Parte Seconda - I carri di Santantuono |
Religiosità e folclore nella festività di S. ANTONIO ABATE
Antichi riti ed una civiltà contadina ed artigianale ben stratificate , per motivi culturali , fanno di Macerata Campania e del suo territorio una pregevole e ricca miniera di spunti per lo studio di usi , costumi , tradizioni . Queste risorse tradizionali , folcloristiche e storiche , se ben gestite dall’Assessorato alla Cultura , potrebbero attrarre nel territorio maceratese un “turismo colto” e specializzato e non soltanto in occasione di questa festività di S.Antonio Abate . I momenti più significativi del folclore maceratese sono proprio quelli legati alla tradizionale e sentita devozione a “Santantuono” :
“LA LAMPA” Il Fuoco , come abbiamo visto nel paragrafo sull’iconografia antoniana a Macerata Campania , è riportato su un libro che il Santo regge con la mano sinistra . Una delle rappresentazioni iconografiche del santo più ricorrente è , infatti , una fiamma che arde : il fuoco purificatore che ricorda come questo Santo sia considerato anche il vincitore del male , colui che sconfisse il diavolo . I paesi della nostra provincia si sono tramandati di anno in anno questa manifestazione di religiosità della “lampa” . Questo momento del folclore , relativo alla festività di S.Antonio Abate , aveva assunto il carattere di vera tradizione , che non viene più proposta da diversi decenni , anche a Macerata . Da noi i falò sono stati sostituiti dai fuochi pirotecnici figurati. LA SFILATA DEI “CARRI” La sfilata dei carri di “Santantuono” o di “Pastellessa” è il momento più importante del folclore maceratese . Nella tarda mattinata della domenica mattina , ultimo giorno della festività di S.Antonio Abate , tutti i carri si dispongono lungo il corso della via Garibaldi . Da qui poi partono , uno alla volta , per esibirsi davanti al Comitato dei festeggiamenti , alle varie associazioni ed autorità , nella piazza al centro del paese , dove il popolo si raccoglie per assistere all’esibizione e all’accensione dei fuochi pirotecnici “figurati” . E’ questo il culmine della festa : le voci della piazza , la frenesia della folla , il suono assordante degli strumenti si fondono e rendono questa esperienza unica e coinvolgente . Il suono , prodotto con strumenti di evidente cultura rurale ed artigianale (lavorazione del legno) , scandisce arcaici ritmi processionali , di cui si fa cenno in una recente pubblicazione di un lavoro edito dall’Associazione “A cantenella” : il ritmo a “pastellessa” , il ritmo a “muorte” e il ritmo a “tarantella” . Le botti , le tinelle ( i cupelle) e le falci ( i faucioni) , semplici attrezzi da contadino e prodotti da artigiani locali ( i mannesi o maestri d’ascia) , diventano , sapientemente percossi da un gruppo di persone , degli strumenti musicali che producono ritmi molto caratteristici . L’esibizione dei carri , la domenica mattina , è il momento finale di una serie di preliminari che sono i tasselli che formano l’intera “immagine del carro e Santantuono” , a volte chiamato “a battuglia e pastellessa” . Il primo tassello è quello dell’allestimento (preparazione) dei carri . La “battuglia” dell’anno precedente inizia ad individuare il percorso preparatorio ed a distribuire incarichi e mansioni . Alcuni preparano il piano di interventi strutturali e di ampliamento della superficie di carico del carrello / rimorchio (che poi diverrà il carro e Santantuono) . Altri iniziano a controllare la sonorità di botti e “cupelle” e ad intervenire con il procedimento della battitura dei cerchi e delle doghe , nel caso che le botti o le tinelle risultassero desonorizzate . Altri pensano alla scenografia e studiano drappeggi , colori , slogan . Altri ancora si dedicano al problema musicale , riascoltando le registrazioni dell’anno precedente e decidendo quali filastrocche scegliere o se proporne di nuove . Tutti questi interventi mirano a preparare il carro per il giorno della festa . Anche ora il “carro” è il centro di tutta la manifestazione di religiosità , oggetto e soggetto centrale di un folclore iniziato moltissimi secoli addietro ! Alla fine dei preparativi il “carro di pastellessa” si presenta , al di là di addobbi , festoni , catenelle di carta ed altri ornamenti colorati , sostanzialmente come un grosso carro con dei rami di palma disposti ad arco con