Appendice - La canapa Stampa E-mail

LA COLTIVAZIONE DELLA CANAPA
(da: «AGRICOLTURA» di MARCHINI ASCANIO, capo VII, pag. 22)

CENNI STORICI
La canapa è una pianta che si coltiva da tempi remoti.
Spontanea nell’Asia centrale, coltivata probabilmente dapprima in Cina e in India, già nota in Europa e in Italia al tempo dei Romani, la canapa si è particolarmente diffusa in Italia dopo il  XV secolo, specialmente nella Campania, ove a tuttoggi non è più coltivata.
La canapa è stata, ora non più, la più importante delle piante tessili e l’Italia è stata uno dei paesi più canapicoli del mondo, poiché nella produzione della fibra di canapa non era superata che dalla Russia ed era seguita a molta distanza dai paesi balcani e dalla Romania e dalla Polonia. Nessun paese produceva la canapa di qualità da uguagliare quella italiana, che era la più ricercata sui mercati mondiali.
La canapa è una pianta erbacea dell’ordine delle urticine, famiglia delle cannabinacee, il suo nome scientifico è Cannabis sativa. I fiori, maschili e femminili, sono portati da piante diverse.
I maschili sono riuniti in piccoli grappoli ascellari; i femminili, meno numerosi, si trovano a due a due raggruppati alla ascella di speciali bratte e sono di colore verdognolo.
Il frutto è un achenio contenente un solo seme.
Bisogna tener presente che le piante portanti fiori maschili sono più sottili e più deboli di quelle portanti fiori femminili, che si presentano più sviluppate e più robuste. Ma è uso comune fra gli agricoltori chiamare femmine le piante maschili e viceversa.
In ogni coltivazione di canapa la ripartizione fra piante maschili e piante femminili è pressocchè equilibrata. L’andamento stagionale influisce leggermente su questa ripartizione e in generale si ha una leggera predominanza degli individui femminili.
Le fibre (tiglio), come è stato sopra accennato, sono contenute nella corteccia del fusto. Più precisamente esse sono disposte in fasci disposti in modo concentrico attorno al libro cioè nello strato più interno della corteccia. Tali fibre sono di due categorie: primarie e secondarie. Le primarie, prodotte dal libro primario, sono le più numerose e le meno lignificate. Le secondarie, prodotte dal libro secondario, sono fortemente lignificate. Le primarie tendono però anch’esse a lignificare coll’avanzare della maturazione. Per questo fatto si consigliava di raccogliere la canapa, quando ancora non è ben matura.

Le varietà.
Le varietà di canapa non sono molte. Il Peglion le raggruppa in tre sottospecie: pedemontana, sinensis, indica.
Alla «pedemontana» appartengono varietà distinte con l’appellativo di giganti, molto note e coltivate da noi, come la canapa di Carmagnola (molto diffusa e pregiata il cui seme è particolarmente ricercato per la produzione), la canapa bolognese e la canapa napoletana. A questo tipo appartiene anche la canapa ortichina, coltivata nell’Italia centrale e meridionale.
Alla «sinesis» appartiene la cosiddetta persianella o pelosella, molto coltivata nel napoletano e nel casertano. Si tratta di una varietà gigante ma tardiva, tanto che difficilmente arriva a maturare i semi, però il tiglio è buone ed è per questo che incontrava le simpatie degli agricoltori.
Alla «indica» appartengono tipi coltivati nei paesi orientali, specie per i suoi apici vischiosi, che essiccati costituiscono una polvere da fumo inebriante, lo haschich degli arabi (Chang in India, tacruri in Egitto, Kerueéb in Libia, Kif in Algeria).

La canapa nell’avvicindamento e nella consociazione.
La canapa è un’altra delle tipiche piante da rinnovo. Ed è così che essa sta in testa alla rotazione. Se è da sconsigliare il tenere, come si fa in alcune plaghe ad agricoltura poco progredita, ove si ritiene erroneamente che così facendo la canapa guadagni in seme – un appezzamento di terra sempre a canapa, non è da farsi altrettanto per una rotazione biennale (per esempio 1 canapa, 2 frumento) in quanto la canapa non soffre se torna spesso nello stesso terreno.
In Piemonte è molto seguita questa rotazione: 1 canapa – 2 frumento con medica (o trifoglio) – 3 medica – 4  frumento o segale. Del resto si tratta delle solite rotazioni, con la sola differenza che al posto del rinnovo c’è la canapa.
Per quanto riguarda la consociazione niente può farsi per la canapa da fibra essendo, per la fittezza con la quale viene seminata, pianta soffocante.

