE LICATESE - «CAPUA», Vol. I, pag. 49: «… nel periodo tardo – imperiale romano Capua contava almeno 150.000 abitanti… l’attività principale era il commercio, che traeva origine dalla produzione agricola: grano, vino, olio, agrumi, rose (da cui era estratto il profumo seplasio); l’industria del bronzo (non molto importanti reperti di vasellame in bronzo sono stati reperiti in scavi eseguiti nel sec. XIX nella zona tra S. Andrea dei Lagni e Macerata, e di ciò parleremo più ampliamente) e del rame, della ceramica artistica ed architettonica…». 2) BELOCH JULIUS - «CAMPANIA», pag. 382: «… Passiamo ora dai prodotti del suolo a quello dell’industria di Capua (attuale S. Maria C.V.) (CASSIODORO in EPIST. VIII 33: «… industriosa Campania…»). Soprattutto famosa era la fabbricazione degli ungenti, favorita dalla gran quantità di rose prodotto dai campi intorno a Capua (attuale S. Maria C.V.): ANCHE LA NOSTRA MACERATA! QUINDI, AFFERMIAMO CHE UN NUCLEO ABITATIVO DI EPOCA ROMANA È STORICA REALTÀ, SIAMO NEL VERO!)… omissis… particolarmente le “centofoglie”. Da ciò derivò la grande produzione, rinomata in tutto il mondo romano, di oli per profumo finissimi. Così nacque il detto: si produce più unguento a Capua che olio altrove…».
NOTA (28a) GRANATA F.M. - «STORIA CIVILE DELLA CITTÀ DI CAPUA (ROMANA)» - LIB. I, pag. 75: «… mi dispenso dal riferire alla lunga di altri artieri, che più nobilmente nella città di Capua (romana) rifiorivano, e specialmente quei che, nello esercizio di comporre odori e profumi erano… ed infine erano tanto rinomati per l’Italia i “Capuani Angulati” al riguardo delle loro rose; sia di quelle seminate e “chiuse” (in serre??), fra tutte le più tempestive, si per quelle che la natura da se stessa cacciava fuori nei campi…» (Molto probabilmente i campi del “casalis Maceratae!).
NOTA (28b) PERCONTE LICATESE A. - «CAPUA» - VOL. I, pag. 47: «… La città, attraversata diametralmente dalla via Appia (decumanus) e dall’asse viario liternino – tifatino (cardo), aveva il suo centro commerciale nella Seplasia (via), famosa per le botteghe degli unguentarii e quella politico – amministrativo nella via Albana, sito della Aedes Alba…». E, aggiungiamo noi, ragionevole contenitore di mano d’opera e di territorio fertile per la coltivazione della materia prima (le rose) deve essere certamente stato il “pagus” (villaggio) di Macerata». NOTA (29a) CALONGHI – NEL VOCABOLARIO LATINO – ITALIANO TROVIAMO IL TERMINE LATINO MACERIA – AE, utilizzato da T. LIVIO (per indicare residui di una distruzione) e MACERIES – EI, utilizzato da Cicerone (con lo stesso valore etimologico).
NOTA (29b) DIZIONARIO TOPONOMASTICO DELLA CAMPANIA riporta il termine Macerata, “macereto”, da “macerare” del latino di Tito Livio e Cicerone e che ha vari significati, come “ammasso di macerie”, luogo scosceso pieno di detriti rocciosi o, anche, località dove trovansi cose che macerano (dati i luoghi paludosi che diedero anche il nome all’agro detto, appunto, “Terra Lanei”).
NOTA (29c) NUOVO VOCABOLARIO ITALIANO ILLUSTRATO – RCS – Sansoni Editore SpA – FIRENZE, pag. 575: «macereto» s.m. (da maceria)». “Ammasso di frammenti di roccia derivati dalla disgregazione o dal franamento di pareti rocciose.
NOTA (30) MICHELE MONACO - «SANCTUARIUM CAPUANUM», 1630, (… ORTUS EST IN PAGO QUI MACERATA NUNCUPATUR). NOTA (31) OGGI NON SAPPIAMO CHE QUESTA COLTURA PROVIENE DALLA CINA, dov’era conosciuta e utilizzata sin dal III millennio avanti Cristo e fu introdotta in Italia, forse, dopo il viaggio di Marco Polo in quella Regione.
