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Parte Prima - Capitolo Secondo - Sant’Antuono Stampa E-mail

<<SANT’ ANTUONO>>

Il termine dialettale che, unito all’espressione <<carro di pastellessa>>, identifica i tratti della religiosità e del folklore nella festività di S. Antonio Abate che ricorre il 17 gennaio.

IL CULTO
LE ORIGINI DEL CULTO DI SANT’ANTONIO ABATE

A) Iconografia;
B) Culto;
C) Folclore.

Nella Chiesa Abbaziale di Macerata Campania, dedicata a S. Martino, si trova una statua di S. Antonio Abate, di cui riportiamo una scheda storico – critica da noi raccolta presso la Biblioteca della Soprintendenza per i beni A. A.A. S. di Caserta in Palazzo Reale e la fotografia della statua lignea del Santo, nato a Coma (oggi Qemans ) e morto il 17 gennaio 356.

Scultura lignea raffigurante S.Antonio Abate posto sull’altare della navata destra nella chiesa di San Martino Vescovo in Macerata Campania.

Scultura lignea

 A) ICONOGRAFIA

La statua lignea, descritta nella scheda e riportata in fotografia, di S.Antonio Abate, conservata e venerata a Macerata Campania, presenta le seguenti testimonianze iconografiche:

a) il bastone a T;
b) il libro;
c) la fiamma;
d) il maialino.

Lo storico – critico, redattore della scheda prima riportata, si limita ad elencarli come semplici attributi artistici senza entrare nel merito di una descrizione simbologico – iconografica (base della comprensione dell’aspetto folkloristico – allegorico della manifestazione di religiosità, che noi maceratesi identifichiamo con il “carro di pastellessa”).

Stando alle analisi dell’iconografia relativa a S.Antonio Abate, fatte da eminenti studiosi:
a) il bastone a T appartiene all’iconografia più antica nella forma classica di un bastone con appoggio semplice, ma prende più tardi la forma a T, come un “tau” egiziano, al quale veniva attribuito il valore simbolico della vita futura;
b) il libro, nella scheda indicato in modo generico, rappresenta certamente il Libro della Regola monastica, di cui il Santo, taumaturgo ed esorcista, fu ispirato lettore e fecondo trascrittore;
c) la fiamma, così semplicemente detta dal redattore della scheda, non ha alcun significato. Il “fuoco”, invece, rappresenta uno degli attributi del Santo che accenna alla malattia volgarmente detta fuoco di S.Antonio ed alle numerose guarigioni ad essa relative. In senso figurato il fuoco rappresenta lo strumento della purificazione dell’anima dal peccato, della liberazione dal possesso demoniaco: la fiamma dell’inferno nel quale il Santo si recava a recuperare anime dannate;
d) il porco  accompagna  il  Santo. La  sua  origine  è  da  ricercare storicamente in un “privilegio” dell’Ordine Antoniano del 1095, per cui i monaci di S.Antonio allevavano i porci per il loro lardo, che veniva usato come medicamento contro il detto “fuoco di S.Antonio” o “herpes zoster”.

Mancano alla statua maceratese altri due attributi iconografici. Uno, forse, secondario e l’altro molto importante per la comprensione della simbologia di uno degli aspetti della manifestazione della religiosità laica del popolo maceratese:
1) il campanellino;
2) il demonio tentatore.

Il campanellino è collegato con i porci dei monaci antoniani.

