PREMESSA I secoli del contrasto spirituale tra Paganità e Cristianesimo, come visto nelle pagine precedenti, possono essere considerati una delle epoche più interessanti della storia dell’umanità. Noi pensiamo, in sintonia con W. F. VOLBACH, che solo nell’ultimo cinquantennio si è riconosciuto che in detti secoli si affermò con dure lotte, sfiorando il genocidio con le persecuzioni dei Cristiani, una nuova volontà artistica da cui si sviluppò l’arte nel Medioevo. Soltanto la nostra epoca, però, ha riconosciuto l’importanza della tarda antichità perché numerosi sono i paralleli che legano questa epoca a quella odierna. Noi auspichiamo un risveglio dell’interesse verso quest’arte e verso le condizioni spirituali e materiali che ne hanno in passato determinata la nascita. Interesse che noi riteniamo si possa risolvere in studi più attenti e approfonditi del nostro e soprattutto più produttivi. Come non è stato possibile74 tracciare sia pure per brevi linee un quadro storico di Macerata, prescindere dalla storia di Capua e del suo territorio, così ora necessita, per esaminare quanto in Macerata è stato prodotto dal punto di vista artistico, far riferimento alla storia artistica di Capua etrusca, osca e romana, inquadrata a sua volta in quella di tutta la Campania. A questo punto del nostro lavoro dobbiamo lasciare spazio alla competenza e maggiore obbiettività di mia figlia Annamaria e alla sua tesi di Laurea,75 di cui saranno riproposti al lettore alcuni stralci e qualche contributo fotografico.76 Ci corre, però, l’obbligo di precisare che alcune fotografie77 sono state da noi inserite in questa Parte Seconda perché riteniamo essere molto utili per una maggiore comprensione dei motivi ispiratori del presente lavoro <<Macerata - L’arte nel tempo ->> Ipotesi di una storia dell’Arte nel territorio di Macerata Campania.
L'ARTE NELL'ALTO MEDIOEVO La scarsità di opere superstiti dei secoli dell’alto medioevo, fenomeno comune a tutta Italia, è particolarmente accentuata in Campania per la lunga invasione longobarda e per le sistematiche e radicali distruzioni del secolo IX. A Capua si trovano tuttavia monumenti dell’epoca longobarda ed ancora a Capua, per quanto riguarda la scultura, avanzi sporadici ma significativi sono nelle chiese di SAN GIOVANNI A CORTE e SAN SALVATORE A CORTE78 e nel Museo Campano. EPOCA NORMANNA (1016-1195) E SVEVA (1196-1265) In Terra di Lavoro e in Campania iniziò, nell’XI secolo, quell’aurea età dell’arte che si sviluppò poi rigogliosa nel secolo seguente, in coincidenza con l’unità politica che strinse i territori meridionali sotto le dominazioni dei principi Normanni e Svevi. S.ANGELO IN FORMIS fu fondata dallo stesso abate DESIDERIO che aveva ideato a Montecassino una basilica latina triabsidata a triplice navata, con colonne e capitelli di riporto da fabbriche romane. Si usarono marmi frammentari romani e preziose colonne anche per Sant’Angelo in Formis, per le cattedrali ricostruite di Capua e Salerno e per tutte le altre fondazioni maggiori di quel tempo e dei due secoli seguenti. Per gli architetti campani fu norma l’uso delle colonne dedotte da edifici classici, assai spesso munite dei loro capitelli originari, ma talvolta (come per Sant’Angelo in Formis) quelle colonne antiche sostengono arcate acute di tipo mussulmano. Questo perché arte e architettura rielaborarono gli stili più disparati e soprattutto risentirono dell’influsso siculo-arabo, come nel DUOMO DI CASERTAVECCHIA, dall’elegante campanile e dalla cupola decorata a mosaico. La cultura bizantina fu invece dominatrice costante nel campo della pittura. Il fondamentale documento della pittura campana medioevale è costituito dai dipinti dell’XI secolo, completati in gran parte nel secolo seguente, che l’abate Desiderio di Montecassino fece disporre, come pagine di un grande evengelario, sulle pareti della chiesa di Sant’Angelo in Formis presso Capua. Capua - San Salvatore a Corte – Il Campanile
Capua - San Salvatore a Corte – La facciata
ETÀ ANGIOINA (DAL 1628) Durante i primi decenni dell’epoca angioina, in misura maggiore per la scultura e la pittura, l’arte architettonica della Campania si trovava ancora nel suo rigoglio. Ma a poco a poco agli architetti campani venne a mancare la possibilità di esercitarsi in fabbriche monumentali. Spesso Carlo I d’Angiò si rivolse ad architetti di Francia, come per le fabbriche di Castel Nuovo, di S.Lorenzo e S.Eligio a Napoli. È certo che l’invadente goticismo (gotico renano e francese) non poteva consentire all’architettura campana ulteriori sviluppi naturali, così che le vecchie maestranze locali, assottigliate e disperse, erano fatalmente destinate ad esaurirsi in pratica di fabbriche comuni. L’elezione a Napoli a capitale del Regno fece sì che qui più agevolmente allignassero i centri di cultura. Nel Trecento e nei secoli seguenti la Campania fu provincia artistica di Napoli. SECOLI DEI LUMI (SETTECENTO) Per il territorio che ci interessa, merita una menzione particolare la fabbrica della Reggia di Caserta, che fu intrapresa da Carlo di Borbone e in cui il Vanvitelli distillò l’intera sapienza architettonica del secolo. Questa dimora, geniale per soluzioni costruttive, acquista un fascino maggiore grazie allo sfondo del Parco, creato da un giardiniere attento allo stile codificato a Versailles. In seguito, all’area di gusto francese, ricca di statue e di giochi d’acqua, si aggiunse un Giardino all’inglese, reso incantevole dai boschetti di piante esotiche, dai laghetti, dalle sorprendenti vedute paesistiche, dai chioschi e dalle “rovine” sapientemente disposte. EDILIZIA RELIGIOSA LE CHIESE - S.MARTINO VESCOVO – MACERATA CAMPANIA;
- S.MARIA DELLE GRAZIE – CASALBA;
- S.MARCELLO MARTIRE – CATURANO.