NOTA (32) Questa nostra tesi è suffragata da molte altre testimonianze, da noi desunte dalla lettura e dallo esame di più testi. Ne riportiamo alcune: 1) SECOLO VII – Anno 688 di Gesù Cristo: a) PAPEBROCHIO - «Atti della invenzione del Corpo di S. Rufino». In essi è menzione del “locus, qui Macerata nuncupatur”, appo il quale luogo si rattrovava a que giorni il sepolcro del Diacono S. Rufo. 1 bis: SECOLO X – ANNO 935 di Gesù Cristo - «NASCITA DI SANTO STEFANO MENECILLO»: «…ORTUS EST IN PAGUS QUI MACERATA NUNCUPATUR». NOTA (32/2/a) SECOLO X – ANNO 966 di Gesù Cristo: L. GIUSTINIANI - «DIZIONARIO GEOGRAFICO RAGIONATO DEL REGNO DI NAPOLI», TOMO II, pag. 140: «… nell’anno 966… “Capua speciosa” fu elevata alla dignità di Metropoli ed ebbe, per suffragare, le chiese di… Mentre dalla parte di Napoli ebbe le chiese di S. Andrea dei lagni, Cuccagna, Caturano, Casalba, Casapulla, Curti, CUZZOLI, Ercole, MACERATA, S. Maria Maggiore, Mosecile». NOTA (32/3/a) SECOLO XI G. TESCIONE - «CASERTA MEDIEVALE E I SUOI SIGNORI» pag. 11: «… Dopo la menzione di Giovanni, Conte di Caserta, figlio del defunto Conte Landolfo, ricordato sulla fede del Pellegrino, assai probabilmente in una carta capuana del gennaio 1034, abbiamo un importante e discusso documento del 1052, pubblicato con piccole varianti dal Rinaldo e dall’Esperti, e riprodotto in una pergamena, andata perduta, del Tesoro della Cattedrale di Capua. Tale documento, mentre dà il nome di otto Conti, ci fa conoscere che Landone, Conte di Caserta, figlio di Pietro (conte di Caserta), donò nel 1036 al fratello Pietro tutte le terre, case e chiese, che possedeva presso Carinola e nelle LOCALITÀ DI MACERATA, Portico, S. Benedetto «in finibus eiusdem Casista, S. Erasmo, Toro…». Nel 1046 Pietro vendette questi beni a Landolfo, successivo Conte di Caserta». ANNO 1034 di Gesù Cristo. NOTA (32/3/b) PERCONTE LICATESE A. - «CAPUA», Vol. II, pag. 24: «… IL CONTADO DI CAPUA, ALLA FINE DEL SECOLO XI, era diviso in tre distretti: la “TERRA LANEI”, la “TERRA CANGIA” e la “TERRA CAPUANA”… Il distretto della “TERRA LANEI” comprendeva in tutto tredici casali, tra cui Curti, S. Prisco, Macerata, Portico, Marcianise». ANNO (fine secolo) dopo Cristo. NOTA (32/3/c) «LA CITTÀ DI S. MARIA C.V. E LA SIGLA S.P.Q.C.» Ediz. 1986, Volume Unico, pag. 45: «… Ora da altre non dubbie testimonianze sappiamo che tutta la così detta “Terra Lanei” era costituita dalla riunione di quattordici casali. Questi casali erano Curti, S. Prisco, Casanova, ORDICHELLA (?), Svignano, S. Lucia, S. Andrea, Macerata, Recale, Portico, Capodrise, Marcianise, Airola e Grumino. ANNO 1093 di Gesù Cristo. NOTA (32/4/a) G. TESCIONE - «CASERTA MEDIEVALE E I SUOI SIGNORI», Vol. Unico, pag. 16: «… Innanzi alla Balla Sanneti (1113) è opportuno fermarsi un istante per conoscere i nomi delle chiese comprese nel perimetro della “CIVITAS CASIRTAE”, del suo sobborgo e nei casali sparsi sulle pendici del monte e nella pianura. Il metropolita di Capua, Sennete, confermava al Vescovo Rainulfo, oltre la Chiesa di S. Michele Arcangelo, la Chiesa di S. Andrea, di S. Maria Summana, S. Vitaliano di Atellano, S. Rufo di Piedimonte, ecc., ecc… anche le Chiese di S. Clemente, di S. Maria e di S. Stefano, “quae sunt in loco Macerata”. ANNO 1113 di Gesù Cristo. NOTA (32/4/b) G. TESCIONE - «CASERTA MEDIEVALE E I SUOI SIGNORI», pag. 17: «… Notevoli i nomi di località villiche, più o meno vicine al perimetro urbano, che erano incluse nel Demanio della “Civitas Casirtae” - che ancora oggi si conservano nella toponomastica più o meno correttamente riportata come i vari casali sparsi sulle pendici del Monte (Casola, Pozzovetere, Sommana, Mezzano, Sala, Briano, Casolla, Tuoro) e del piano (S. Elenterio, Aldifreda, MACERATA, Falciano, Torre – cioè l’attuale Caserta). ANNO 1120 di Gesù Cristo. NOTA (32/5/a) G. TESCIONE - «CASERTA MEDIOEVALE E I SUOI SIGNORI», pag. 73: «… Vertenze sorsero fra il Siginulfo, Conte di Caserta ed alcuni titolari di feudi nell’agro casertano contro Gilberto de Saltario per la “starza di Limara e per quella di Cerasola (di pertinenza di Macerata). Il re CARLO II (il 2 di marzo 1306) sentenziò che la “stanza di Cerasola” si appartenesse al Siginulfo e compensò il De Saltario con altre terre nel Principato…». RIFERIM A NOTA 678, DOC. XXIII a pagina 93 dello stesso testo: «… Resta ancora notizia della vendita fatta a Giulio Della Ratta del “FEUDO DI MACERATA”, nella pianura di Caserta, detto “LA CERASOLA”, e confermata da Cesare e Caterina d’Aragona il 23 luglio 1483, come da memoria di Giuseppe Santamaria Amati, redatta nell’anno 1773…». ANNO 1306 di Gesù Cristo. NOTA (32/6/a) SECOLO XV G. TESCIONE - «CASERTA MEDIOEVALE E I SUOI SIGNORI», pag. 73: «I VICERÈ spagnoli Cesare d’Aragona e la moglie Caterina de M. emettono la conferma della transazione della “Starza la Cerasola” di Macerata a Giulio della Ratta…». ANNO 1483 di Gesù Cristo. NOTA (32/7/a) SECOLO XVI: «LA CITTÀ DI S. MARIA C.V. E LA SIGLA S.P.Q.C.», pag. 44: «… Ma è proprio dall’antica Capua che ci vengono prove più antiche della nostra rappresentanza civile. Un documento del 19 luglio 1512, XV indizione, mostra che cinque eletti dei Casali componenti la così detta “terra di Lagno” che, oltre la Comunità di S. Maria Maggiore, comprendeva Curti, S. Prisco… omissis… Macerata, Recale ecc.». ANNO 1512 di Gesù Cristo. NOTA (32/8/a) MASSARO ANDREA - «FRANCESCO D’ISA: COMMEDIOGRAFO CAPUANO», pag. 38: «… nella Visita del 1613 del Rev.mo Don Felice Siliceo, si fa cenno alla Chiesa di Macerata, restaurata, come detto, con il concorso di molti benemeriti cittadini di Macerata. Ed, a proposito della rifondazione della chiesa ad opera del d’Isa, appare di grande rilievo l’atto, rogato dal notaio Anton Giulio Cantelli alla presenza dei fratelli d’Isa (Francesco e Gio. Domenico) il 27 aprile 1614, nel quale, oltre ai due fratelli sacerdoti, intervennero gli eletti del paese (Giovan Pietro di Lorenzo e Grabriele D’Addio), che, unitamente a molti altri “patres familias” dell’Università di Macerata si erano “congregati” precedentemente, in “loco solito delle Chianghe” ed in “volgar sermone”, avevano tenuto un pubblico parlamento cittadino per stabilire che tutti gli amministratori, eletti, sindaci e i gabellotti, che avevano amministrato il “Casale”, e dato i conti relativi, non habiano nel futuro ad essere travagliati indebitamente per causa di visione de’ conti…» DOTT. DANIELA CAMMAROTA – Seconda Università degli Studi di Napoli – Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di studio delle componenti culturali, umane e relazionali del territorio. NOTA (32/8/b) F.M. PRATILLI - «Della via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi», lib. IV: «… Madonna delle Grazie di Macerata è, con ogni probabilità identificabile con l’edificio citato da Granata come “cappella o romitorio detto S. Maria delle Grazie, poste fuori del Casale di Macerata, sulla via di S. Maria Maggiore…». NOTA (32/8/c) DANIELA CAMMAROTA - «UN CONTRIBUTO PER LA LETTURA STORICA, II CAP. DELLA TOPOGRAFIA DELL’AREA SUD ORIENTALE DI CAPUA ANTICA: UN RINVENIMENTO SETTECENTESCO INEDITO», dalla Rassegna di ARCHEOLOGIA: ORIZZONTI, Vol. II, 2001. «Confinante oggi, a nord, con Curti (cfr. F.M. PRATILLI, «Della Via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi, libri IV, Napoli 1745) il toponimo “Madonna delle Grazie” è, con ogni probabilità, identificabile con l’edificio abitato da Granata come “cappella o romitorio detto S. Maria delle