La tecnica culturale della canapa.

  1. PREPARAZIONE DEL TERRENO – E’ quella caratteristica del grande rinnovo: lavoro profondo fatto dopo l’estate, non appena il terreno è in tempra, impiegando aratri capaci di portare il solco a 40 e più centimetri. Se i terreni sono sciolti e permeabili, come nella Campania, era sufficiente una modesta aratura (20-25 cm).
  2. CONCIMAZIONE – Bisogna ricordare, prima di tutto, il letame, di cui grandemente si avvantaggia la canapa. Esso va distribuito in occasione del lavoro da rinnovo, possibilmente nella dose di 300-400 quintali ad Ea. Per quanto riguarda poi i concimi minerali bisogna avvertire che la canapa da seme si avvantaggia anzitutto dei fosfatici, seguono gli azotati e i potassi. Per la canapa da fibra invece l’elemento più indicato è l’azoto, vengono poi la potassa e il fosforo. I sovesci sono particolarmente importanti, quando difettano le sostanze organiche in genere, lo stallatico in modo particolare e quando si tratta di migliorare la struttura fisica del terreno.
  3. SEMINA –
    a) Epoca. La regola generale è questa: passati i rigori dell’inverno, seminare prima possibile.
    b) Preparazione del seme. Il seme deve essere fresco ed opportunamente scelto, scartando le impurità, nonché i semi piccoli e mal conformati. Si ritiene conveniente farlo un po’ rigonfiare in acqua prima della semina, specie se si vede che nel terreno difetta l’umidità.
    c) Modo di effettuare la semina. La semina a spaglio era rimasta si può dire per le piccole coltivazioni, poiché quella a macchina, a righe, era più conveniente. La canapa viene seminata fitta. Se seminata rada il fusto oltrechè a ramificare, tende ad irrobustirsi, aumentando in spessore. Colla semina fitta invece i fusti crescono più sottili, più lunghi e la fibra ne risulta più delicata e più fine. La pratica ha dimostrato che una densità di 100 - 140 piante per metro è la più indicata a contemperare una buona produzione con una discreta qualità. A tal fine la distanza di 15 - 18 cm. fra le file è quella più rispondente ai criteri suddetti. Il seme va interrato a 2 - 3 cm. non più ed a questo, come a ricoprirlo, provvedono le stesse macchine seminatrici, mentre nella semina a spaglio occorre una leggera erpicatura, che può essere fatta con rami di piante (ramata).
    d)    Quantità di seme. Riferendoci ai dati sopra indicati circa la fittezza della semina, tenendo conto di una germinabilità del 90% si può calcolare da 45 a 50 kg. (media 48 kg) la quantità di seme necessario per un ettaro.
  4. OPERAZIONI COLTURALI – Può darsi che, effettuata la semina, la canapa, o per il calpestio degli animali o per la crosta che può essersi formata in seguito a piogge violente e pesanti, stenti a cacciar fuori il germoglio. In tal caso occorre una leggerissima erpicatura, o meglio una leggera sarchiatura fatta a mano con un rastrello. La prima, vera e propria, sarchiatura va fatta quando le piante hanno emessa la quarta foglia (circa 10 cm. di altezza) e dopo una quindicina di giorni bisogna fare la seconda. Alle sarchiature, che devono essere fatte con zappette a mano, può essere accompagnata la somministrazione di nitrati, in relazione ai bisogni contingenti della cultura. Per quanto riguarda le erbe infestanti il canapicultore può essere tranquillo dopo che la canapa comincia a superare i 50 cm. di altezza, poiché l’aduggiamento riesce a soffocarle nella più grande parte.
  5. RACCOLTA – La raccolta della canapa per fibre vien fatta quando le piante maschili sono quasi sfiorite, quando cominciano a cadere le foglie ed i fusti assumono, verso la base, una tinta biancastra. Colla raccolta anticipata la fibra che si ottiene è sì meno resistente ma più morbida, più chiara, quindi migliore dal punto di vista commerciale, perciò è bene non attendere che le piante femminili abbiano maturato il seme per effettuare la raccolta. Tutto al più, se dalla coltura si vuole anche seme, si lasciano qua e là piante femminili, che poi si estirpano quando si è certi che il seme è maturo. La raccolta si fa tagliando il fusto a 5-6 cm. dal suolo, ma in alcune località si usa estirpare le piante, il che riesce facile nei terreni sciolti, come quelli della Campania, quindi vengono recise le radici, le quali costituiscono un buon combustibile. Vi sono anche apposite falciatrici meccaniche adatte per la grande coltura. Del resto le stesse comuni falciatrici possono essere impiegate nel taglio della canapa, applicando ad esse appositi apparecchi di raccolta. Le piante tagliate si lasciano stese in bracciate sul terreno e dopo qualche giorno si sbattono a terra per far cadere le foglie, quindi si riuniscono in pile, cioè in grossi fasci conici, con la base a terra e le cime in alto lasciandole così per qualche giorno al sole. Successivamente si fa la tiratura, che consiste nello sfilare i fusti e riunire quelli di lunghezza pressoché uguale in piccoli fasci (mannelle) di circa 15 cm. di diametro. Tali mannelle vengono poi svettate (cappatura), asportando le porzioni terminali, che in Emilia vengono dette patuzze e macerate a parte. Un certo numero di mannelle (15-20), di uguale lunghezza, vengono poi riunite insieme (affasciatura) ed inviate al macero. In caso di coltura di canapa per seme, la raccolta viene fatta a piante mature, ma non troppo, onde evitare che poi collo scuotimento della raccolta cadano e si disperdano i semi. L’essiccamento si completa riponendo i fasci di canapa in luogo coperto e ventilato.

