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Premessa e considerazioni generali
Nei discorsi tra amici, nelle piazze o nei circoli o, anche se poche volte, nelle riunioni del comitato per i festeggiamenti per S.Stefano, si è spesso lamentata la mancanza di una storia della vita del nostro Santo scritta da un cittadino di Macerata Campania: la città che gli ha dato i natali, dove Egli è ricordato con viva devozione e sentito affetto, che si manifestano con un culto sempre costante nella annuale festività della prima domenica di luglio. Ho pensato di colmare questa lacuna, pubblicando le, purtroppo, scarse notizie che ci furono tramandate intorno alla vita del Santo. Ovviamente ho letto con la dovuta attenzione tutta la letteratura relativa alla vita del nostro S.Stefano con la mente ed il cuore, legati ad una devota ammirazione ma certamente non propensi a cedere alla tentazione di esaltare il nostro Santo, tessendo miti o leggende intorno alla sua personalità. Non è, quindi, mia intenzione fare “panegirica”1 di Santo Stefano Menecillo, né una semplice cronaca della sua esistenza2 ma uno studio quanto più approfondito possibile di tutte le agiografie che lo riguardano, laiche o religiose, a Lui coeve, medioevali, moderne o contemporanee. Inoltre tenterò di rapportare gli episodi più salienti della Sua vita ,agli avvenimenti storici del secolo X e delle condizioni di vita sociale e religiosa, nella contea di Capua longobarda in quei tempi. Con questa ricerca monografica, non mi presumo certo di dire cose nuove sul nostro Stefano Menecillo, ma vorrei riuscire però a delinearne i tratti e i lineamenti, non certo quelli somatici, gia noti3 ma indole, personalità e temperamento dell’uomo, del sacerdote e del Santo. Questo si! E anche se nello scritto vi si riscontrassero manchevolezze o errori, spero che la sua lettura servirà ad alimentare comunque il culto verso questa Santo Figlio della nostra Macerata Campania. È noto a tutti che l’entusiasmo sentito che, per chi opera, è simile a quello dei cristiani nei confronti di Gesù: lo percepisci, vivido e reale; è una presenza dentro di te, forte e gentile, che ti legge nel cuore e nella mente; ti sostiene e ti spinge a “fare” e “realizzare” cose concrete e utili, con finalità positive, per te e gli altri. Ed è in questo spirito di intimo entusiasmo che mi accingo alla realizzazione di questa ricerca monografica dopo un’intensa riflessione sul Sarcofago di S. Stefano, da pochi portata alla luce. Confesso che lo scopo principe di questo impegno è una più approfondita conoscenza da parte mia di questo Santo, nato nella mia stessa terra. Confesso anche di sapere che le difficoltà saranno molte e di non lieve entità, ma sono certo anche della serietà dell’impegno che mi sono assunto, accingendomi a trattare un siffatto argomento. Sono, inoltre, consapevole che molte valenti personalità si sono già impegnate nello studio agiografico di S. Stefano Menecillo e, pertanto, conscio della mia specifica incompetenza, mi limiterò a fare le ricerche per questa monografia, animato semplicemente da devota ed entusiastica ammirazione verso la figura del Santo. Data, quindi, l’eccezionalità dell’argomento, l’eminenza dei personaggi che prima di me lo hanno studiato, la necessità di rimanere aderente ai dati storici…”necesse sunt” umiltà, attenzione e prudenza nelle deduzioni. Ma prima di iniziare il percorso specifico dello studio sulla letteratura, relativa a S. Stefano, è opportuno e doveroso fare alcune considerazioni sul luogo di nascita4, sui motivi giustificativi della presenza del suo casato in Macerata5 e, sulle condizioni di vita sociali, storico-politiche, religiose che furono, secondo me, concause non insignificanti del suo inserimento nella struttura ecclesiastica di Capua longobarda.

 

Il contesto storico-politico Secolo X : i Longobardi a Capua
Come ho accennato nel precedente paragrafo, è essenziale fare un “excursus” attraverso la storia, la cultura, le tradizioni, il tessuto sociale e politico delle popolazioni delle nostre contrade e i canoni della loro fede religiosa, per meglio comprendere la “santità” di Stefano Menecillo. A tale scopo sottopongo all’attenzione del lettore la serie cronologica di eventi e i personaggi vissuti nell’arco temporale dei due secoli, nel corso dei quali visse il Santo, che, direttamente o indirettamente, caratterizzarono e condizionarono la vita delle nostre popolazioni e della Chiesa nelle nostre contrade.