LE CAPPELLE - MADONNA DELLE GRAZIE – VIA ELENA (ACQUALONGA);
- MADONNA DEL ROSARIO - VIA GARIBALDI;
- S.FRANCESCO DI ASSISI - VIA S.STEFANO;
- CROCIFISSO - VIA ALBANA;
- MADONNA DELL’ARCO - VIA MAZZINI.
SACELLI79 - MADONNA DELLE GRAZIE CON BAMBINO AL SENO - VIA DE MATTEIS (al confine con Portico di Caserta)
- MADONNA CON BAMBINO IN BRACCIO - VIA EUROPA (al confine con Portico di CE)
EDICOLE - DISTRIBUITE SU TUTTO IL TERRITORIO COMUNALE, MA DI SCARSO VALORE ARTISTICO.
CHIESA DI SAN MARTINO VESCOVO – MACERATA CAMPANIA L’Abate della chiesa di San Martino Vescovo80 di Macerata Campania, Don Pietro Iodice, nella relazione fatta all’Arcivescovo di Capua in occasione della S.Visita effettuata nel 1882, afferma che non vi è memoria alcuna per stabilire quando la chiesa sia stata fondata a Macerata. Accettando come valide le testimonianze già riportate nel capitolo primo di questo lavoro, si può ritenere che l’anno di fondazione sia anteriore al 935, anno di nascita di S. Stefano Minicillo. Per avere comunque notizie più dettagliate e attendibili bisogna arrivare al 1608, anno in cui il parroco Don Francesco d’Isa, capuano, chiaro letterato, restaurò la chiesa sin dalle fondamenta, come è testimoniato dalla lapide nel frontespizio. Al tempo del d’Isa l’edificio era più piccolo della moderna costruzione e c’è da supporre che la fondazione ex novo si rese necessaria per lo stato in cui si trovava l’edificio precedente, vetusto e forse danneggiato seriamente da qualche terremoto che nei secoli anteriori aveva interessato la zona capuana81. La costruzione ai tempi del d’Isa ha posto la chiesa in posizione più elevata rispetto alla via principale di Macerata e raggiungibile mediante una bella scalinata che abbraccia per intero la sua facciata. La seicentesca chiesa aveva però ancora proporzioni modeste rispetto a quella attuale, che si presenta con una certa imponenza. Una traccia dell’epoca seicentesca sembra essere una pittura parietale nell’interno del campanile, affresco rappresentante una Madonna con Bambino in atto di soccorrere numerose anime purganti, che a Lei si rivolgono per implorare speciali grazie. La pittura, di autore ignoto, dovrebbe testimoniare la devozione mariana con rinnovata fede dopo la vittoria delle armate cristiane ottenuta a Lepanto82 nel 1571 contro i Turchi. La descrizione dell’Abate Iodice del 1882 offre elementi non trascurabili sull’aspetto architettonico del sacro edificio in questo secolo. Nello scritto è detto che alla chiesa si accedeva mediante una rampa di scale di dodici gradini. L’interno era a tre navate. La centrale, la più grande, aveva il soffitto di legno lavorato a rilievo e colorato di azzurro, con profili dorati. La navata era sostenuta da sei grandi colonne, le due navate laterali erano più basse, il pavimento dell’intera chiesa era di mattoni. Oltre all’altare maggiore, esistevano altri sei altari; le tre nicchie, poste sull’altare maggiore, accoglievano le statue di S.Martino, S.Michele e S.Stefano Minicillo. Nella chiesa si conservavano anche delle reliquie, di cui quella di S.Martino si trovava nel mezzo busto della statua e fu donata alla chiesa nel 1706 dal Cardinale Caracciolo, Vescovo di Aversa. L’Abate Iodice descrive inoltre il campanile posto nel giardino della parrocchia e lo definisce “vecchio”, fatto di archi, con sole due campane. La struttura attuale della chiesa si deve all’opera dell’Abate Biagio Iodice83 meglio conosciuto come “Biasone”, a causa della sua personalità e carattere. Uomo sanguigno e forte, nel 1921 fu accolto con ostilità dai suoi nuovi parrocchiani, anzi ci fu una vera e propria rivolta popolare. Quel giorno una folla enorme si avviò verso l’ingresso del paese agitando mazzi di “fetenti”, ossia rami che crescono sulle siepi delle linee ferrate e chiamati così con nome dispregiativo. L’occupazione del sagrato della chiesa, ad opera soprattutto delle donne del paese, durò più giorni; poi, man mano, la calma tornò e Biasone esercitò il suo ministero, ponendosi con grande lena ad abbellire la chiesa. Si devono infatti a lui il completo restauro e l’ampliamento dell’edificio che fu raddoppiato in lunghezza fino a raggiungere le attuali dimensioni. Nei lavori di qualche anno fa è stata completamente restaurata la facciata; anche l’interno è stato restaurato, tranne una parte del soffitto a cassettoni. La facciata ha il corpo centrale delimitato da lesene in stucco, diviso in due ordini e