Molto spesso, nell’iconografia ufficiale, è attaccato al bastone del Santo, forse in memoria del suono dei campanelli che annunciavano di lontano l’arrivo dei questuanti dell’Ordine Antoniano. Ma l’iconografia dei campanelli risale a quando, per una epidemia portata dai maiali, si dovettero uccidere tutte le bestie ammalate, tranne quelli che allevavano i monaci, distinguibili da un campanello intorno al collo. Il demone tentatore o i demoni tentatori testimoniano la lotta del Santo contro il demonio che fu una sofferenza sublimante per lo spirito ma molto dolorosa per il corpo.  E’ uno degli attributi iconografici più importanti per la comprensione di un aspetto del folclore tradizionale maceratese (come vedremo in seguito). Il demonio tentatore, infatti, ricorre quasi sempre nell’iconografia antoniana sotto le sembianze femminili o in modi di essere specificamente femminili. Ci riferiamo al tema più caro all’iconografia popolare: quello del Santo tentato nella carne dal demonio in forma di donna. Questa scena, assente nei cicli più antichi, appare per le prime volte nel secolo XIII. Le prime seduttrici che l’iconografia ci presenta hanno un aspetto normale e solo delle piccole corna, piedi di porco o alette membranacee, che ne rivelano l’origine demoniaca. Altre volte il demonio appare sotto forma di vecchia che offre fanciulle nude o sotto forma di animali (come nell’altare di Hissenheim ), assumendo la forma dell’uccello dei Bestiarii, che rappresenta il simbolo della sifilide, curata sotto il patronato del santo e di cui la donna è il simbolo.

Chiudiamo questo paragrafo dell’iconografia del Santo rappresentata nella statua lignea di Macerata per passare al culto dei Maceratesi per S.Antonio Abate. Non prima, però, di aver segnalato che una sequenza di sei scene, il ciclo completo delle tentazioni del maligno fatte a S.Antonio Abate, rimane negli affreschi del portico dell’Abbazia di S.Angelo in Formis. Risalgono gli affreschi al XII secolo e la mia notazione è fatta per dire che, essendo il culto di S.Antonio Abate presente nel secolo XII in Capua antica (attuale S.Maria Capua Vetere) e nei suoi “casali” è abbastanza ben motivata l’affermazione che anche a Macerata Campania il culto per “Santantuono” risale al secolo XII.

B) IL CULTO

Il culto, inteso come devozione e venerazione, che i maceratesi tributano a S. Antonio Abate segue i normali canoni della liturgia ecclesiastica e, nei giorni di festività, questi si concretizzano in funzioni religiose come da liturgia .

C) IL FOLCLORE

Antichi riti ed una civiltà contadina ed artigianale ben stratificate fanno di Macerata e del suo territorio una pregevole e ricca miniera di spunti per lo studio di usi, costumi, tradizioni.
Queste risorse tradizionali, folkloristiche e storiche, se ben gestite dall’Assessorato alla Cultura, potrebbero attrarre nel territorio maceratese un “turismo colto” e specializzato e non soltanto in occasione di questa festività di S.Antonio Abate. I momenti più significativi del folclore maceratese sono proprio quelli legati alla tradizionale e sentita devozione a “Santantuono”:

- il fuoco (la “lampa” );
- la sfilata dei “carri”;
- i fuochi pirotecnici “figurati”;
- la “riffa”.

Il Fuoco, come abbiamo visto nel paragrafo sull’iconografia antoniana a Macerata Campania, è riportato su un libro che il Santo regge con la mano sinistra.

Sotto riportiamo due esempi di “fuochi di santantuono” ripresi da stampa locale patrocinata.

 Ritaglio giornale

La fotografia riportata in questa pagina è stata da noi ripresa da “LA PROVINCIA DI TERRA DI LAVORO” n. 8 del gennaio 2000.
Era  posta a corredo di un articolo della dott.ssa  Nicoletta Speltra i cui contenuti sono da noi ampiamente condivisi. Alcuni spunti, infatti,sono riportati nella presente monografia.

 La lampa

La “lampa” (il grande falò) accesa dalla gente nelle strade e nelle piazze fin dalle prime ore della sera per solennizzare il giorno dedicato a Sant’Antonio Abate.

Una delle rappresentazioni iconografiche del santo più ricorrente è, infatti, una fiamma che arde: il fuoco purificatore che ricorda come questo Santo sia considerato anche il vincitore del male, colui che sconfisse il diavolo.
I paesi della nostra provincia si sono tramandati di anno in anno questa manifestazione di religiosità della “lampa”. Questo momento del folclore, relativo alla festività di S.Antonio Abate, aveva assunto il carattere di vera tradizione, che non viene più proposta da diversi decenni.

La sfilata dei carri di “Santantuono” o di “Pastellessa” è il momento più importante del folclore maceratese.