Anno 901 – Atenolfo il Grande -
Quando, nel 901, Berengario Primo venne a Roma per farsi incoronare imperatore d’occidente, Atenolfo il Grande non si prostrò a questo nuovo nume e potè mostrare senza timore le sue simpatie per l’impero d’oriente senza dover chiarire affatto il vero scopo politico di questo suo atteggiamento. Egli pensava che l’impero greco (d’oriente), più lontano e occupato in continue lotte contro i Saraceni e i Pugliesi, non potesse mai attentare all’indipendenza del Principato Capuano. Atenolfo nella vita privata fu ottimo padre (per quei così dissoluti tempi), fervido in religione, generoso e caritatevole verso tutti.

Anno 914
Landolfo al suo ritorno da Costantinopoli, dove s’era recato in aiuto dell’imperatore d’Oriente, volle essere nuovamente incoronato e si associò al potere il fratello Atenolfo Secondo. Durante la sua assenza il monastero di Montecassino era stato distrutto dai Saraceni e i monaci si erano trasferiti a Teano6 guidati e amministrati dall’Abate Leone. Alla morte di questi, avvenuta nel 914, fu eletto Abate l’Arcidiacono Giovanni, congiunto dei Principi di Capua (era il terzogenito7 di Landolfo il Rufo), che trasferì la sede dell’Ordine dei Benedettini da Teano a Capua e qui edificò un famoso “cenobio” e una chiesa (S.Salvatore ad curtim).

Anno 915 – Pandolfo -
Nella battaglia del Garigliano (Castrum Argentum, 915) Pandolfo ottenne una non decisiva vittoria nella lotta contro i Saraceni e ottenne dal Papa il “protettorato” sull’Abazia cassinese.

Anno 929
Il Principe longobardo di Capua (Pandolfo) e quello di Salerno occupano varie città e terre, tenute dai Greci, che tolsero ai tiranni saraceni dopo aspre battaglie.

Anno 933 – Landolfo
In quest’anno Landolfo Primo associò al potere il primogenito Atenolfo Terzo.

Anno 934 – Giovanni l’Abate
Il congiunto dei Conti di Capua, Giovanni, autore della “Cronaca dei Conti di Capua” muore dopo venti anni di guida amministrativa (e spirituale?) dei monaci benedettini.

Anno 935 – I Menecillo
Nasce a Macerata Stefano Menecillo da genitori longobardi: Giovanni e Wiselperga.

Anno 937 Gli Ungari
I territori (anche quello di Macerata) del Principato di Capua subirono gravi danni per l’invasione degli Ungari.

Anno 939
Landolfo per precludere la via al potere ai figli del fratello Atenolfo Secondo, che congiurava contro di lui, associò al governo del Principato di Capua anche il suo secondogenito Landolfo, detto il Rufo (Rosso)

Anno 940 – Muore Atenolfo Secondo.

Anno 943 – Cessa di vivere Landolfo Primo.
Poco dopo, morto il primogenito Atenolfo Terzo, rimase solo a capo del Principato l’ancòra giovane Landolfo Secondo, detto il Rufo (Rosso). Questi, per assicurare la successione ai propri discendenti, si associò subito al potere il primogenito Pandolfo, detto Capo di ferro. Intanto, dopo soli tre anni di permanenza in Capua, il nuovo Abate benedettino Aligerno, con il consenso del Principe, trasferì l’Ordine nella originaria sede di Montecassino perchè non si continuassero le usurpazioni dei territori del cenobio da parte dei conti di Teano ed Aquino. Il nuovo Abate, però, riuscì a ritornare in possesso dei terreni usurpati solo con l’aiuto del Principe longobardo di Capua, che conservava il Protettorato sull’Abazia di Montecassino. Landolfo il Rosso si accinse all’assedio di Aquino, pronto ad espugnarla. Il gastaldo aquinate Atenolfo allora si consegnò spontaneamente a Landolfo il Rosso, che lo relegò a Gaeta. Nel 958 associò al governo il secondogenito Landolfo Terzo e Giovanni, che abbracciò lo stato sacerdotale e fu Vescovo di Capua.