l’effigie di “Santantuono” appesa al primo arco di palme * a significare che l’aspetto folcloristico è motivato dalla devozione al Santo . Sul piano di carico , modificato a seconda delle esigenze di spazio necessario per la sistemazione di botti , tinelle , falci e suonatori , viene posto un impianto di amplificazione . La parte bassa (ruote , balestre , putrelle e travi) viene poi coperta con un telo , che , chiuso a punta davanti e dietro , dà al carro la parvenza “non intenzionale” di una nave , come a voler rievocare la fantomatica leggendaria credenza che il Santo si sia trasferito dall’Egitto in Italia a bordo di una nave . Ma ciò non risulta a verità perchè in “BIBLIOTHECA SANCTORUM” , a pagina 113 , è esplicitamente detto : “Le reliquie , trasportate ad Alessandria e deposte nella Chiesa di S. Giovanni Battista , verso il 635 , in occasione dell’invasione araba dell’Egitto , furono rilevate e portate a Costantinopoli . Di qui , nel secolo XI , passarono alla Motte – Saint – Didier in Francia , recate da un crociato al suo ritorno dalla Terra Santa !” . * Si richiama l’attenzione al “ferculum” da cerimonia romano . I carri , così preparati , sfilano per le vie del paese e dei paesi limitrofi , mentre gli occupanti cantano filastrocche , mottetti e cantilene e percuotono ritmicamente botti , tini e falci . La specifica presenza della botte , della “cupella” e delle falci , e non d’altro , nell’iconografia folcloristica del tradizionale “carro di pastellessa” hanno un significato simbolico che riporta questa tradizione risalente a tempi antichissimi . Capua antica ( attuale Santa Maria C. V.) e i “pagus” ( villaggi) con essa conurbati erano rinomati per l’ottima qualità di falci e funi da loro prodotte . Ciò è facile rilevare dalla lettura della “Storia civile di Capua” di F. M. Granata . Dalla stessa lettura si può evidenziare che con l’incremento dei commerci il trasporto di vettovaglie , vino , oli , granaglie , fatto con recipienti in creta o con i “vasa picata” * , si dimostrò improduttivo sulle lunghe distanze . . . e si fece ricorso a contenitori in legno ! Si cominciarono a costruire botti , tini , sili e quant’altro fosse utile a conservare , stoccare e trasportare i prodotti dell’agricoltura . E’ questo retaggio culturale – agricolo – artigianale la giustificazione della presenza di tali oggetti sul maceratese “carro e pastellessa”. I FUOCHI FIGURATI L’iconografia tradizionale dei fuochi pirotecnici “figurati” , che rappresentano un altro importante tassello del mosaico del folclore maceratese , comprende la presenza di un’immagine femminile ( a signora ) , di un animale domestico ( u puorco) , di un animale da tiro ( u ciuccio . . . ma io dico cavallo) e di un attrezzo da lavoro ( a scala) . La “signora e fuoco” : la figura femminile rappresenta il demonio negli episodi delle “tentazioni” nella vita del Santo . La più antica versione degli attacchi demoniaci al Santo è quella delle sei scene degli affreschi del portico di S.Angelo in Formis , databili al XII secolo . Questo tema del Santo tentato nella carne dal demonio a forma di donna è quello più caro all’iconografia popolare . In aspetto discinto , castigato , giovane , vecchia o dal viso angelico la donna / demonio è identificata nell’immagine di cartapesta che viene bruciata in piazza a significare l’alto potere ( in senso figurato) del fuoco purificatore . Il “porco” : per quanto concerne la presenza del porco nell’iconografia di S.Antonio , anche per Macerata , essa è da attribuire alla tradizione popolare secondo la quale nel maiale deve vedersi il diavolo , che , sconfitto dal Santo , fu da Dio condannato a seguire il santo sotto questo aspetto . Il “ciuccio” : non vi è spiegazione logica nel rito della distruzione con il fuoco purificatore di un animale domestico di cui il Santo è protettore ! Il “ciuccio” sta a rappresentare qualche altro essere animalesco che sia stato l’immagine falsa sotto la quale il demonio si è presentato al Santo per tentarlo o per contrastarne il percorso verso la santità . * Erano contenitori di sparto (ginestra) in tessuti ed impermeabilizzati con cera e pece ; potevano contenere anche liquidi. Questa ipotesi è riferibile al secondo dei tre momenti descritti nella “Leggenda Aurea” : l’incontro di S.Antonio con un “centauro” durante il suo viaggio per recarsi