terminante con timpano triangolare. Il portale seicentesco84 è in pietra con copertura architravata fiancheggiata da lesene poggianti su dadi con fiorone scolpito. I portali laterali, anch’essi architravati, sono sormontati da fregi in stucco che li raccordano ai sovrastanti finestrini tondi. Nella lunetta sul portale centrale c’è un dipinto del XX secolo, di ignoto pittore campano, raffigurante S.Martino a cavallo, vestito di armatura e manto, mentre sta tagliando il manto con la spada per darne una parte al povero ignudo che si vede in basso a destra. Il dipinto è forse opera di un allievo di Luigi Taglialatela, che decorò l’intera chiesa, e risale probabilmente ai tempi dell’ampliamento degli anni venti.Il campanile,sormontato da un cupolino rivestito di embrici maiolicati, presenta il paramento murario in tufo e laterizi a vista, essendo rimasto incompleto dell’intonaco di rivestimento e delle cornici a stucco presenti invece sulla facciata della chiesa. L’interno della chiesa è a tre navate. Quella centrale consta di due parti giustapposte: l’anteriore di quattro arcate, la posteriore di tre arcate e abside, il loro punto di raccordo presenta un pilastro con doppia lesena. Teste d’angelo sono dipinte sui pennacchi degli archi. Il soffitto è a cassettoni di gesso con dipinti l’Assunta e un miracolo di S.Biagio. Nell’abside l’altare maggiore,della seconda metà del XVIII secolo, ha nel paliotto un sarcofago con al centro un tondo recante, scolpita a bassorilievo, l’immagine di S.Martino. Mensole scolpite reggono il piano aggettante. Nei pilastri laterali sono applicati pannelli rettangolari in verde profilati in giallo. Ai capialtare erano teste d’angelo che furono rubate nel maggio 1990. Marmi bianchi e policromi, argento (per la portella ciborio) sono i materiali di cui è costituito l’altare. Ai tempi del parroco Biagio Iodice, quando la chiesa fu ampliata, la decorazione fu affidata a Luigi Taglialatela, tipico pittore di educazione tardo-ottocentesca. Egli dimostra una buona conoscenza di fonti rinascimentali e barocche, ma in alcune figure dipinte con fare largo, a macchia di colore, appare più moderno e, nel modo di dipingere e nel gusto, sembra ispirarsi all’opera di Domenico Morelli85. CHIESA DI S.MARIA DELLE GRAZIE – CASALBA Nel gennaio del 1777 un parroco di Casalba, Don Pasquale Crocco, scrivendo all’Arcivescovo di Capua, descrisse la chiesa in ogni sua parte, a cominciare dall’epoca della fondazione. Secondo quanto affermato dal curato, la “Parrocchial Chiesa del Casale di Casalba” era stata edificata in una campagna alquanto lontana dal centro e li rimase fino a tutto il XV secolo. Questa chiesa, sotto il titolo del S.S. Crocifisso, restava però poco comoda sia ai Curati sia ai parrocchiani per cui si pensò di edificarla in altro luogo, più accessibile e più centrale. E nel 1607, ad opera del parroco Don Ferdinando Vastano e con il concorso dei cittadini e dell’Università, fu fondata l’attuale chiesa, dedicata a S.Maria delle Grazie. L’impegno dei cittadini e di Don Ferdinando Vastano è stato tramandato sulla lapide commemorativa che campeggia sul frontespizio della chiesa. Il parroco Crocco, nel suo scritto, definiva la chiesa “un’isola perfetta” situata in mezzo al casale nel luogo detto “lo Trevice”, presso la strada pubblica, edificata in “sito eminente”, alla quale si accedeva per “due scalette laterali di pietra”. In un manoscritto degli inizi del Novecento di un altro parroco di Casalba, Mons. Francesco Gravina, leggiamo notizie dettagliate sull’aspetto della chiesa a quell’epoca. L’edificio era di forma rettangolare; antistante ad esso si trovava un piccolo spiazzale fiancheggiato da due muri: sette scalini sollevavano la chiesa dal livello stradale. L’interno riceveva luce da sette finestroni e si potevano ammirare tre altari di marmo. Il Gravina descriveva anche le due cappelle, una dedicata al Sacro Cuore di Gesù, l’altra a S. Francesco d’Assisi. Aggiungeva poi di aver scoperto una lapide, rimasta ignorata da tutti, che era incastonata nei basalti formanti il pavimento dell’androne della canonica e che aveva resistito chissà per quanti anni al passaggio di pedoni e dei veicoli che di là transitavano. Tale lapide fu dal Gravina recuperata e fatta murare nella sagrestia. Dalla dicitura86 si rileva che la lapide chiudeva il sepolcro appartenente alla confraternità del S.S. Corpo di Cristo di Casalba, situato nella chiesa. Ciò a