Grazie, posto fuori del Casale di Macerata, sulla via di S. Maria Maggiore (cfr. F. Granata «Storia sacra della Chiesa Metropolitana di Capua, II, 3.1766, pag. 26). IL TOPONIMO NON VA PERTANTO CONFUSO CON “S. MARIA DI MACERATA” VILLAGGIO A SUD OVEST DI CASERTA, SORTO INTORNO ALLA OMONIMA CHIESA “SUL” PAESE DI MACERATA CAMPANIA E SULLA“PARROCCHIALE” DI S. MARIA DELLE GRAZIE…». (AA. VV. «LA CAMPANIA PAESE PER PAESE», III, FIRENZE 1998, pp. 21 – 23. NOTA (32/9) SECOLO XVII – A partire dall’istituzione dell’obbligo della redazione dei Registri Parrocchiali si ha conferma definitiva della denominazione “MACERATA”. NOTA (32/10/a) PALMIERI FULVIO - «S. MARIA CAPUA VETERE: VECCHIE IMMAGINI E NOTE» - «… Strada dell’Acqualonga – Nella sua interezza sarebbe “Acqualonga di Macerata”. Dal latino “aqua longa”; il significato va inteso di luogo malsano e adatto al macero perché terreno paludoso. Attraversa la zona che dal Medioevo era coltivata a lino, la cui macerazione per ottenere la fibra, si compiva nei lagni dove l’acqua stagnava permanentemente. Il lino fu soppiantato dalla rubia e poi dalla canapa…». Questo afferma Palmieri, ma noi siamo convinti, per averne avuto notizia da altri autori, molto più antichi ed accreditati, che nella zona sud – orientale di S. Maria Capua Vetere vi era “buon’aria” (e perciò zona residenziale ambita dai “Capuani”) e la definizione “acqualonga” può essere intesa come strada lunga che “portava” in luoghi malsani (verso il Clanis e le sue basse rive intorno alle quali c’erano stagni e paludi). NOTA (32/10/b) BELOCH JULIUS - «CAMPANIA», pag. 384 e nota n. 28 nella stessa pagina. NOTA (32/10/c) ZINZI PIETRO - «MARCIANISE: IMMAGINI E STORIA» Ed. BAGNOLI – S. AGATA DEI GOTI. NOTA (32/10/d) PRATILLI FR. MARIA - «Della via Appia riconosciuta e descritta», lib. III, cap. I, pag. 298 – 299. NOTA (33) PRATILLI Francesco Maria «Della via Appia riconosciuta e descritta», lib. III, cap. I, pag. 298 – 299. Dopo circa due lustri di impegno intorno a queste ricerche sulla nostra Macerata, oggi 10 maggio 2003, presso la Biblioteca del Museo Provinciale Campano, rileggendo il capitolo I del libro terzo dell’opera del Pratilli Francesco Maria, ho trovato il riscontro a una mia personale intuizione e, poi, convinzione. Tanto convinti da farci affermare, al punto c) del paragrafo “Conclusioni sulle origini”: «… abbia dato il nome alla porta orientale…». Non ci eravamo per niente sbagliati! Infatti il nostro Francesco Maria Pratilli, alle suddette pagine 298 – 299, così scrive: «… L’arcivescovo Costa, e il P. Pasquale quel tratto di strada dentro l’antica Capoa gli assegnano, che dalla porta casalinense alla porta albana direttamente menava. Ambedue son probabili, imperocché all’intera via, che a dritto conduceva verso la porta casilinense, come altresì a quella parte di essa, che più di presso gli stava. E infatti in uno strumento dell’antico monistero dei monaci guglielmiti in Capoa dell’anno 1213, riferito dal Secchione (Tomo XIII) parlandosi di quel campo presso le carcerie vecchie (poco discosto dal qual luogo esser dovette la porta albana) dicesi, “In campo albano, qui vicitur vulgo ad carceres, in pertinenciis dicti Casalis S. Prisci”. Se bene io tacer non debbo quella difficultà, che a sé stesso fece il soprallodato secchioni, cioè, che trovandosi poco lontano dalla via atellana, come a suo luogo diremi, un nostro villaggio, antico sì, ma ridotto a poche case appellato Casalba, par, che la porta albana più tosto avesse riguardato un tal casale, che non Galagia, Caudio, e Benevento… e che il villaggio di Casalba fusse così detto non già perché riguardasse la porta, o foro albano, ma perché eravi qualche villa di fuori imbiancata, o per altra a noi occulta ragione…». |