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IL NOME,  PERCHE’  “PASTELLESSA”?
La pastellessa ripropone gli strumenti di uso contadino: le botti, i tini, le falci e gli altri arnesi sotto una nuova veste di natura musicale.
Per capire come è nata bisogna fare un passo indietro nel tempo fino ad arrivare al XIII secolo e precisamente a Macerata Campania. Al tempo il paese si presentava come una comunità prevalentemente agricola ed artigianale, dove il lavoro dei campi richiedeva l’uso di una ricca gamma di attrezzi e strumenti che venivano fabbricati dagli artigiani locali. Costoro, per mettere in evidenza la robustezza dei loro prodotti, percuotevano con magli le botti, i tini e le falci e gli altri attrezzi creando una commistione di suoni che scoordinati ed asincroni apparivano persino assordanti, ma che con i voluti o forse fortuiti miglioramenti ritmici portarono alla creazione di quelle peculiarità sonore che ancora oggi caratterizzano la musicalità di pastellessa.
Il nome pastellesse deriva da specialità tipica della cucina povera: la past e llesse (pasta con le castagne secche) * .
Oggi, come ieri, il 17 gennaio, in occasione della festività di Sant’Antonio Abate, a Macerata Campania si tiene la tradizionale sfilata delle “battuglie” di pastellessa, le quali ripropongono le caratteristiche sonorità.
I colori vivaci e le allegorie potrebbero far attribuire alla festa dei falsi connotati carnevaleschi, esclusi tuttavia dal fatto che i festeggiamenti terminano il 17 gennaio, giorno in cui si apre il carnevale.
In tale ricorrenza vengono riproposti i tradizionali giochi pirotecnici: “la signora di fuoco”, “il porco” ed “il ciuccio”; quest’ultimo portato a spalla da un veterano della festa, poi trainato da un anziano avvinazzato.
La  scelta di Sant’ Antonio Abate, protettore degli animali e del fuoco, non è casuale; sono evidenti infatti i danni prodotti dalla morte di un animale **, fedele compagno di lavoro del contadino, lo stesso dicasi per incendio del raccolto che lascia il contadino privo di ogni mezzo di sostentamento.
Anticamente i carri venivano allestiti su carrette e trainati da persone; successivamente le carrette furono sostituite da carri trainati da buoi o da cavalli ed abbelliti con frasche di palme sotto le quali trovavano alloggio i “suonatori”, con i rispettivi peculiari strumenti, e il “capo – battuglia”, il quale scandisce il tempo e la durata dell’esecuzione. Oggi tutti hanno sostituito col trattore il lavoro del bue e del cavallo, nonostante ciò la manifestazione conserva ancora i contenuti tradizionali.
Col tempo la pastellesse ha “invaso” le comunità limitrofe. Prime fra tutte Portico di Caserta che conserva da decenni la stessa tradizione. Un avvenimento storico lega le due comunità: dal 1 gennaio 1929 al 30 giugno 1946, a seguito della soppressione della provincia di Caserta, costituirono il comune di Casalba, dal nome dell’antica frazione di Macerata Campania, incorporato nella provincia di Napoli.

* Alcuni lo fanno derivare dal fatto che ancora oggi esiste una famiglia, identificabile con il soprannome di “pastellessa” che in passato avrebbe avuto attinenza con al festività di S.Antonio Abate.

** Cavallo, asino, bue.

Successivamente, con decreto n. 192 del 29/03/1946, i comuni aggregati riacquistarono la loro autonomia.
 
 
“BBATTUGLIA” oppure “PATTUGLIA”?
Negli ultimi anni gli addetti ai lavori (bottari, capicarro, associazioni culturali, estimatori della nostra tradizionale festa di “pastellessa”), ma anche semplici cittadini, discutono per le vie e nelle piazze di Macerata, nei bar e nei circoli sociali, circa la giusta definizione da dare al “Carro di Santantuono” nella fase attiva. E’ da definirsi “Pattugl(ie)” oppure “Bbattugl(ie) e Pastellessa”? I pareri, ovviamente, sono discordi e la popolazione interessata si è divisa in due blocchi contrapposti. Come sempre in questo periodo dell’anno! Noi siamo stati richiesti di esprimerci in merito a questo dubbio e, come sempre, lo facciamo riportando per iscritto la nostra opinione basata su ricerche bibliografiche con i relativi riscontri. In queste ricerche abbiamo tenuto conto di alcune attinenze al termine dialettale molto importanti, secondo noi utili e necessari all’espressione di un parere oggettivo e motivato.


RIFERIMENTI FONETICI
In rapporto alle regole fonetiche dialettali in ambito regionale (Campania) e, specie, in ambito locale (Macerata) la pronuncia e la scrittura corretta della parola è secondo noi, “Battugl(ie)” dove il dittongo finale “ie”, serve a dare al dittico consonantico “gl” il valore fonetico che ha nella parola “aglio”. A suffragare questa ipotesi concorrono alcune considerazioni etimologiche, grammaticali e glottologiche, riferibili al suddetto termine dialettale di “Bbattuglie”, che si elencano di seguito:

A)    no si è riscontrato alcun riferimento a sinonimi fonetici con comune etimologia riferibile al termine dialettale, se non in parole indicanti operazioni militari (battaglia, battaglione, batteria)  sia nei tre vocabolari della lingua italiana consultati e sia nell’Enciclopedia Universale De Agostini;
B)    Si sono riscontrate però similitudini fonetiche in alcuni termini francesi (Bataille, Bataillè), rumeni (Bàtàlie, Bàtàios) e spagnoli (Batalla, Batallòn) ma pur sempre con l’iniziale “B”;
C)    Il termine “Pattugl(ie)” che si vuole utilizzare per indicare il Carro di Santantuono – Pastellessa (La Pattuglia e Pastellessa) trova si riscontro nel dialetto locale “Pattuglie”, che a sua volta è riferibile a “Patruille” (francese), Patrula (rumeno), Patrulla (spagnolo) . Il significato ha attinenza con la terminologia militare ma non ha nulla a che vedere con il “percuotere” o il “battere” che si fa con le botti cupelle e falcioni sul “carro”;
D)    Si sono invece, evidenziate dall’Enciclopedia Universale De Agostini – Novara, le seguenti determinanti indicazioni:
1 – “Battuglia”: composizione musicale, vocale o strumentale, che vuol descrivere con abbondanza di effetti onomatopeici, lo svolgersi di un episodio o manifestazione civile, religiosa, militare; questo tipo di musica ebbe una certa fortuna tra il sec. XVI e il XVII *;

* nel periodo iniziale del XVII sec.(1608), vi è stato il terzo ampliamento della chiesa di S. Martino, sotto la direzione di Mons. D’Isa .

durante il secolo XVII si faceva ricorso anche ad effetti strumentali di grossolano realismo, potrebbe qui intendersi anche il riferimento a botti, cupelle, falcioni: strumenti musicali grossolani per eccellenza e capaci di produrre grande strepitio;
2 – al tardo latino (del XIII secolo) si riportano i vocaboli “Battuere” (che traduce battere) e “battaulia”, il cui etimo è “batalh” di origine provenzale; il termine della lingua provenzale “Batalh”, penetrato nelle regioni meridionali dell’Italia è foneticamente parallelo al termine dialettale (anche maceratese!) “Battogl(ie)” che sta ad indicare più cose ma specialmente il “Battaglio” delle campane.
3 – poichè quasi tutte le parole latine, se i nostri studi universitari di filologia fonetica e glottologia non ci ingannano, che terminano in “... alia”, “... elia” , “... lius” diventarono nella lingua italiana “... aglia”, “... eglia” , “... uglio – a”, “... eglia”, ecc. *, possiamo dire con un grandissimo margine di certezza che la parola latina “batt(a)ulia” è diventata nel nostro dialetto “battuglia”, cioè “Bbattugl(ie)” con la pronuncia marcianisana: “il battaglio”, richiama alla mente sia per la forma che per il fine, lo strumento utilizzato dal “bottaro” per produrre i più o meno intensi suoni “battendo” la botte: il “mazzafune”.
Concludendo, noi siamo più propensi all’utilizzo del termine “Bbattugl(ie)” e non “Pattugl(ie)” per identificare il “Carro di Santantuono” con il termine “Bbattugl(ie) e Pastellessa”.
 
 
IL “CARRO  DI  PASTELLESSA”
Il carro di Santantuono – pastellessa non è un carro allegorico, inteso nel senso classico di riproduzione in chiave umoristica, satirica, sacra, di fatti, personaggi o ricorrenze.
In esso non vediamo allegorie, nè crediamo ve ne siano state, dato che non ne abbiamo riscontrato notizia nelle varie ricerche bibliografiche finora fatte.
In questa monografia ci siamo orientati verso una ricerca di simbologie legate al tipo di carro, la sua forma, gli addobbi, gli strumenti utilizzati per produrre quel particolare suono ritmato.
Il carro di Santantuono – pastellessa non è un carro sacro, inteso nel senso di strumento per il culto religioso di deità cristiane. Questo tipo di sacralità nei carri che sfilano per la festività di S. Antonio Abate è quasi inesistente: la si ritrova solo nella presenza dell’effigie del Santo, posta nella parte anteriore del carro.
Il carro di Santantuono – pastellessa  è un puro e semplice esempio di TRADIZIONE  POPOLARE, di origine pagana e che si è consolidata nei secoli: la tradizione di un popolo di lavoratori dei campi e di valenti artigiani del legno (i mannesi), sfuggita alle mani impietose del tempo e giunta a noi quasi integra.
Nel “vissuto” non storico dei popoli alcune cose muoiono, altre rimangono, ma bisogna sempre fare in modo che la propria cultura sopravviva, reiterando il vissuto non storico facendolo diventare TRADIZIONE.
La tradizione ed il folclore maceratese si esprimono anno per anno nella sfilata dei carri di “Santantuono – pastellessa” del 17 gennaio. Questa data coincide con i festeggiamenti in onore del Santo taumaturgo ed esorcista, ma non è all’origine della tradizione e del folclore sopra detti. Anzi noi siamo con Ovidio, quando, nei suoi FASTI, declama:

“Restate alla pingue greppia, cinte
di serti, o govenche, per voi verrà
il lavoro nella dolce stagione.
L’aratore sospenda al chiodo
l’aratro dimesso: la terra, quando
è fredda, teme ogni solco. Faccia
festa il villaggio”.

Quanto sopra, infatti, ad esprimere il senso delle feste che si svolgevano nei primi due mesi del nostro calendario. Gennaio era, perciò, il mese dell’attesa e del riposo dei campi, quando gli uomini si dedicavano alle manifestazioni di religiosità con feste, con riti di purificazione e gratulatori.
Questa monografia su “Santantuono – pastellessa” ha voluto essere un contributo alla valorizzazione ed alla conservazione del retaggio culturale delle origini, della tradizione e del folclore maceratesi.
Sempre rimanendo con l’animo disposto a recepire pareri diversi e motivati.
 
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