testimonianza del fatto che fino all’Ottocento, epoca dell’istituzione dei cimiteri87, anche nella chiesa di S.Maria delle Grazie, come in ogni altra chiesa venivano seppelliti i cadaveri dei cattolici. Oggi il sacro edificio appare conservato dopo una serie di restauri avvenuti nel tempo: è possibile ipotizzare un rifacimento ottocentesco della facciata; nel 1932 la chiesa fu del tutto restaurata; il restauro del 1987 ha definito l’aspetto interno. La facciata è scompartita da quattro lesene lisce, sormontate da capitello in stucco. Esse sorgono su una zoccolatura, rifatta in pietra, e reggono una trabeazione con fregio ed architrave lisci. Il timpano triangolare conclude la facciata. La parte centrale di questa è aperta dal portale su cui si apre una finestra rettangolare. Le superfici sono tutte intonacate. Il portale seicentesco ha gli stipiti e l’architrave dritti e seguiti all’esterno da un risalto sagomato che si rialza alle estremità. Qui si leva un dado, ornato da tre motivi a balaustro scolpiti, su cui poggia la cornice dritta. Nello spazio fra questa e l’architrave sono scolpiti due fioroni che fiancheggiano la lapide marmorea commemorante la costruzione del sacro edificio nel 1607. L’interno è a navata unica, con un arco per lato che dà accesso ad una cappella. Le pareti sono scompartite da quattro lesene scanalate e col capitello ionico in stucco ed aperte da tre finestre quadrate. La facciata interna ha un finestrone nell’ingresso, la parete di fondo mostra due nicchie laterali all’altare (chiuse). Il soffitto è a cassettoni di gesso. SCULTURA LIGNEA IN AREA MERIDIONALE – GIACOMO COLOMBO La statuaria lignea, molto più economica di quella in marmo, dovette avere una notevole diffusione in età moderna. Nel regno di Napoli chiese e conventi si rivolgevano, dalle province alla capitale, alle migliori botteghe per avere pur sempre prodotti di qualità anche se realizzati nel materiale più modesto. I risultati delle ricerche e il ritrovamento di opere lignee d’interesse notevole talvolta eccezionale anche in Campania hanno consentito il superamento della diffusa prevenzione circa una scultura lignea a sé stante, quasi popolaresca parafrasi o rustico sottoprodotto della scultura in marmo o in bronzo, nonché il superamento della convinzione che tale genere rimanesse tipico, e magari esclusivo, di altre regioni. Questi cimeli artistici presentavano comunque un pessimo stato di conservazione: deturpati i caratteri originali e spesso cancellati da stratificazioni di sudicio o da volgari ridipinture, ripetute in qualche caso fino a cinque sei volte; modificati anche radicalmente negli aspetti formali e figurativi per adattarli a mutate esigenze di culto; e per queste stesse esigenze, occultate le autentiche sculture sotto goffi vestimenti di stoffa, sotto mitre e parrucche, corazzature d’argento, ex-voto di ogni sorta. In quasi tutti i casi è stato necessario rimuovere spessi e ripetuti strati di colore per rimettere in luce la policromia originale; ed è noto quanta importanza assuma, nella scultura lignea, il rivestimento cromatico che è parte integrante ed inseparabile del risultato estetico perseguito dall’artefice. Il biografo De Dominici88 dice, di Giacomo Colombo, che si era “acquistata l’amicizia del celebre Francesco Solimena” (1657-1747), pittore. A Napoli si trasferì nel 1674, divenendo poi il massimo decoratore della Napoli Settecentesca e quindi automaticamente si era inserito nel giro di una delle più gettonate botteghe napoletane. Ma Colombo assurgerà ad una propria autonomia operativa e ad una sua giusta fama. Basti ricordare l’episodio dei deputati del Tesoro di San Gennaro che, in data 8 novembre 1707, raccomandavano all’argentiere Domenico D’Angelo di indirizzarsi, per un modello per la statua da eseguire della SS/ma Concezione, indifferentemente “o dal Sig. Abbate Francesco Solimena o Giacomo Colombo.” La bottega del Colombo, in concorrenza con quella di Nicola Fumo, operosi più o meno negli stessi anni (dal 1661 al 1723 il Fumo, dal 1688 al 1731 il Colombo), si contenderà le commissioni di molte opere in varie province del Regno. Colombo nacque ad Este (Padova) nel 1663 e nel 1678 giunse a Napoli. La formazione artistica del Colombo, che il De Dominici asserisce essere stato allievo di Domenico Di Nardo, attende ancora una chiara definizione. Essa si inserisce, comunque, nel contesto della tradizione della scultura lignea barocca, fortemente