 

Il contesto storico-ecclesiastico
Nel secolo nono si era instaurata in tutta la penisola una dinastia ereditaria di nobili che brigò per ottenere, quasi fosse un diritto divino, la possibilità di inserire nella gerarchia ecclesiastica un componente della propria famiglia. Questa non fu, secondo me, una semplice aspirazione a collocarsi nella società dell’epoca in una posizione di rilievo e di prestigio dal punto di vista morale, ma una vera e propria necessità, secondo i canoni della loro (longobarda) concezione del rapporto suddito/sovrano. La presenza, infatti, di un componente della famiglia della persona (duca, conte, marchese, gastaldo o principe che fosse), che aveva nelle sue mani il potere temporale, consentiva di condizionare, se non gestire, anche il potere spirituale, che era precipuo della Chiesa. Più alte erano le cariche ecclesiastiche rivestite dal familiare del “sovrano laico”, più era grande la capacità di condizionamento della politica ecclesiastica. Questa fase politico–religiosa della società dell’epoca dell’alto medioevo si concluse, poi, con una presa di coscienza di se stesso dell’”ordo laicorum”, che impose, anche se con regole non scritte, la sua partecipazione attiva nella vita della Chiesa. Nella prima metà del secolo decimo,8 dall’abbinamento del potere episcopale con quello ducale, si ebbe la formazione di signorie ecclesiastiche legate a dinastie locali come quella di Capua col Vescovo–Conte Landolfo. Nel sinodo di Benevento, dopo la metà del secolo IX9 è contenuto l’esplicito divieto fatto indistintamente a tutti i membri del clero di trasferirsi dalla propria parrocchia o di accogliervi chierici provenienti “ex aliena parrocchia” SENZA LETTERE SINODALI. L’incardinamento alla propria Chiesa, e la conseguente inamovibilità,10 era infatti ritenuta, in base a un canone niceno, un mezzo efficace per contenere l’ambizione e la cupidigia dei chierici perchè si voleva che anche i componenti inferiori del clero fossero d’esempio “casti abimo usque ad summum”. Nello statuto undicesimo (dello stesso sinodo beneventano) si dispose che le chiese distrutte dalle guerre locali e dai Saraceni vengano ricostruite con annessa canonica “sub plebis ordine”, ossia con la struttura delle pievi11 o “plebetanie”. È, questa, relativamente all’ambiente meridionale, perciò anche capuano, una delle più antiche testimonianze delle “plebes clericorum”, ossia delle collegiate dei chierici, annesse alle chiese parrocchiali (come S.Salvatore ad Curtim) e della rinnovata esigenza che il clero vivesse congregato, come anche si diceva in una “schola sacerdotum”. Non si conosce abbastanza bene la natura giuridica di tali “confraternitates” e “congregationes clericorum et sacerdotum” ma si sa che esse erano costituite nelle diaconie e in altre minori chiese, sia urbane che extraurbane.12
In un tale contesto storico–politico e religioso, quanto mai precario, caratterizzato da guerre lunghe ed aspre tra imperatori (d’Occidente e d’Oriente), invasioni di etnie, interi popoli e civiltà diversi,13 oltre che da lotte “domestiche” nelle quali i contendenti spesso inserivano bande armate di Saraceni, o quant’altri, per difendersi da attacchi (o per portarne) non si poteva certo(!!) menar vita serena nella preghiera e nel lavoro in un territorio, ove ognuno viveva nei campi tranquillo “sub fico et vite”. No, secondo me. Quelli erano tempi in cui ogni genitore, più che rendere quanto meno gramo possibile il vivere dei figli, cercava di renderne meno precaria del normale l’esistenza stessa.

 

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1 Gioacchino Tagliatela “Operazione panegerica di S.Stefano Vescovo e Patrono di Caiazzo.
2 Ne sono date alla stampe molte.
3 Statura alta, viso oblungo, capelli e barba biondi (certamente ereditati dal DNA della razza nord-europea dei genitori n.da.)
4 Macerata
5 La “gens Menecillo”
6 A Teano i Benedettini si erano trasferiti da Montecassino dopo la distruzione dell’Abbazia nell’anno 884
7 Nacque dopo Pandolfo Capodiferro e Landolfo Terzo.
8 S.Stefano era già nel seminario di S. Salvatore a Corte
9 G.M.Morin – “Un concile inedit tam dans l’Italie meridionale a la fin du IX siecle”.
10 Questa regola non veniva osservata solo in casi eccezionali e con il consenso plebiscitario del Vescovo, del conte, del popolo o del clero tutto delle metropolia.
11 Pieve, circoscrizione ecclesiastica minore (Parrocchia); pievano era il prete rettore della pieve e pievania era il titolo o il territorio relativo al ministero del pievano.
12 Si trovavano testimonianze della vita comune del clero in queste strutture a ciò specificatamente preparate, ma non si hanno, come per S.Stefano Menecillo documentazioni esaustive sulle condizioni del “modus vivendi” degli ammessi  in questi luoghi di formazione religiosa n.d.a.
13 I territori della contea longobarda di Capua furono direttamente interessati agli aspetti negativi di questi avvenimenti n.d.a.

 
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