Lavorazione rurale della canapa.
a) Macerazione – Si tratta di una fase che ha grandissima importanza nella lavorazione del prodotto e si deve alla pratica tradizionale dei nostri agricoltori, se la fibra italiana è tra le più ricercate nei mercati internazionali. Si tratta di un processo biochimico, grazie al quale le sostanze (pectine) che tengono unite agli altri tessuti i fasci di fibra, vengono solubilizzate e questi resi liberi. I microrganismi cui si deve la suddetta azione (il più importante è il Bacillus felsineus, anaerobio, isolato da Carbone) vivono abbondanti nelle acque dei maceratoi, di cui son provviste le aziende delle zone dove si coltiva la canapa. Si tratta di vasche rettangolari, più o meno ampie e scavate nel terreno, profonde da 1 a 2 cm., ripiene di acqua, dove i fasci di canapa vengono collocati e tenuti immersi mediante grossi ciottoli o con apposite stanghe. La durata della macerazione è strettamente legata alla qualità dell’acqua (fattore molto importante per la riuscita della macerazione) alla sua temperatura, all’andamento stagionale, ecc. Di regola varia dai cinque agli otto giorni. Allorquando il tiglio si distacca con facilità nella parte inferiore dei fusti e quando ha perduto il colore verde, la macerazione è finita. Le mannelle ben risciacquate, tolte dall’acqua, si sciolgono inferiormente e slargando la base si dispongono ritte sul terreno, a guisa di piccoli coni, perché possano asciugarsi. Una volta asciutte le mannelle si legano e si rimettono in ambiente coperto per poi sottoporle alle successive manipolazioni. La macerazione della canapa può essere fatta anche con acqua corrente. Vi sono anche processi chimici e fisici per la separazione della fibra, ma la loro applicazione esce dal settore rurale che interessa il nostro studio, per entrare in quello industriale. In ogni modo la macerazione è processo insostituibile quando si guardi alla robustezza del tiglio.
b) Decanapulazione o stigliatura. – Con questi termini si indicano le operazioni che dagli steli macerati portano alla separazione della fibra o tiglio. Tali operazioni comprendono i seguenti procedimenti:

  1. scavezzatura, cioè riduzione degli steli in frammenti e si esegue con bastoni o con ruote dentate:
  2. maciullatura o gramolatura, operazione eseguita a mezzo di gramola, apparecchio semplice e rustico, sopra il quale il tiglio, con i pezzi legnosi del fusto tuttora aderenti, viene fatto strisciare affinché se ne liberi;
  3. scotolatura o spatolatura o spinacciatura, che è la rifinitura del lavoro fatto con la gramolatura;
  4. pettinatura, che si fa con un rubusto pettine di legno, per districare il tiglio, stirarlo e ripulirlo dai frammenti aderenti.

Le operazioni decanapulazione e stigliatura che venivano – e vengono tuttora nella piccola cultura – eseguite a mano, si fanno, nella grande coltivazione, mercè macchine decanapulatrici le quali se lasciano tiglio più ruvido e meno lucente, hanno però il vantaggio della celerità e della economicità del lavoro.
Dalle operazioni di stigliatura risultano i cosiddetti canapuli (frammenti legnosi del frutto), nella quantità di 60-70 q.li per Ea., che di regola sono usati come combustile. Siccome però contengono circa il 30% in peso di cellulosa, possono essere sfruttati industrialmente per ottenere il trafilato di canapa (raica), la canapa idrofila e la cellulosa per esplosivi.