influenzata in quegli anni, a Napoli, dagli esempi iberici, densi di una drammatica comunicatività. Ma se De Nardo fu il maestro “ufficiale” di G.Colombo, indubbiamente notevole fu su di lui l’influenza di Nicola Fumo, già affermato artista della Napoli di fine secolo; così che i due rimangono gli artisti più noti in ambito napoletano, e non solo, tra fine Seicento e inizio Settecento. Non solo in ambito napoletano perché, soprattutto per il Colombo, è massiccia la presenza di opere anche in Puglia e nel Molise. La committenza era la più varia: dalle cattedrali alle chiese madri nonché a quelle dei vari ordini, francescani, domenicani, ma costante era la richiesta di opere a questo artista che molto rispondeva al gusto e alle esigenze emozionali dell’epoca. Tra il 1698 ed il 1701 si colloca l’opera in legno più monumentale dello scultore: il gruppo della PIETÀ nella Collegiata di Eboli. Il Colombo descrive il momento in cui Cristo, schiodato dalla croce, è contemplato per l’ultima volta dalla madre prima di essere riposto nel sepolcro. La maschera di dolore della Vergine è tradotta in altissimo stile. Tra il 1706 ed il 1704 realizzò invece in marmo i monumenti funebri dei Principi di Piombino, di Anna Maria Arduino e di suo figlio Nicolò Ludovisi, nella chiesa di S. Diego all’Ospedaletto di Napoli. Il disegno era del Solimena, ma appare chiaro che i committenti si affidarono al pittore per una buona impaginazione dei sepolcri, però per quanto riguarda la forza plastica e la tecnica decisamente notevole, e raffinatissima, specialmente nel ritratto di Anna Maria Arduino e nella grazia “paffuta” dei bellissimi puttini disposti sui sepolcri, sono da ritenersi opere autonome dello scultore. Nel 1706 Colombo eseguì un S.Andrea per la Parrocchiale di Gricignano di Aversa e alla stessa data è possibile far risalire la scultura raffigurante S.Martino conservata nella chiesa di Macerata. In quegli anni il grosso avvenimento dell’affermazione del presepe a figure mobili trovò in Colombo un artista che non si limita ad attingere alla tradizione degli scultori che lo avevano preceduto, ma un interprete che creava una serie di personaggi ritratti da quelli che osservava quotidianamente. Il presepe nella scultura napoletana del Settecento è argomento di massimo valore. Allestito su fondali paesistici e animato da figure modellate in terracotta o intagliate in legno, vestite di vera stoffa, figure comprendenti i gruppi della Natività, gli angeli e gli astanti di ogni età, colti nelle più diverse faccende ed espressioni, il presepe napoletano è fenomeno artistico originalissimo e, rispetto a quelli prodotti in altre regioni, risulta assai più teatrale e complesso. I Borbone lo diffusero e arricchirono dedicando una cura particolare alla scelta dei pezzi e alla loro disposizione. L’insieme era spettacolare, nelle scene di base e nei molti episodi graduati e connessi tra di loro, le une e gli altri in parte cavati con vena assai libera da esempi pittorici. Alcune zone risultavano idealizzate, altre colorite e liete, altre ancora curiose e grottesche. Rimangono i pochi esemplari: si trovano specialmente nel Museo di S.Martino a Napoli, a Caserta, nel Museo Nazionale di Monaco di Baviera, in alcune chiese. In collezioni private si conservano figure isolate o gruppi, di per sé spesso piccoli capolavori. Oltre un certo numero di piccole figure siglate, al Colombo vanno assegnate alcune sculture a manichino a grandezza umana per il presepe della chiesa di S.Maria in Portico. Nel 1712 con l’Annunciazione iniziò una fase strettamente “settecentesca” dello scultore che, per ragioni di moda e di committenza, in questo periodo eseguì alcune opere che se non fosse per la firma apposta potrebbero richiamare il nome di Nicola Fumo, in quegli anni all’apice della carriera, confermando l’ipotesi di una concorrenza tra le due botteghe produttrici di figure lignee devozionali e da presepe, tendenti entrambe ad affermare la propria supremazia nel genere allargandosi a macchia d’olio per i piccoli centri del meridione. L’ultimo periodo di attività dello scultore fu caratterizzato da una stretta aderenza ai modi arcadico – rococò che si andavano sviluppando a Napoli. Colombo fu incessantemente impegnato nella ricerca dell’intimizzazione del mezzo espressivo plastico e di levità cromatiche: un punto di notevole anticipo rispetto alla coeva scultura lignea europea. Di tutta la poliedrica