a visitare S.Paolo . La “mostruosità” dell’essere mitico , metà uomo e metà cavallo , con la quale il demonio si presenta al Santo , diventa nella credenza popolare un “ciuccio immondo” , non protetto dal Santo e perciò da bruciare assieme agli altri simboli del demonio ! La “scala” : la presenza di una scala nella iconografia del folclore di S.Antonio Abate è una prerogativa esclusiva di Macerata ( e Portico ! ) perchè non vi è presenza d’essa nei testi di chi si è occupato dell’argomento . Non si ha notizia neanche della eventuale motivazione giustificativa di quella presenza , a meno che non si tratti di un ex – voto riferibile a qualche miracolo operato dal Santo e nel quale la scala assume una presenza negativa , demoniaca e perciò da purificare. Questi quattro simboli rappresentano per il popolo l’aspetto prevalente della figura di “Santantuono” e la sua forza protettiva dalle insidie del mondo . La loro distruzione col fuoco , con il popolo festante , rappresenta la vittoria del bene contro il male , dell’uomo di fede contro le tentazioni terrene. I CARRI di SANT’ANTUONO Riportiamo di seguito alcuni dettagli dei “carri di Pastellessa” delle passate edizioni e i carri e gli equipaggi della edizione 2005. Tutte le fotografie sono pubblicate per gentile concessione dei signori Piccerillo Nicola, i fratelli Sbarra, Pietro Di Matteo, lo studio fotografico “Fotografia e Video” in via Matteotti ed altri. RELIGIOSITA’ E SUPERSTIZIONE nel FOLCLORE MACERATESE Le poche , semplici e personali valutazioni sulla religiosità , da noi sinora fatte , vogliono essere la premessa alla presentazione di una nostra congettura : alcune manifestazioni esteriori di religiosità (processioni , riti , momenti di folclore) nelle nostre contrade hanno la loro origine nella romanità o di altra civiltà che ebbe signoria nelle nostre contrade. Voglio dire , cioè , che alcune manifestazioni di religiosità nel nostro territorio hanno radici e richiami pagani. Questa ipotesi , che a prima vista appare scarsamente probabile perchè si ritiene di essere in presenza di dati per tale valutazione genericamente incompleti o inesatti , può essere secondo noi confermata , anche se non in termini di certezza matematica . E’ nostro convincimento , infatti , che le considerazioni , i riscontri e le deduzioni , fatti dopo la lettura di testi antichi e di manoscritti anonimi ( Mns contenuto nella Busta 473 dell’Archivio dei manoscritti presso la Biblioteca del Museo Campano di Capua) , oltre che di testi agiografici , confermano la nostra ipotesi . E’ proprio questa convinzione che ci fa intravedere l’esistenza di un intimo rapporto fra la religiosità e la superstizione nei riti di culto nelle nostre contrade . E’ questo insieme di credenze e pratiche rituali , proprie di società ed ambienti culturalmente arretrati e fondati su presupposti magici ed emotivi , una forma esteriore del sentimento di religiosità ? Può la religiosità permearsi di superstizione e viceversa ? Noi crediamo di non essere in errore , rispondendo di si . Considerando , però , che la risposta affermativa è riferibile e riferita a popolazioni , come la romana , che praticavano atti di culto falsi (secondo il nostro Credo! ) , quali la divinazione , la magia , i riti propiziatori o di maledizione ed esorcismo . Ai tempi dei Romani la magia e la superstizione intervenivano e ricorrevano molto spesso nei canoni della religione ufficiale , tanto da condizionarne e falsarne , talvolta , i tratti identificativi . Così hanno scritto , in passato , molti autorevoli uomini di lettere , che sono vissuti in Capua romana (attuale S.Maria C.V.) e nel suo territorio (Ager Capuanus) di cui Macerata Campania faceva parte . Ma la rappresentazione esteriore del sentimento di religiosità , pur se inquinata da momenti di superstizione , è stata , è e sarà sempre caratterizzata dalla necessità di spettacolarizzazione , che si concretizzava ( e si concretizza) in delle serie di atti e scene , ricorrenti nel tempo oltre che nelle motivazioni e negli oggetti , o soggetti , del culto . Sicchè la religiosità diventò scena , teatro , spettacolo , tramandati nel tempo : questo genere di manifestazioni di religiosità assunsero ( e hanno tuttora , secondo noi ) il carattere di “TRADIZIONE” e , ancor più di “FOLCLORE” . Di questo tipo di tradizioni , permeate di