Nella tarda mattinata della domenica mattina, ultimo giorno della festività di S.Antonio Abate, tutti i carri si dispongono lungo il corso della via Garibaldi. Da qui poi partono, uno alla volta, per esibirsi davanti al Comitato dei festeggiamenti, alle varie associazioni ed autorità, nella piazza al centro del paese, dove il popolo si raccoglie per assistere all’esibizione e all’accensione dei fuochi pirotecnici “figurati”. È questo il culmine della festa: le voci della piazza, la frenesia della folla, il suono assordante degli strumenti si fondono e rendono questa esperienza unica e coinvolgente.
Il suono, prodotto con strumenti di evidente cultura rurale ed artigianale (lavorazione del legno), scandisce arcaici ritmi processionali, di cui si fa cenno in una recente pubblicazione di un lavoro edito dall’Associazione “’A cantenella”: il ritmo a “pastellessa”50, il ritmo a “muorte” e il ritmo a “tarantella”.  Le botti, le tinelle (i cupelle ) e le falci (i faucioni), semplici attrezzi da contadino e prodotti da artigiani locali (i mannesi o maestri  d’ascia), diventano,sapientemente percossi da un gruppo di persone, degli strumenti musicali che producono ritmi molto caratteristici.
L’esibizione dei carri, la domenica mattina, è il momento finale di una serie di preliminari che sono i tasselli che formano l’intera “immagine del carro ‘e Santantuono”, a volte chiamato “ ‘a battuglia ‘e pastellessa”. Il primo tassello è quello dell’allestimento (preparazione ) dei carri. La “battuglia” dell’anno precedente inizia ad individuare il percorso preparatorio ed a distribuire incarichi e mansioni. Alcuni preparano il piano di interventi strutturali e di ampliamento della superficie di carico del carrello / rimorchio (che poi diventerà il “carro e ‘ Santantuono”).  Altri iniziano a controllare la sonorità di botti e “cupelle” e ad intervenire con il procedimento della battitura dei cerchi e delle doghe, nel caso che le botti o le tinelle risultassero desonorizzate.  Altri pensano alla scenografia e studiano drappeggi, colori, slogan. Altri ancora si dedicano al problema musicale, riascoltando le registrazioni dell’anno precedente e decidendo quali filastrocche scegliere o se proporne di nuove. Tutti questi interventi mirano a preparare il carro per il giorno della festa. Anche ora il “carro”è il centro di tutta la manifestazione di religiosità, oggetto e soggetto centrale di un folclore iniziato moltissimi secoli addietro! Alla fine dei preparativi il “carro di pastellessa” si presenta, al di là di addobbi, festoni, catenelle di carta ed altri ornamenti colorati, sostanzialmente come un grosso carro con dei rami di palma disposti ad arco con l’effigie di “Santantuono” appesa al primo arco di palme4  a significare che l’aspetto folkloristico è motivato dalla devozione al Santo.

[4] Si richiama l’attenzione al “ferculum” da cerimonia romano 

 Sul piano di carico, modificato a seconda delle esigenze di spazio necessario per la sistemazioni di botti, tinelle, falci e suonatori, viene posto un impianto di amplificazione. La parte bassa (ruote, balestre, putrelle e travi ) viene poi coperta con un telo, che, chiuso a punta davanti e dietro, dà al carro la parvenza “non intenzionale” di una nave, come a voler rievocare la fantomatica leggendaria credenza che il Santo si sia trasferito dall’Egitto in Italia a bordo di una nave. Ma ciò non risulta a verità perché in “BILIOTHECA SANCTORUM”, a pagina 113, è esplicitamente detto: “ Le reliquie, trasportate ad Alessandria e deposte nella Chiesa di S. Giovanni Battista, verso il 635, in occasione dell’invasione araba dell’Egitto, furono rilevate e portate a Costantinopoli. Di qui, nel secolo XI, passarono alla Motte – Saint – Didier in Francia, recate da un crociato al suo ritorno dalla Terra Santa ! “. I carri, così preparati, sfilano per le vie del paese e dei paesi limitrofi, mentre gli occupanti cantano filastrocche, mottetti e cantilene e percuotono ritmicamente botti, tini e falci. La specifica presenza della botte, della “cupella” e delle falci,  e non d’altro, nell’iconografia folkloristica del tradizionale “carro di pastellessa” hanno un significato simbolico che riporta questa tradizione risalente a tempi antichissimi. Capua antica (attuale Santa Maria C. V. ) e i “pagus” (villaggi) con essa conurbati erano rinomati per l’ottima qualità di falci e funi da loro prodotte. Ciò è facile rilevare dalla lettura della “ Storia civile di Capua “ di  F. M. Granata. Dalla stessa lettura si può evidenziare che con l’incremento dei commerci il trasporto di vettovaglie, vino, oli, granaglie, fatto con recipienti in creta o con i “vasa picata”5, si dimostrò improduttivo sulle lunghe distanze ... e si fece ricorso a contenitori in legno! Si cominciarono a costruire botti, tini, sili e quant’altro fosse utile a conservare, stoccare e trasportare i prodotti dell’agricoltura. E’ questo retaggio culturale agricolo – artigianale la giustificazione della presenza di tali oggetti sul maceratese “carro e ‘ pastellessa”.6