attività di G. Colombo (fu scultore in marmo, legno e stucco) le testimonianze lignee sono tali fa farci ripercorrere il suo iter artistico “partendo dalla tradizione lignea policroma barocca per evolversi entro il primo decennio del Settecento a personalissimi risultati di gusto arcadico – rococò”89. dott/ssa Annamaria CAPUANO CHIESA DI S.MARCELLO MARTIRE - CATURANO La Chiesa Madre di Caturano vanta antiche origini ed è strettamente legata alla storia del paese. Essa è dedicata al Santo Protettore S.MARCELLO MARTIRE, figura virile di centurione romano, la cui vita e la cui tragica esecuzione, fino ad alcuni anni fa, venivano rappresentate durante la festa celebrata in suo onore da improvvisati attori presi dal popolo, nella cosiddetta “tragedia di S.Marcello”. Il “Martirologio Romano” commemora i santi Martiri Marcello e Apuleo il 7 ottobre. Secondo alcune notizie i due, dopo essere stati discepoli di Simon Mago, furono convertiti dall’Apostolo Pietro e martirizzati90. Più vicina alla conoscenza popolare di Caturano è la leggenda anonima conservava in un manoscritto del secolo IX – X, in cui si narra che Marcello, fervente cristiano romano, esiliato da Tiberio a Capua ed arrestato durante la festa dell’imperatore per non aver voluto partecipare ai sacrifici, fu condannato a morte. Secondo altre redazioni S.Marcello era un centurione romano fervente e generoso che usava le sue ricchezze per liberare i prigionieri di guerra. Arrestato a Capua, fu ucciso dal Prefetto Agricolano, poco prima del suo servo Apuleo. Il 23 maggio 1684 fu una giornata particolare per Caturano e per i suoi abitanti. In questo giorno, infatti, una reliquia di S.Marcello Martire fu donata alla Chiesa di Caturano, al parroco Don Gennaro Antonio Stellato, dal Reverendo Dionisio Lapis, Abate del Cenobio di Santa Maria a Maiella dei Celestini di Capua. Il Reverendo, a sua volta, aveva ottenuto la venerata reliquia direttamente da Roma. La consegna della preziosa reliquia alla Chiesa di Caturano avvenne con suggestivo cerimoniale. Il popolo si riunì nel sacro edificio dal quale partì una processione mai vista a cui parteciparono non solo gli abitanti di Caturano, ma anche dei paesi vicini. La reliquia di S.Marcello, consistente in un osso dell’omero, fu collocata nel petto della bellissima statua dove era stata praticata una cavità da un provetto artigiano del luogo.91 Tornando alla chiesa, si può riportare la testimonianza dello storico capuano Michele Monaco92. Egli, nel suo Sanctuarium Capuanum, afferma che “La chiesa di S. Marcello di Caturano viene omessa nella tassa antica delle Decime. Non è, tuttavia, da pensare che questa chiesa di S.Marcello sia stata eretta dopo la suddetta Tassa, dato che il Casal di Caturano è molto antico”. Se la Chiesa di S.Marcello non appare nella Tassa Antica figura, però, nelle Decime della Diocesi di Capua per gli anni 1308-1310, unitamente ad un’altra chiesa (Ecclesia Sancti Leuci et Ecclesia S.Marcelli de Villa Caturano), come chiesa sottomessa alla contribuzione delle decime a favore della diocesi capuana93. A confermare le origini antiche della chiesa e del paese vale anche quanto sostiene sempre il Monaco, secondo il quale in alcune testimonianze scrittorie degli archivi dei monaci di S.Giovanni, il villaggio di Caturano appare nella Terra Lanei (l’antico territorio della provincia di Terra di Lavoro) fin dal 1272. Altri particolari sulla chiesa di san Marcello sono rilevati dallo storico capuano Francesco Granata, che nel suo testo94 elenca le Cappelle e le Confraternite della Chiesa di Caturano. L’edificio ha avuto vari restauri nel corso dei secoli. Nel 1574 Don Pietro Perrino, parroco da due anni, e fino al 1764, intervenne per lavori di riparazione. Nel 1856 il parroco Migliozzi eseguì lavori sul frontespizio della chiesa, ornato da cornicioni e da stucchi, mentre il Comune di Macerata intervenne con cinquanta ducati per i lavori al soffitto. Nel 1872, in occasione di lavori alla volta, fu dipinto il grande affresco che rappresenta il Santo Protettore di Caturano, affresco restaurato nel 1924 ad opera del pittore Salvatore Iannotta. Durante il periodo in cui fu parroco Don Antimo Calmieri (1933-1982) si ebbero notevoli interventi alla chiesa, alla canonica ed al campanile. Nel 1951 il professore Giuseppe Desiato, da Caserta, eseguì lavori di restauro alla statua di San Marcello. Nel 1973 iniziarono i lavori di pavimentazione nella navata