religiosità , il popolo è sempre stato , ed è , il geloso custode e il giudice insindacabile della ortodossia dei principi ispiratori. IL CARRUS Il significato della sua presenza nelle manifestazioni di religiosità. La teatralità delle manifestazioni esteriori della religiosità tra i popoli antichi , ma anche dei nostri tempi ed in presenza di livelli di civilizzazione medi ed alti , ebbe momenti di grandiosità che rasentavano il “delirio collettivo” . Le masse ingenti di partecipanti e la eccezionalità del dispendio di risorse economiche , necessarie (anche) per pagare i sacerdoti per la celebrazione dei riti , gli architetti , i lavoranti , gli innumerevoli artigiani per la costruzione delle scene coreografiche adeguate al momento celebrativo e persino per la costruzione dei carri necessari per trasportarli , erano ingentissime ! Tra i vari tipi di carri , utilizzati per queste manifestazioni di religiosità , ne elenchiamo alcuni , dandone la descrizione e le occasioni di utilizzo nelle varie ricorrenze di festività tradizionali . Erano carri da cerimonia sacri : - il CARPENTUM , utilizzato esclusivamente per il trasporto alle “pompe circensi” delle consorti di imperatori che avevano ottenuto il titolo di DIVA per volontà degli stessi imperatori e per decreto del senato romano . Dietro il carro sfilavano in processione tutte le personalità della vita pubblica romana , osannanti alle divinità . - il TENSA , era un carro sacro di gran lusso , costruito con materiale pregiato ed ornato d’argento e d’avorio , sul quale erano trasportati , fino al luogo della manifestazione religiosa , statue ed immagini degli dei maggiori e arredi sacri di loro attribuzione ; questo in origine , quando , cioè , il tensa aveva un tiro a quattro cavalli . In seguito , però , esso fu utilizzato , con il tiro a due cavalli , per il trasporto di deità minori , sacerdoti e imperatori durante le “processiones” con il popolo orante e festoso , specie nelle manifestazioni di religiosità a carattere gratulatorio . - Il FERCULUM , “carretta” da cerimonia utilizzata anche per il trasporto delle statue degli dei nelle processioni e , per questo , veniva chiamata “ferculum pomparum” . Anche questo tipo di carro sacro veniva seguito dal popolo festante e osannante . Da quanto prima riportato sulle diverse manifestazioni di religiosità a carattere ricorrente in epoche antiche , la presenza del “carrus” era pressoché costante nelle manifestazioni di religiosità tradizionali . Il carro divenne parte integrante , qualificante e distintiva insieme , di ogni manifestazione di folclore religioso . Era presente in tutte le manifestazioni collettive a partecipazione popolare . La sua presenza era regolata da ferree norme religiose , quasi a carattere dogmatico , che ne decidevano forme ed usi diversi a seconda che si trattasse di manifestazioni propiziatorie , glorificatorie , trionfali , panegiristiche oppure pompatiche o gratulatorie * . * Questo è forse riferibile al “carro di pastellessa” , utilizzato nel rito folcloristico di “S.Antuono” del 17 gennaio (? ) . Oltre ai singoli momenti cerimoniali , ai riti , alle preghiere , ai momenti ludici e alle rappresentazioni teatrali , che si realizzavano con l’osservanza scrupolosa di uno specifico cerimoniale , il carro è stato il fulcro centrale intorno al quale si sviluppava la funzione religiosa . Serviva , infatti , specialmente per il trasporto delle immagini degli dei , di “divi” , di deità rappresentative dei fenomeni naturali , dei vari aspetti della natura , dei più forti sentimenti ed attività umane . Il carro apriva e guidava le processioni verso il luogo in cui doveva esserci la manifestazione ( il Circo o le grandi piazze ) . I Canti , le cerimonie , i riti , le ovazioni , le formule propiziatorie , imprecatorie o esorcistiche officiate in ricorrenze calendarizzate e catalogate negli atteggiamenti e nella rituale teatralità assunsero l’aspetto delle “tradizioni” e del “folclore” ; sebbene non intesi nel senso moderno delle parole . Erano una semplice ripetizione di atti di sacralità , iterati nel tempo ; come avveniva , per esempio , per la celebrazione annuale del rito propiziatorio e di quello gratulatorio della vendemmia , pigiatura e vinificazione dell’uva , che avvenivano con un carro particolare dedicato a Bacco . Appare molto ovvia , ora , la