[5] Erano contenitori di sparto (ginestra) intessuti ed impermeabilizzati con cera e pece; potevano contenere anche liquidi.
[6] Verificato nella parte Nr. 15

L’iconografia tradizionale dei fuochi pirotecnici “figurati”, che rappresentano un altro importante tassello del mosaico del folclore maceratese, comprende la presenza di un’immagine femminile (‘a signora), di un animale domestico (‘u puorco), di un animale da tiro (‘u ciuccio... ma io dico cavallo) e di un attrezzo da lavoro (a ’scala).
La “signora ‘e fuoco”: la figura femminile rappresenta il demonio negli episodi delle “tentazioni” nella vita del Santo. La più antica versione degli attacchi demoniaci al Santo è quella delle sei scene degli affreschi del portico di S.Angelo in Formis, databili al XII secolo. Questo tema del Santo tentato nella carne dal demonio a forma di donna è quello più caro all’iconografia popolare. In aspetto distinto, castigato, giovane, vecchia o dal viso angelico donna/demonio è identificata nell’immagine di cartapesta che viene bruciata in piazza a significare l’alto potere (in senso figurato) del fuoco purificatore.
Il “porco”: per quanto concerne la presenza del porco nell’iconografia di S.Antonio, anche per  Macerata,  essa  è da attribuire alla tradizione popolare secondo la quale nel maiale deve vedersi il diavolo, che, sconfitto dal Santo, fu da Dio condannato a seguire il santo sotto questo aspetto.
Il “ciuccio”: non vi è spiegazione logica nel rito della distruzione con il fuoco purificatore di un animale domestico di cui il Santo è protettore! Il “ciuccio” sta a rappresentare qualche altro essere animalesco che sia stato l’immagine falsa sotto la quale il demonio si è presentato al Santo per tentarlo o per contrastarne il percorso verso la santità. Questa ipotesi è riferibile al secondo dei tre momenti descritti  nella “Leggenda Aurea”: l’incontro di S.Antonio con un “centauro” durante il suo viaggio per recarsi a visitare S. Paolo. La “mostruosità” dell’essere mitico, metà uomo e metà cavallo, con la quale il demonio si presenta al Santo, diventa nella credenza popolare un “ciuccio immondo”, non protetto dal Santo e perciò da bruciare assieme agli altri simboli del demonio!
La “scala”: la presenza di una scala nella iconografia del folclore di S.Antonio Abate è una prerogativa esclusiva di Macerata (e Portico!) perché non vi è presenza d’essa nei testi di chi si è occupato dell’argomento. Non si ha notizia neanche della eventuale motivazione giustificativa di quella presenza, a meno che non si tratti di un ex–voto riferibile a qualche miracolo operato dal Santo e nel quale la scala assume una presenza negativa, demoniaca e perciò da purificare. Questi quattro simboli rappresentano per il popolo l’aspetto prevalente della figura di “Santantuono” e la sua forza protettiva dalle insidie del mondo. La loro distruzione col fuoco, con il popolo festante, rappresenta la vittoria del bene contro il male, dell’uomo di fede contro le tentazioni terrene.

 
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