laterale e nel 1976 nella parte centrale. Pure il campanile ha subito notevoli miglioramenti nel corso degli anni. Nel 1945 fu costituito un apposito comitato per la raccolta dei fondi necessari alla sopraelevazione e per la sostituzione della campana grande. Attualmente la chiesa è chiusa al pubblico per nuovi lavori di restauro. Il corpo centrale della facciata, ornato da cornicioni e stucchi, delimitato in alto da timpano triangolare, presenta il portale di ingresso con apertura architravata, al quale si accede attraverso alcuni gradini. Sopra il portale, in una nicchia, si trova il dipinto (olio su tavola) raffigurante S.Marcello martire, che risale al secolo XIX, forse al 1856, anno in cui fu rifatta la facciata. Il pittore riprodusse la statua lignea conservata nella chiesa, raffigurando il santo in piedi, con elmo e corazza, mentre impugna la lancia con la destra e con la sinistra regge il libro e la palma del martirio. Sopra la nicchia col dipinto si apre un finestrone sormontato da arco. Alla destra del frontespizio, su appositi pilastri, poggiano due campane, una grande e una piccola, in uso quando non ancora esisteva la torre campanaria. Il campanile è a più ordini (le proporzioni diminuiscono procedendo dal basso verso l’alto) e termina con una cupola. L’interno è a due navate; alla sinistra di quella che conduce all’abside, si apre una cappella. Quest’ultima ha dei sottarchi con fioroni di stucco al centro, volte e pareti scompartite in riquadri, cupola ovale. La decorazione della cappella sembra risalire alla seconda metà del Settecento e si può attribuire a maestranze di stuccatori allora attivi in provincia. Sempre nella navata maggiore, a destra e a sinistra dell’arco trionfale, si trova una coppia di prospetti di nicchie. Il prospetto delle due nicchie consta di un basamento sul quale si apre la nicchia, fiancheggiata da due lesene e sormontata da un fronte curvo. Le superfici sono dipinte a finto marmo. I due prospetti mostrano caratteri architettonici e decorativi databili a oltre metà del Settecento. ELENCO DEGLI ABATI, CURATI ED ECONOMI DELLE CHIESE DI: - SAN MARTINO VESCOVO - MACERATA;
- S.MARIA DELLE GRAZIE - CASALBA;
- S.MARCELLO - CATURANO.
TABELLA PAG. 79ELENCO ABATI CURATI ED ECONOMI DELLA PARROCCHIA DI SAN MARTINO VESCOVO
ELENCO DEI PARROCI -CHIESA DI S.MARIA DELLE GRAZIE – CASALBA
ELENCO DEI PARROCI -CHIESA DI S.MARCELLO MARTIRE – CATURANO
LE CHIESE SERIE FOTOGRAFICA A - MACERATA B - CASALBA C - CATURANO A) Chiesa di S.Martino Vescovo dopo la restaurazione successiva al terremoto del 1980.
A) Chiesa di S.Martino Vescovo – Il campanile
A) Chiesa di S.Martino Vescovo - Navata Centrale -
A) Chiesa di S.martino Vescovo – Zona da cui si iniziò l’ampliamento che portò alla configurazione definitiva della Chiesa Abbaziale.
A) Chiesa di S.Martino Vescovo – Portale con trabeazione a tre tenie e cornicione aggettante. Nella lunetta superiore è affrescato l’episodio del dono del mantello fatto da S.Martino ad un mendicante.
A) Chiesa di S.Martino Vescovo – Frontespizio in epoca anteriore al terremoto del 1980
B) Chiesa di S.Maria delle Grazie – Frontespizio e portale
B) Chiesa S.Maria delle Grazie – Trabeazione rettangolare con lapide datata 1607
B) Chiesa S.Maria delle Grazie – Campanile e orologio
C) Chiesa di S.Marcello Martire – Frontespizio restaurato
C) Chiesa di S.Marcello martire – Il Campanile restaurato
LE CAPPELLE a - Maria SS. Del Rosario - Via Garibaldi b - S.Francesco d’Assisi - Via S. Stefano c - Madonna delle Grazie - Via Elena d - Cappella del Crocifisso - Caturano e - Cappella della Madonna dell’Arco - Via Mazzini a) Cappella della Madonna del Rosario – Frontespizio
a) Cappella della Madonna del Rosario – Altare Maggiore
b) Cappella di S.Francesco d’Assisi – Frontespizio
b) Cappella di S.Francesco d’Assisi –Altare Maggiore
b) Cappella di S.Francesco d’Assisi – Il Cristo, un recente dipinto del maestro Ventriglia.
c) Cappella della Madonna delle Grazie – Frontespizio e campanile
c) Cappella della Madonna delle Grazie – Antichissimo affresco che ritrae la Madonna che allatta il Bambino Gesù.
c) Cappella della Madonna delle Grazie – Antico affresco riproducente la stessa icona della pagina precedente. Nella prima metà del XX secolo si pensò di restaurare ma nella fase preparatoria si scoprì che questa immagine si sovrapponeva ad un’altra più antica e si preferì non procedere per non compromettere entrambi gli affreschi.