considerazione che in un “pagus” come “Aedes Alba” , da noi considerato esistente in epoca antica presso Capua romana , le manifestazioni di religiosità , come quelle descritte finora , fossero presenti . Lo erano tuttavia in tono ridotto per lo sfarzo e numero , data la povertà dell’economia a carattere artigianale e agricolo . Gli artigiani maceratesi di epoca romana erano degli esperti mannesi (o maestri d’ascia) , bravi a produrre contenitori in legno ( botti , sili , tini , ecc.) e mezzi di trasporto (carri , carrozze , corrozzini ) . I carri , che gli “agricolae” maceratesi utilizzavano per le manifestazioni di religiosità per il dio Silvano ( protettore dei campi coltivati ) , la dea Cerere ( protettrice delle messi ) o di Bacco ( dio del vino ) non dovevano essere molto dissimili da quelli descritti prima . Certamente i contadini maceratesi dovettero far uso del plaustrum o del “postellum” per il trasporto dei prodotti del raccolto e degli attrezzi per la lavorazione della terra e forse , utilizzarono il “ferculum pomparum” per le manifestazioni di religiosità con processioni di popolo . Con una buona aderenza alla realtà possiamo ipotizzare per quasi certo l’uso del carrus per il trasporto degli oli , dell’acqua potabile e del vino , date le sue misure non rilevanti , fino a quando non cominciò a produrre recipienti di legno (botti , tinelli) per uso ci contenitori da trasporto . Infatti le misure del carrus ( sono le misure di un carro ritrovato integro nel 1981 a Stabia ) erano: a) lunghezza senza il timone cm 130 Queste misure sono molto esigue per un carro da trasporto e i carrus venivano utilizzati per piccoli carichi veloci . Per i grandi carichi con recipienti molto voluminosi si fece certamente uso del plaustrum o del carrus a quattro ruote , con cassa coperta / scoperta e con tiro plurimo . Con lo scorrere dei secoli e per l’avvento del Cristianesimo , i carri pagani da cerimonia andarono via via scomparendo per il loro carattere di sacralità pagana e rimasero , però , i “carrus” ( forse l’attuale “traino” maceratese ) , i “plaustrum” , i “postellum” perchè utilizzati nella quotidianità per il lavoro , oltre che per i trasporti di cose . Nei “pagi” a cultura post – romanica , quale è stata la nostra Macerata Campania , si dovè fare uso dei carri da lavoro , messi a festa , per le manifestazioni di religiosità cristiana . Anche per i pellegrinaggi presso luoghi di culto ( santuari ) o per le festività locali si dovette fare uso dei normali carri di cui i contadini si servivano per i loro lavori nei campi . Addobbati con teli bianchi e azzurri o purpurei , essi seguivano o precedevano i fedeli oranti che si recavano in pellegrinaggio presso i vari santuari della Campania ( Montevergine , Madonna dell’Arco , Pompei ) , carichi di vettovaglie , acqua , vino e quant’altro occorreva per il pellegrinaggio che a volte durava tre o quattro giorni . E anche le immagini sacre erano trasportate sugli stessi carri . Anche in epoca moderna , quindi , il carro testimonia la sua centralità con la presenza in moltissime manifestazioni di religiosità cristiana . Ovviamente l’uso dei carri per il trasporto di cose e persone divenne , ed è , una necessità avente carattere di normalità ; l’uso dei carri , invece , in e per manifestazioni religiose o di religiosità , in epoche ricorrenti e con precisi caratteri distintivi ( forma , colore , addobbi ) , divenne una tradizione con i caratteri del folclore popolare , pervenuta a noi attraverso i secoli . A questo tipo di percorso culturale noi facciamo riferimento quando affermiamo che l’uso del “carro tradizionale maceratese” ( con botti , tinelle , falcioni ) , legato alla manifestazione di religiosità popolare in onore di S.Antonio Abate (Santantuono 17 gennaio) , è un’eredità del tempo . E’ un regalo della “paganità” su cui si è innestata la devozione per il Santo taumaturgo ed esorcista già forse nel secolo XII * . * Tale testimonianxa epocale può far riferimento alla presenza negli affreschi del portico dell’Abbazia di S.Angelo in Formis (CE) di una serie di sei scene delle “tentazioni” , datate sec. XI CARRI di SANT’ANTUONO - PASTELLESSA Serie fotografica dell’edizione 2007 gentilmente concessa dallo studio fotografico “FOTOGRAFIA E VIDEO” di Macerata Campania. |
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