 

 La scavatura

1910 – “Scavatura” della Canapa.
“E’ una foto eccezionale che ritrae un sacerdote nell’atto di benedire la canapa ancora verde e stesa per terra. Questa cerimonia della benedizione, cadde presto in disuso e non viene più ricordata neanche dalle generazioni più anziane”.

 

 La scavatura

La scavatura - “E’ il momento della «scavatura». Gli steli, dopo essere stati estirpati, venivano adagiati sul terreno (formando lunghe liste) ove rimanevano fino la completo essiccamento delle foglie, che venivano ripulite dal fusto.
Questa operazione di ripulitura delle foglie secche era detta «sciriatura» (nostra nota)”.

 

Le pile

Le pile - “La canapa in fasci, formando delle pile, veniva immersa nei lagni: i cumuli di pietra, visibili nella foto, servivano per annegare l’intera pila nell’acqua.
È un’immagine del “Lagno Aurno”.

 

La

La “spasa” a “cuoppolo” (foto a)

 

L'impilatura 

L’impilatura – (foto b) 

Altre due immagini dei lagni e della macerazione della canapa.
Le “pile”, formate da fasci sovrapposti, sebbene immerse nell’acqua sotto il peso delle pietre, erano pur sempre dei corpi mobili, facilmente spostabili dall’uomo mediante una pertica che agiva sul fondo del lagno. (fig. b).

 

La sistemazione 'a cuoppolo'  

 La sistemazione 'a cuoppolo'
Una volta tolta la canapa dai lagni, per farla asciugare, veniva sistemata «a cuoppolo» nei pressi dei grossi vasi o intorno alle vasche, disseminate un po’ dovunque sul territorio.

 

L'accatastatura

L’accatastatura
“Cataste di fasci di canapa in attesa di essere messi a macerare nel vicino lagno”.

 

La maciulliatura 

La maciulliatura – foto di gruppo
“I fili di canapa compaiono da ogni dove. Un gruppo di «maciulliatrici» riunite nell’angolo del cortile per la foto – ricordo”.

 

Il Caste Loriano (interno) – La stigliatura 

Il Caste Loriano (interno) – La stigliatura
“L’interno del Castel Loriano di Marcianise, con in fondo la chiesa, era abitato da una decina di famiglie di contadini con numerose prole.
La foto, scattata in un periodo autunnale, riprende una fase della lavorazione della canapa: “la stigliatura”.

 

’A macennola

 ’A macennola - La maciulla, «a macennola», serviva per la stigliatura della canapa, ovvero per la maciullatura. Interi fascetti di canapa (le manelle), imbracciati dalle donne, venivano sottoposti a continui, violenti colpi del pesante coperchio centrale dell’attrezzo, azionato a braccia, fino a che la parte legnosa degli steli (i canapuli) non veniva (fatta) ridotta in piccoli pezzi (i cannauccioli) che si staccavano dalla fibra. La «macennola» era diventata l’emblema del lungo processo della lavorazione della canapa e se ne coniò un modo di dire prettamente marcianisano. Questi, per mandare a quel paese qualcuno, gli dicevano: … ma va a «maciulià».

 

La Maciulliatura in gruppo - La spatuliatura

La Maciulliatura in gruppo - La spatuliatura
“La «maciulliatura» di gruppo. In ogni cortile, gruppi di donne, più o meno numerosi, all’ombra di pergolati o di maestosi alberi di fichi, provvedevano a liberare la fibra dal suo fragile stelo di canapa.
Durante il lavoro le donne usavano cantilene o canzoni struggenti d’amore”.
La figura di donna, in basso ed in primo piano tiene nella mano sinistra una “manella” di canapa già “maciulata” e nella destra ha un attrezzo di legno, detto «spatula» e si accinge a “spatuliare” (togliere dalla fibra i «cannauccioli»).
La «spatula» è parola latina: SPATHA, pezzo di legno largo e piatto (vocabolario Calonghi del quale si servivano i lavoratori della canapa per «spatuliare» la canapa maciullata le macennole o su un attrezzo di legno (un pannello di legno duro) spesso 10 cm. circa e largo e lungo 60 cm circa, che si poggiava su tre piedi.

 

O muoglio

O muoglio - Donna con rotolo di canapa casereccia, appena tessuto a mano. A seconda della sua trama e della sua consistenza il tessuto di canapa veniva classificato in vari modi. La più «usuale» ed anche la meno pregiata era la qualità detta «accia a accia».

 
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