CAPPELLINA DEDICATA ALLA MADONNA DELLE GRAZIE VIA ELENA
Affresco al soffitto (T.Mattiello ?)
Caturano – Cappella del Crocifisso – Prospetto principale
Caturano – Cappella del Crocifisso – Altare con Crocifisso e affresco retrostante
Cappella del Crocifisso – Soffitto: Apoteosi del Cristo
Cappella del Crocifisso aperta il 30 aprile 1865. Il Cristo fu scolpito da Pietro Stellato (Acquerello di Alfredo Beatrice,1993) Abbattuta perché fu necessaria allargare la stradina.
Il Crocifisso – Scultura lignea
Cappella dedicata alla Maria SS. Dell’Arco di via Mazzini. Di costruzione non molto antica è curata da alcune famiglie particolarmente devote alla Madonna dell’Arco.
Cappella della Madonna dell’Arco – Altare
I SACELLI 1. Madonna delle Grazie con il Bambino Gesù al seno - Via De Matteis 2. Madonna con il Bambino Gesù in braccio - Viale Europa 1) Cappellina con altarino dedicato a S.Maria delle Grazie -
Cappellina di S.Maria delle Grazie – Icona raffigurante la Madonna con il Bambino Gesù poppante.
Cappellina di S.Maria delle Grazie – Medaglioni alle pareti raffiguranti le Anime del Purgatorio e S.Antonio Abate.
Torretta votiva dedicata, forse, alla Madonna delle Grazie.
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74 Fino al secolo IX d.C. 75 <<Ipotesi di catalogazione dei Beni Culturali a Macerata Campania: arte medievale e moderna>>. 76 La penuria di immagini è motivata dal fatto che gli autori hanno in animo di preparare un “CATALOGO GENERALE DEI BENI CULTURALI A MACERATA CAMPANIA”. 77 Riguardano la Cappella Madonna delle Grazie in via Elena (Acqualonga) e quella del Poverello di Assisi in via S.Stefano e della Madonna del Rosario in via Garibaldi. 78 Vedi fotografie a fine capitolo. Nel monastero annesso a questa chiesa entrò, come seminarista, il nostro S.Stefano Menecillo all’età di sette anni. 79 Piccoli altari costruiti con particolari caratteristiche (tondi e quadrati) e destinazione di devozione. 80 L’intitolazione è a San Martino di Tours, Santo Vescovo 316 (o 317) - 397. Dopo aver prestato servizio nell’esercito romano in cui suo padre era ufficiale, ricevette il battesimo e, abbandonato l’esercito, si ritirò in eremo, si fece monaco e fu poi consacrato vescovo di Tours. Il suo mantello, diviso con un povero, fu una reliquia tenuta in grande onore nel regno dei Franchi. A san Martino, uno dei santi più popolari di Europa, sono connesse molte tradizioni (preparazione di cibi speciali, accensione di fuochi, questua rituale) legate anche alla posizione della festa, l’11 novembre, alla chiusura dei raccolti. 81 Terremoto del 1456 – da schedario del Museo Campano di Capua. 82 Battaglia di Lepanto – Il 7 ottobre 1571 la flotta della Lega degli Stati Cristiani si scontrò nelle acque di Lepanto con la flotta che deteneva il predominio del mare. La Battaglia si concluse con la netta vittoria dei cristiani e la disfatta turca segnò la battuta di arresto dell’espansione ottomana in Occidente. 83 Abate curato della parrocchia di San Martino dal 1921 al 1936. 84 Al 1608 risalgono il portale e la finestra superiore murata. 85 Morelli Domenico (Napoli 1826-1901). Studiò all’Accademia di Napoli, ma, sollecitato dal naturalismo dei Palizzi, reagì ben presto alla pittura accademica che, tuttavia, non rinnegò mai completamente. Elaborò uno stile verista fondato sulla preminenza della pennellata veloce e a macchia rispetto al disegno. 86 La lastra rettangolare, con iscrizione a caratteri lapidari e disposta su quattro righi risale al 1690 87 L’editto napoleonico di Saint Cloud del 12 giugno 1804, esteso poi all’Italia il 5 settembre 1806, imponeva la sepoltura fuori dalle mura cittadine. 88 Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani – Napoli 1742. 89 G.Borrelli, ad vocem G.Colombo, in Dizionario biografico degli italiani. Roma 1982. 90 Biblioteca Sanctorum – Roma Città – Nuova Editrice, ristampa 1988. 91 LA venuta della reliquia e la posa nel petto della statua aiuta anche a datare la bella immagine che veglia come sentinella sugli abitanti di Caturano. I tratti classicheggianti e rinascimentali, protesi al ricco barocco napoletano, il drappeggio delle vesti, i toni ed i colori fanno ritenere che la gloriosa statua sia stata scolpita tra il Cinquecento ed il Seicento. 92 Michele Monaco, nato a San Prisco l’8 gennaio 1574 e morto a Capua il 26 agosto 1644, grande storico della chiesa capuana. 93 Archivio storico di Terra di Lavoro. 94 Chiesa Metropolitana di Capua – Napoli 1766. |